Il fascino del frammento è probabilmente ciò che più affascina degli haiku. Questo vale per i poeti giapponesi tanto quanto per gli occidentali. Lo haiku è l'arte di comunicare un'immagine, un sentimento o una situazione nello spazio di un respiro. In tre righe, formate rispettivamente da 5, 7 e 5 “sillabe” (che sarebbe più corretto chiamare “more” trattandosi di fonologia giapponese), chi scrive haiku cerca di catturare una situazione fugace, e come in un'istantanea, di fissare un momento ben preciso che se non venisse trascritto rischierebbe di sparire nel tempo.
Gli haiku, che derivano da altre forme poetiche giapponesi come i renga, iniziano a delinearsi nel corso del XVI e del XVII secolo, e diventano attraenti anche per alcuni scrittori occidentali, soprattutto per i poeti ermetici del Novecento, tra cui Ungaretti, Quasimodo, e Zanzotto, il quale si cimenta in questo genere con le poesie della raccolta Haiku for a season.
I componimenti di Zanzotto, volendo essere precisi, non rispettano lo schema metrico dell'haiku. Era il poeta stesso, infatti, a definirli pseudohaiku. Nonostante questo, nella poesia di Zanzotto appaiono molti degli elementi caratteristici dei componimenti giapponesi. Il paesaggio naturale dipinto in quelle poche righe davanti agli occhi dello spettatore, non influenza soltanto lo stato d'animo del poeta, ma sembra lui stesso essere portatore di certe emozioni. Colori, temperature e atmosfere non sono statiche né tanto meno casuali, per quanto il loro movimento sia tanto impercettibile quanto implacabile. Ed è in questo che gli haiku di Zanzotto restano fedeli a quelli tradizionali giapponesi: per il loro carattere frammentario e per i temi che affrontano: la natura, il paesaggio e lo stato d'animo che da questi scaturisce.
I riferimenti alla natura e al tempo meteorologico comprendono gli alberi, gli animali, e i colori del cielo. Il rosa, il tramonto, la nebbia, il vento, le nuvole.
Ogni composizione, breve quanto un respiro, evoca in un solo attimo un colore, un'immagine, una sensazione.
Neve truffaldina di maggio
punge pelli capelli rose
e nasi congelati
Nel corso della raccolta si trovano molti riferimenti a un maggio insolitamente nevoso e cupo, del quale si cerca di capire il motivo, descrivendo lo stupore causato da una situazione così inaspettata che poi, a un certo punto, scompare.
Finalmente svanisce
il maggio più feroce del millennio—
il suo sole deforme
sopporta anche l'accoltellante eclisse
Questi esempi lasciano intendere come talvolta la natura sia benefica, tanto da essere descritta come un sollievo, mentre altre volte è maligna e causa dolore a chi si trova attorno. Gli elementi naturali sono sia le vittime che i carnefici, come i chicchi di grandine che colpiscono il ramo di un albero.
Forse api di ghiaccio in sottili
sciami impercettibili dietro le nuvole—
non convinto un gracile ramo annuisce
Colui che spicca tra gli elementi naturali, poi, è sicuramente il papavero. Questo fiore, così umile e tenace, è un ricorrente protagonista della poesia dell'autore e non può mancare in Haiku for a season.
Un papavero solitario
che ha perduto i miei amici
i suoi amici e me, papaveri
Il papavero che resiste con tenacia in mezzo alle avversità non è solo un simbolo di speranza e di forza, ma assume anche un significato civile e politico. A causa del suo colore, questo fiore ricorda talvolta le stragi dell'ex Jugoslavia, un momento storico che segnò profondamente l'animo del poeta.
Folla hippy contro la pioggia
rivoluzione di papaveri—
dove io ero solitario-rosso
un rosso miliardo esplode
Gli haiku di Zanzotto, quindi, non si fermano a descrivere la natura, ma partono dalla natura per raggiungere molti altri orizzonti.
“Un'idea poetica quale lo haiku sembra di per sé dotata di un massimo di attrattiva, anche al di fuori della matrice culturale giapponese che pure ne è il supporto e sulla quale si vorrebbe con insistenza tornare per conoscerla almeno approssimativamente”, così scriveva Zanzotto nella prefazione della raccolta 100 haiku, curata da Irene Iarocci ed edita da Longanesi nel 1982.
Secondo l'autore, passare dagli ideogrammi agli alfabeti occidentali toglie senza dubbio qualcosa allo haiku, e la stessa considerazione vale anche per la trascrizione dei suoni, mai riproducibili perfettamente usando caratteri differenti, e per la traduzione del significato, in cui una perdita importante è data dall'impossibilità di riprodurre, per esempio, quella che lui definiva come una ““essenza neutra”, o meglio “asoggettuale”, che sembra pervadere la lingua giapponese”.
Un altro limite alla scrittura degli Haiku da parte degli occidentali, per il poeta si trova nell'assenza di uno spettro di sentimenti e impostazioni mentali impossibili da acquisire per chi non ha fatto esperienza di alcuni paradigmi culturali tipicamente orientali. Esistono veri e propri modi di vivere, insomma, che appartengono a tradizioni, abitudini e credenze che Zanzotto riconosce, non senza un certo rammarico, come inesplorabili per chi è nato ed è stato educato secondo i canoni della cultura occidentale.
“ Grandi sono dunque gli abissi, di non-sperimentabile, di inesplorabile che particolarmente lo haiku, per la sua fulmineità, apre davanti a noi occidentali, ma invitandoci irresistibilmente a confrontarci con essi A. Zanzotto, prefazione a “100 Haiku”, 1982
Ciò che sembra rassicurarlo, però, è la constatazione che i giapponesi stessi siano inclini a questa contaminazione di culture, facendo propri alcuni temi occidentali e sviluppandoli nello haiku.
La sperimentazione di Zanzotto va quindi oltre un tentativo di copiare e riadattare una poesia “straniera”. Si tratta di un modo di combinare due filoni diversi e rintracciarne una base comune. La ricerca dell'essenziale, della forma minimale e l'amore per il frammentario sono caratteristiche che vanno oltre l'appartenenza a una precisa cultura; diventano, piuttosto, espressioni dell'animo umano.
Un modo di azzurro come di un incubo
in lontananza—dove sprofondai—
papaveri vicino a me gentili applaudono