SCIENZA E RICERCA
Vaccino anti malaria: uno strumento in più, ma l'efficacia è sotto il 50%
L'inizio, nel mese di aprile, della distribuzione del primo vaccino contro la malaria in tre Paesi africani è stato accompagnato da moltissime speranze. E non c'è da meravigliarsi visto che ogni anno questa malattia infettiva, che si trasmette all'uomo attraverso la puntura di zanzare del genere Anopheles, provoca oltre 400 mila morti, di cui oltre la metà bambini. Un vero flagello per il continente africano dove ogni due minuti un bambino perde la vita proprio a causa della malaria. Se a questi dati aggiungiamo il fatto che il percorso che ha portato allo sviluppo e poi al lancio del vaccino ha richiesto oltre trent'anni, è facile capire quanto fossero elevate le attese.
La prima diffusione del vaccino contro la malaria tra la popolazione, dopo una precedente fase di trial clinici, sta avvenendo nell'ambito di un progetto pilota, coordinato dall'Organizzazione mondiale della sanità e sviluppato con un partenariato tra pubblico e privato, che coinvolge Malawi, Ghana e Kenya, selezionati tra 10 Paesi sub-sahariani sulla base di determinati criteri. L'obiettivo è raggiungere 120 mila bambini all'anno, tra il 2019 e il 2022, di età compresa tra i 5 mesi e i 2 anni: per completare il ciclo della vaccinazione sono necessarie quattro dosi, le prime tre somministrate quando i bambini hanno un'età tra i 5 e i 9 mesi, l'ultima viene effettuata al raggiungimento dei 2 anni di età.
I risultati che sono stati finora ottenuti non sembrano però entusiasmanti e in questi giorni la rivista Science ha commentato i dati sottolinenando che è difficile parlare di una vera a propria svolta, dal momento che le quattro dosi di vaccino offrono una protezione di circa il 30% e per non più di tre anni. A questo si aggiunge poi un ulteriore elemento di preoccupazione legato agli interrogativi sulla sicurezza del vaccino, emersi quando è stata riscontrata una possibile correlazione con un maggiore rischio di meningite.
Il dibattito su RTS,S - realizzato dall’azienda farmaceutica britannica GlaxoSmithKline e il cui nome commerciale è Mosquirix - si era già acceso nell'ottobre del 2015 durante un meeting dell'Organizzazione mondiale della sanità a Ginevra. In quell'occasione i sostenitori del lancio del vaccino avevano argomentato che un vaccino imperfetto sarebbe stato comunque meglio rispetto all'ipotesi di non averlo, mentre altri scienziati avevano sostenuto che non era abbastanza sicuro ed efficace. Per trovare un punto di incontro si è così stabilito di limitare il progetto pilota a tre Paesi, prima di procedere ad una diffusione su scala ancora più ampia. Il primo a partire è stato il Malawi, dove il vaccino è stato accolto con particolare entusiasmo, mentre in Ghana e Kenya c'è stato qualche ritardo.
L'incidenza della malaria ogni 1000 persone in Malawi, Ghana e Kenya
Ma cosa può rappresentare l'introduzione del vaccino contro la malaria in aree del mondo dove questa malattia è tra le principali cause di morte e che valutazione possiamo dare alla sua efficacia? Abbiamo rivolto queste domande a Giorgio Palù, presidente della Società italiana di Virologia e professore ordinario di Microbiologia e Virologia all'università di Padova.
"Il vaccino contro la malaria - spiega nel dettaglio il professor Palù - è una proteina ricombinante che è la proteina superficiale del circumsporozoite, il protozoo che viene inoculato dalla puntura dell’insetto e poi va al fegato, nel fegato si moltiplica, infetta i globuli rossi e provoca gli effetti della malattia. E’ un antigene coniugato con l’antigene di superficie del virus dell’epatite B, per renderlo ancora più forte, e ha un adiuvante molto potente che sono dei liposomi, cioè delle particelle di lipidi che contengono al loro interno un agonista del Toll-like receptor 4, un recettore che attiva la risposta immuno-infiammatoria. Quindi è un vaccino molto potente ed è dal 1980 che la GlaxoSmithKline lo sta allestendo, questo per far capire quanto tempo ci voglia per arrivare sulla clinica. In precedenza ha avuto dei trial clinici in Africa, nei Paesi subequatoriali e oggi è utilizzato in uno studio clinico su 120 mila pazienti in Malawi, Kenya e Ghana. Si somministra in 4 dosi nei bambini dai 5 mesi in su. Perché i bambini? Perché i bambini sono la popolazione più colpita dalla malaria".
"La malaria - precisa il presidente della Società italiana di virologia - viene trasmessa da una zanzara Anopheles, ne esistono più di 50 specie, e ne abbiamo ancora anche in Italia, nonostante si riteneva che fossero state estinte con il Ddt e con la bonifica delle paludi. E invece dobbiamo tener presente che lo 0,5% delle zanzare che circolano nel nostro Paese sono Anopheles. Il motivo per il quale in Italia la malaria non diventa endemica è che non si verifica un numero sufficiente di casi. Ricordo inoltre che le zanzare sono l’animale più omicida, il killer numero uno dopo homo sapiens sapiens, quindi l’uomo ammazza più umani ma subito dopo vengono le zanzare, prima dei coccodrilli, dei serpenti e di quant’altro".
Avere a disposizione un vaccino contro la malaria è una tappa molto significativa nella lotta a questa malattia perché i protozoi parassiti appartenenti al genere Plasmodium hanno iniziato a sviluppare resistenza ai farmaci. "E’ importante avere un vaccino per la malaria - prosegue il professor Palù - perché ci si è arrivati, dopo tanti tentativi partiti già negli anni’50, utilizzando componenti di questo Plasmodium che è un protozoo, un parassita molto simile alle cellule del nostro organismo ed è anche per questo motivo che è stato difficile creare un vaccino contro questa malattia. Ricordo che esistono dei farmaci che possono curare e prevenire la malaria, ma hanno dei gravi limiti che sono dovuti alla resistenza che il Plasmodium ormai ha instaurato. Ricordo tra l’altro che il primo farmaco scoperto dai gesuiti in Cile ha utilizzato la corteccia dell’albero di china, il cosiddetto chinico, poi sono arrivati i derivati sintetici e nel 2015 il premio Nobel è andato a Tu Youyou che è una ricercatrice cinese, quindi la medicina popolare ha scoperto dagli estratti di erbe, in questo caso dall’artemisia che è una pianta, un farmaco potente che è l’artemisina. Ma tutti i farmaci potenti finiscono per sviluppare resistenza. Quindi abbiamo bisogno di un vaccino. Questo vaccino è stato finanziato dagli enti americani, soprattutto dalla fondazione Bill Gates e nel 2015 l’Ema, che è l’Agenzia europea per i medicinali, ha dato l’autorizzazione con il beneplacito anche dell’Organizzazione mondiale della sanità e sono stati individuati i tre Paesi su cui si sta facendo lo studio clinico. Finora ha dimostrato è un’efficacia che va dal 35% al 45%, l’efficacia è tanto maggiore quanto più cresciuti i bambini e questo è già un limite perché sono proprio i bambini più piccoli che dovremmo proteggere, visto che un vaccino deve prevenire l’infezione, neutralizzando l’agente patogeno con la produzione di anticorpi o di cellule immunocompetenti che bloccano l’infezione o il manifestarsi della malattia".
Rispetto al dato relativo all'efficacia il professor Palù commenta che "vorremmo avere un vaccino efficace nel 95% - 98% dei casi, come quello contro il morbillo, ma al momento non l’abbiamo. Nella lotta alla malaria è comunque già molto significativo poter contare su questo vaccino e i progressi sono dovuti anche al fatto che si è sviluppata questa nuova scienza che si chiama vaccinologia: oggi conosciamo bene la struttura degli antigeni, che tipi di anticorpi, siamo in grado anche di sviluppare geneticamente modificando la risposta anticorpale e speriamo un domani di avere vaccini anche contro l’Hiv e la tubercolosi che provocano ancora più morti della malaria. Di Hiv muoiono ancora un milione e mezzo di persone all’anno e di tubercolosi ancora un milione di persone, la malaria è la terza malattia per numero di morti ma ovviamente, con i cambiamenti climatici, con l’arrivo di nuovi insetti e nuove specie di zanzare e ricordo che, tra gli animali, le zanzare sono il killer maggiore proprio perché veicolano una serie di parassiti, di protozoi, di patogeni, soprattutto virus, almeno 5 o 6 famiglie virali. Questo vaccino è stato scelto non solo dalla comunità scientifica e dall’industria farmaceutica, ma anche dalle organizzazioni regolatorie internazionali perché dovrebbe indurre una risposta di anticorpi, o una risposta cellula mediata, contro le prime fasi del ciclo replicativo del Plasmodium e ovviamente colpire prima che il patogeno entri nel fegato è importante perché vorrebbe dire sterilizzare l’infezione. Quindi dobbiamo proteggerci e come dice l'aforisma di Pasteur: è meglio prevenire che curare".
E in futuro un ulteriore strumento nella lotta contro la malaria, potrebbero essere le tecniche di gene drive attraverso le quali si cercherà di controllare le popolazioni di insetti vettori attraverso la modificazione del loro genoma.
Sull'importanza di poter contare su una strategia di lotta alla malaria che preveda strumenti diversificati si è soffermato il professor Giampietro Pellizzer, infettivologo di Medici con l'Africa Cuamm, che ha sottolineato come il vaccino possa essere un pezzo importante del puzzle con cui si spera di poter eradicare questa malattia.
"Da un punto di vista globale - spiega Giampietro Pellizzer - il problema della malaria è stato rilanciato negli ultimi 3-4 anni, quando si è registrato un rallentamento del trend di riduzione del numero di casi e di morti. Questo dato è stato un campanello d’allarme che ha fatto sì che le organizzazioni e tutti i soggetti che si occupano di lotta alla malaria rilanciassero gli approcci e lavorassero meglio per definire strategia futura. In questo modo sono stati stabiliti degli obiettivi e soprattutto si è visto che il peso a livello globale della malaria grava in particolare su dieci Paesi africani più l’India, territori dove complessivamente si registrano circa il 70-80% dei casi totali di malaria.
Al vaccino è stato dato un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi da qui al 2030. Cioè ridurre del 90% la mortalità e il numero di casi di malaria e arrivare all’eliminazione della malaria in almeno 35 Paesi in cui attualmente la malaria è presente. E una volta che è stata raggiunta l’eliminazione si va verso l’eradicazione: l’eliminazione vuol dire 0 casi, l’eradicazione vuol dire che non ci saranno più casi in futuro. L’obiettivo principale è avere un mondo malaria free.
La vaccinazione è uno degli strumenti validi per raggiungere questo obiettivo e come tale va interpretato. Da sola non è pensabile che possa farcela, così come non è sufficiente avere un buon test diagnostico o una terapia: quello che serve è un insieme di strumenti che permetta di arrivare prima al controllo e poi all’eliminazione della malattia. Questi dieci paesi africani ad alta trasmissione della malaria sono ancora in una fase incerta, quella in cui si cerca di arrivare al raggiungimento del controllo. Tutti gli otto Paesi dell’Africa subsahariana in cui il Cuamm lavora sono Paesi a trasmissione elevata o moderata di malaria. Cosa vuol dire? Che il 50% dei bambini che manifestano febbre hanno la malaria e una quota non indifferente di morti è attribuibile a questa malattia, così come è particolarmente alto il peso dell’assistenza sanitaria, soprattutto nella fascia di popolazione più debole, che sono i bambini sotto i 5 anni, i più esposti al rischio di malaria severa e di morte".
Il professor Pellizzer è poi entrato nel dettaglio delle attività realizzate in questi anni da Medici con L'Africa Cuamm. "Nei nostri progetti - ha spiegato - rafforziamo o manteniamo funzionante tutto quello che è previsto dai programmi nazionali dei Paesi in cui lavoriamo. Quindi collaboriamo per rendere disponibili una diagnosi appropriata e i giusti farmaci, non solo a livello di ospedali ma anche a livello periferico, e poi è necessario che il personale sia formato. Le comunità, i villaggi, le persone devono essere attentamente coinvolti in tutti i programmi di controllo della malaria. Il Cuamm ha acquisito esperienza in Sierra Leone dove è stato partner di un programma di controllo della malaria, di sensibilizzazione della popolazione degli adolescenti: i giovani sono stati oggetto di training e hanno poi funzionato da sensibilizzatori nei loro villaggi. Lo stesso è accaduto in Mozambico dove il target erano soprattutto le donne in età fertile, visto che la malaria in gravidanza ha effetti molto pesanti. Adesso un altro progetto sta per partire in Sud Sudan che è un Paese molto fragile dove la malaria ha un impatto piuttosto pesante".
"Andando indietro nel tempo, il Cuamm - prosegue Pellizzer - ha avuto un esperienza importante in Tanzania nel 2000-2001 quando veniva lanciato questo approccio nuovo della World Health Organization, inquadrato con il nome di Roll Back Malaria. Negli anni precedenti, tra gli anni '70 e gli anni '90, ci si era quasi arresi al non avere nulla di nuovo da proporre nella lotta contro la malaria: invece il Roll Back Malaria è stato il momento in cui sono stati riproposti gli strumenti che devono essere applicati: erano arrivati farmaci nuovi molto efficaci, come l'artemisinina, e nuove modalità di diagnosi con mezzi facili da usare a livello periferico, insieme alla grande innovazione delle zanzariere impregnate di insetticida. Però il problema è sempre misurarsi con la realtà e noi che ci lavoriamo da anni sappiamo quanto è difficile: sono Paesi fragili che possono essere messi in forte difficoltà da inondazioni, pioggia o siccità. Ad esempio lavoriamo in un Paese, l’Angola, dove non piove da mesi e questo sconvolge tutto quello che abbiamo in testa. E’ una malattia che si concentra soprattutto nelle zone rurali e colpisce i poveri, che sono poi le persone che meno di tutti hanno accesso ai servizi".
"Il problema - conclude Pellizzer - è sempre stato quello della copertura: abbiamo gli strumenti e devono essere applicati. E’ la stessa cosa del vaccino. E’ efficace al 40%, quindi ha una sua efficacia e la WHO glielo ha riconosciuto, e quello che è in corso in Malawi, Ghana e Kenya è proprio la valutazione della fattibilità di un ampio programma di routine di immunizzazione. Come applicarlo? E che ruolo dare al vaccino nell’insieme di tutti gli strumenti con cui possiamo combattere la malaria: zanzariere, terapia, diagnosi, sensibilizzazione della comunità? Probabilmente è il pezzetto di un puzzle che poi chiude tutto il cerchio, lo spero, o almeno le previsioni sono queste".