SCIENZA E RICERCA

Vaccini Covid-19, Rasi: “Ritardi prevedibili. Servono flessibilità e strategia”

La campagna di vaccinazione contro Covid-19 procede scontrandosi con il problema dei volumi produttivi che non riescono a tenere il passo delle promesse.

Nell’intera Unione europea sono state somministrate complessivamente 9.39 milioni di dosi (i dati sono aggiornati al 25 gennaio) e in testa alla classifica per numero di vaccinazioni figura la Germania con 1.92 milioni, seguita dall’Italia dove le dosi utilizzate sono state oltre 1 milione e mezzo. Subito dopo troviamo Spagna e Francia, rispettivamente con 1.29 e 1.18 milioni di dosi somministrate.

Ma negli ultimi giorni la diminuzione delle forniture da parte di Pfizer, azienda che per prima è riuscita a sviluppare un vaccino autorizzato dall’Agenzia europea per i medicinali (Ema), ha provocato rallentamenti e ha costretto le autorità sanitarie dei diversi Paesi europei a dare priorità ai richiami per la seconda dose, con un conseguente ritardo rispetto alla pianificazione iniziale e alla prospettiva di immunizzare entro pochi mesi un'ampia fascia di popolazione.

All'origine della riduzione delle consegne, ha spiegato l'azienda, c'è la necessità di riadattare lo stabilimento belga di Puurs con l'obiettivo di portare la capacità di produzione dagli 1,3 miliardi attuali a 2 miliardi di dosi di vaccino all'anno. La società farmaceutica americana ha rassicurato che la fornitura tornerà a regime la prossima settimana e ha precisato che la riduzione riguarda il numero di dosi, non quello delle fiale e che proprio la possibilità di ottenere da ogni ampolla di vaccino 6 dosi al posto di 5 ha portato a dei fraintendimenti. 

Intanto però un nuovo motivo di preoccupazione arriva da AstraZeneca: il parere di Ema sul vaccino sviluppato in collaborazione con l'università di Oxford è atteso per il 29 gennaio, ma le dichiarazioni della azienda farmaceutica britannica sono state una doccia fredda per tutti i Paesi dell'Unione europea e in particolare per l'Italia che su questo vaccino ha puntato parecchio. Secondo quanto appreso dall'agenzia Reuters, nel primo trimestre dell'anno le consegne saranno tagliate del 60% e i 27 stati membri dell'Ue riceveranno solo 31 milioni di dosi entro la fine di marzo, al posto degli 80 milioni di dosi su cui facevano affidamento.

E mentre la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen, ha richiamato le aziende ad onorare i loro obblighi e ha annunciato l'introduzione di un meccanismo di trasparenza delle esportazioni di vaccini, l'Agenzia europea per i medicinali ha fatto sapere di essere in contatto con una cinquantina di case produttrici e ha confermato che è in corso una valutazione scientifica del vaccino russo Sputnik. Intervenendo in un'audizione al Parlamento europeo la direttrice esecutiva Emer Cooke ha dichiarato che "l'Ema farà tutto il possibile per facilitare una produzione aggiuntiva di vaccini, sia dal punto di vista scientifico che regolatorio" e che "con le aziende produttrici dei vaccini e le autorità nazionali stiamo vedendo come aumentare la capacità di produzione dei vaccini", per arrivare a una rapida risoluzione del problema dei rallentamenti delle consegne a livello di Ue. 

La direttrice esecutiva dell'Agenzia europea per i medicinali, Emer Cooke, in audizione alla Commissione ambiente del Parlamento europeo presenta gli ultimi sviluppi sulle autorizzazioni per i vaccini contro Covid-19 e affronta anche il tema dei ritardi nelle forniture di dosi da parte delle aziende

Ma l'attualità sui vaccini contro Covid-19 non riguarda solo il tema delle consegne e degli impegni firmati negli accordi. A preoccupare sono anche le nuove varianti del virus SARS-CoV-2. Su quella brasiliana si concentrano i timori maggiori a causa del rischio che possa non essere riconosciuta dal sistema immunitario, ma in prospettiva occorre tener conto del fatto che è altamente probabile che nel 2021 le mutazioni saranno frequenti, come strategia con cui il patogeno cerca di rispondere alla pressione dei vaccini. E allora, avvertono gli scienziati, bisogna immunizzare quanto prima il maggior numero di persone possibile: una sfida che attualmente è resa più difficile dai problemi nelle forniture ma che in futuro potrebbe scontrarsi contro un altro ostacolo più complesso da superare, quello rappresentato da chi non intende vaccinarsi

Di tutti questi argomenti abbiamo parlato con il microbiologo Guido Rasi che è stato per molti anni direttore esecutivo di Ema, prima lasciare il testimone ad Emer Cooke. Il suo mandato si è concluso nel mezzo di un'emergenza sanitaria che per molti aspetti è senza precedenti e il professor Rasi ha vissuto in prima linea tutto il percorso che ha portato la scienza a battere ogni record, arrivando allo sviluppo di un vaccino in meno di un anno dalla scoperta di SARS-CoV-2.

Gli abbiamo quindi chiesto quali fattori hanno permesso di accorciare così tanto i tempi, come è articolata la procedura di autorizzazione da parte di Ema e se ci sono differenze rispetto all'iter stabilito dalla Food and Drug Administration (Fda) statunitense. Abbiamo affrontato poi il tema dei ritardi nelle forniture delle dosi:  "E molto importante avere elementi di flessibilità interna e questo Ema lo dice già da settembre", degli altri candidati vaccini con cui l'Agenzia ha avviato dei contatti e degli anticorpi monoclonali su cui l'Ema ha richiesto ulteriori studi ma che "se ci fosse una strategia nazionale potrebbero entrare a far parte di un piano nazionale per l’uso sperimentale o quasi sperimentale, con un approccio molto simile a quello dell’uso in emergenza", come ha scelto di fare la Germania. 

L'intervista completa a Guido Rasi, ex direttore esecutivo dell'Agenzia europea per i medicinali (Ema) e professore dell'università di Tor Vergata. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

Professor Rasi, tra pochi giorni è attesa la decisione di Ema sul vaccino di AstraZeneca e se tutto andrà positivamente i vaccini autorizzati in Europa diventeranno tre. Il primo, quello di Pfizer/BioNTech, è arrivato in meno di un anno dalla scoperta di SARS-COV-2: come è stato possibile ottenere questi risultati con tanta rapidità, sia dal punto di vista dello sviluppo dei prodotti che per quanto riguarda l’analisi dei dossier?

Sono tre i fattori fondamentali che hanno reso possibile arrivare a questo traguardo. Il più importante di tutti è la possibilità di reclutare i volontari in una situazione di continua esposizione alla potenziale infezione. Questo ha consentito di velocizzare estremamente gli studi clinici che di solito sono il punto più lungo. Il secondo aspetto è stato l’incredibile dispiegamento di forze in termini di ricerca e di risorse umane, con i migliori cervelli ma anche con piattaforme comuni e una collaborazione mai vista: per esempio per la tecnologia a mRNA i sequenziamenti sono stati condivisi da più ditte e lo stesso è accaduto per tanti altri passaggi tecnologici. Il terzo fattore riguarda l’ambito autorizzativo dove è stato deciso, di comune accordo con l’Fda, di creare una task force che si occupasse esclusivamente dei prodotti, inclusi quindi i vaccini, contro SARS-CoV-2 e abbiamo consentito di interpretare al limite la legge accettando i dati a mano a mano che erano pronti. Ad esempio il dossier qualità, che da solo richiede diversi mesi, è stato iniziato a ottobre 2020 quando venivano prodotte le prime fiale. La decisione, condivisa con l’Fda, è stata quella di non permettere di saltare la fase tre e non consentire di avere meno osservazioni di quelle che hanno caratterizzato i vaccini degli ultimi 25 anni. Allo stesso modo non sono stati fatti sconti in termini di qualità del prodotto ed è stato deciso di non autorizzare vaccini la cui efficacia fosse stata inferiore al 50%.

Ci riepiloga la procedura necessaria affinché un vaccino ottenga l’autorizzazione da parte dell’Agenzia europea del farmaco? Ci sono differenze rispetto, ad esempio, rispetto a quanto prevede l’iter della Fda americana?

Tra Ema ed Fda c’è una collaborazione molto intensa e i principi e le tappe dell’iter autorizzativo sono identici. Abbiamo un confidentiality agreement che ci permette di lavorare davvero insieme e ci sono osservatori di entrambe le agenzie nei reciproci processi decisionali, anche se ovviamente non votano. Il dossier è costituito da tre componenti essenziali: efficacia, sicurezza e qualità. Il processo di autorizzazione da parte di Ema inizia quando arrivano i dati, nel caso della rolling review mano a mano che erano pronti. Questi dati vengono sottoposti alla task force, ogni prodotto viene assegnato a un rapporteur di una nazione e a un altro rapporteur si chiede di effettuare una contro prova. Questi esperti lavorano per proprio conto fino a un certo punto della valutazione, poi si uniscono in plenaria e discutono i punti di divergenza. A seguire si vota e si decide quali eventuali altre domande debbano essere rivolte a chi sta producendo. Nel comitato centrale c’è un rappresentante per ogni nazione supportato da una squadra delle propria autorità, per l’Italia ovviamente è l’Aifa, ma l’intero percorso si basa sul supporto di vari gruppi come, ad esempio, il quality working party o il biological working party perché è necessaria una forte specializzazione delle competenze. Al termine tutti i pareri vengono assemblati e votati dal comitato. E’ un percorso assolutamente robusto, non influenzabile da nessuna forza esterna e anche non comprimibile oltre certi tempi.

C’è un legame tra la procedura di autorizzazione da parte di Ema e la pubblicazione dei risultati di un vaccino all’interno di articoli scientifici oppure sono due aspetti che viaggiano separatamente?

I due processi sono completamente diversi. Ovviamente per Ema la letteratura è importante, serve a prepararsi e a individuare i punti che si vogliono chiarire però non sono dati utilizzabili a fini regolatori perché sono insufficienti.

In questi giorni la campagna di vaccinazione sta subendo dei ritardi a causa delle mancate consegne di ulteriori dosi: dopo Pfizer, anche AstraZeneca ha annunciato che le dosi consegnate all'Unione europea, una volta ottenuta l'approvazione, saranno all'inizio inferiori ai volumi previsti. Ci può aiutare a capire da cosa dipendono questi problemi e come potrebbero essere risolti?

Ci sono varie tipologie di problemi. Già a settembre 2020 l’Ema raccomandò a tutte le autorità nazionali di inserire elementi di grandissima flessibilità nella preparazione delle campagne vaccinali. Il fatto che oggi si abbiano a disposizione due strumenti che hanno oltre il 90% di efficacia è del tutto insperato e tutti si illudono che sarà così anche per i prossimi vaccini, mentre invece l’efficacia sarà diversa. Avevamo indicato che una produzione globale e simultanea è qualcosa che non ha precedenti e che per questo occorreva attendersi mille intoppi. Ne abbiamo già avuti diversi. Uno è stato l’adeguamento delle strutture di produzione di Pfizer che in realtà è una buona notizia perché su richiesta dell’Europa la produzione sarà portata a due miliardi di dosi all’anno. E l’Ema aveva avvisato che questo avrebbe presupposto una reispezione degli impianti. L’annuncio di AstraZeneca invece è un po’ più inaspettato e ovviamente va chiarito sia in termini contrattuali, che non commento perché non li conosco, sia in termini di produttività. E’ possibile che abbiano problemi di approvvigionamento e d’altra parte dobbiamo aspettarceli perché molti vaccini useranno le stesse materie prime. Tutti hanno bisogno di fiale e di reattivi comuni: c’è una competizione globale simultanea e non è possibile aver pianificato ogni aspetto. Oltre a vedere se ci sono infrazioni in termini contrattuali è molto importante avere elementi di flessibilità interna e questo Ema lo dice già da settembre.

Sarebbe teoricamente possibile avviare la produzione dei vaccini in altri stabilimenti su licenza delle aziende che li hanno sviluppati?

Questa strada è parzialmente percorribile. Per i due vaccini con tecnologia a mRNA non ritengo che lo sia perché ci vuole un’infrastruttura tecnologica che l’Italia non possiede. Il discorso cambia per i vaccini a vettore virale perché l’Italia è un grande produttore potenziale, ovviamente servirebbe però un adeguamento degli impianti e bisognerebbe agire rapidamente e in modo strategico.

Si sta ragionando anche sull’ipotesi di utilizzare più vaccini in combinazione e proprio al riguardo è partito uno studio che vede insieme AstraZeneca e Sputnik. Un eventuale futuro uso congiunto dei vaccini avrebbe comunque bisogno di una procedura autorizzativa? E, a proposito del vaccino russo, ci conferma che sono stati primi contatti preliminari con l’Ema per l’analisi scientifica?

E’ teoricamente possibile combinare più vaccini. Dal punto di vista immunologico non c’è nessun pregiudizio e potenzialmente possono esserci anche dei vantaggi in termini di ampliamento dello stimolo del vaccino sul sistema immunitario. E’ però necessario fare degli studi per escludere delle reazioni negative: sappiamo, ad esempio, che alcuni adenovirus se vengono usati più di una volta portano allo sviluppo di anticorpi contro il vettore. E’ uno dei problemi che potrebbe avere lo Sputnik che però concettualmente è un ottimo vaccino proprio perché usa due vettori per evitare questo problema. Le confermo che già a fine ottobre le autorità russe hanno contattato l’Ema e hanno iniziato un’attività di scientific advice per gli standard che devono essere raggiunti al fine di ottenere l’autorizzazione in Europa. I tempi successivi a questo passaggio possono essere rapidissimi: come avete visto, un set di dati molto omogeneo e chiaro, come quello di Moderna e Pfizer, ha richiesto una ventina di giorni nel periodo di Natale, quindi poco più di una settimana in termini di giorni lavorativi. Invece quello di AstraZeneca che ha avuto una storia più travagliata, pur avendo dei dati che alla fine sono assolutamente validi, ha avuto bisogno di due o tre mesi e l’Fda addirittura ha detto che l’autorizzazione non arriverà prima di aprile.

Molti scienziati sottolineano la necessità di procedere il più velocemente possibile alle vaccinazioni anche per il rischio che le mutazioni possano essere sempre più frequenti, proprio come risposta del virus alla pressione. Le varianti finora individuate possono mettere a rischio l’efficacia dei vaccini?

Rispetto a quanto sappiamo finora per la variante inglese e per quella sudafricana possiamo essere relativamente tranquilli. Abbiamo invece qualche dubbio per quella brasiliana e servono ulteriori verifiche. Indubbiamente per il futuro non sarà possibile essere tranquilli perché purtroppo i virus sono molto furbi e qualsiasi ostacolo trovano tendono a cercare soluzioni per superarlo. Nella campagna di vaccinazione la velocità è un elemento critico.

Un ostacolo al successo della campagna di vaccinazione è anche l’esitazione di una fascia della popolazione, talvolta anche di chi lavora nell’ambito sanitario. E’ preoccupato sotto questo punto di vista?

Un po’ di preoccupazione c’è perché se i numeri delle persone che esitano a farsi il vaccino diventa critico potrebbero esserci dei problemi. Nei confronti della popolazione sanitaria sono più severo perché chi lavora in questo ambito se ha qualche dubbio ha tutte le possibilità per documentarsi. Se uno non crede alle modalità della scienza e a come vengono prodotte le evidenze scientifiche è singolare che voglia prestare attività nella sanità, visto che si basa su quelle evidenze scientifiche. Ritengo che avere una critica sui risultati sia un fatto positivo, però poi bisogna arrivare a una somma e a una decisione. Le evidenze sono robuste e chi opera nella sanità ha tutti i mezzi per verificarlo: se non lo accetta, a mio avviso, non può prestare attività nell’ambito sanitario.

Si è parlato molto anche degli anticorpi monoclonali, sia come terapia, soprattutto nella fase iniziale dell’infezione, sia come strumento di profilassi, e l’Fda ha autorizzato due prodotti. Diversi scienziati hanno fatto notare il ritardo dell’Europa sotto questo punto di vista: ci sono novità?

Gli anticorpi monoclonali sono uno strumento aggiuntivo ed è bene usarli sebbene non siano di facile impiego. Sono molto costosi e hanno una finestra terapeutica parecchio stretta che non è sempre facile da individuare o non sempre si arriva in tempo. Un loro uso massivo nelle Rsa potrebbe indubbiamente essere una strategia perché in quel contesto c’è una struttura che consente un’adeguata capacità di somministrazione. Sono ancora in fase di studio e l’autorizzazione della Fda è emergenziale, quindi con grandissime restrizioni. Inoltre le controindicazioni del vaccino sono in realtà le stesse degli anticorpi monoclonali perché è comunque un anticorpo dato dall’esterno e gli stessi problemi relativi all’efficacia sulle varianti si applicano ai monoclonali. Non è uno strumento semplice ma potremmo utilizzarlo molto di più, soprattutto se ci fosse una strategia nazionale. I due prodotti autorizzati dall’Fda sono in fase di valutazione anche da parte di Ema, ma sono stati richiesti ulteriori studi perché lo studio americano effettuato in emergenza ha mostrato che l’uso è molto limitato: un’autorizzazione valida per l’Europa teoricamente deve poi poter essere applicata in tutti i sistemi sanitari europei con una certa facilità. Ritengo intanto valida l’ipotesi di fare un piano nazionale per l’uso sperimentale o quasi sperimentale, con un approccio molto simile a quello dell’uso in emergenza, su popolazioni specifiche e dove ci sia un monitoraggio. La loro somministrazione è strettamente legata alla comprensione della fase della malattia, cosa che non è possibile effettuare su un malato domiciliare e su quello ospedalizzato spesso è troppo tardi. Ci si potrebbe muovere sulla stregua di quanto ha fatto la Germania che ne ha acquistati 200 mila e ha ben chiaro come utilizzarli.

Ampliamo lo sguardo a una questione più generale: il bilancio di Ema è supportato per oltre l'80% dalle industrie farmaceutiche, attraverso i loro pagamenti, e c'è chi sostiene che questo non favorisce la fiducia nei confronti della stessa agenzia e che quindi sarebbe meglio che Ema fosse finanziata direttamente dall'Ue Lei cosa ne pensa? E quali altre eventuali linee di intervento potrebbero a suo avviso migliorare la legislazione nel campo dei prodotti farmaceutici?

Quello del finanziamento di Ema è un argomento su cui si discute da molto tempo ma ritengo che sia una misconcezione molto importante da precisare. Se l’Ema fosse finanziata direttamente dall’Ue diventerebbe subito politicamente meno indipendente e abbiamo visto proprio in questi giorni quanto l’indipendenza dell’Ema dalle pressioni politiche di fare in fretta sia stata fondamentale per la credibilità dell’Agenzia. Il finanziamento da parte delle industrie farmaceutiche non inficia l’indipendenza dell’Ema perché le aziende versano un contributo all’inizio di una procedura ed è lo stesso anche se poi ritirano il prodotto o non ottengono il via libera. E ci mancherebbe altro che per autorizzarli ad andare in commercio dovessimo pagare con soldi pubblici, dopo che spesso le aziende hanno già ricevuto tanti finanziamenti pubblici per la loro ricerca. L’Ema non ha alcun inoltre beneficio aggiuntivo, nè in caso di approvazione di un farmaco, nè in caso di mancata autorizzazione e non viene dichiarato chi vota a favore e chi contro. Su una struttura di 28 delegati che votano, più i rappresentanti del Parlamento, della Commissione e dei pazienti, non c’è possibilità di influire. Inoltre i finanziamenti che riceviamo dalle aziende farmaceutiche ci consentono di sostenere lo scientific advice alle università e alle piccole industrie che non hanno i soldi per farlo. Se non si entra nel meccanismo si rischia di fare una semplificazione.

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