Nei giornali delle ultime settimane l’epidemia di coronavirus in Cina – con le sue propaggini in molti altri Paesi – ha catalizzato l’attenzione dei lettori. Accanto a questa, però, altre malattie di più lontana memoria continuano a persistere, talora con esiti fatali, e balzano agli onori della cronaca. È il caso ad esempio della malaria, diffusa soprattutto nelle zone della fascia tropicale e sub tropicale, altamente endemica in Africa, e presente anche in Italia (3.805 i malati tra il 2013 e il 2017). Sui media, proprio recentemente, si legge di casi di malaria nel lecchese, nel trevigiano e nell’agrigentino. Stando ai dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, nel 2018 si sono contati 228 milioni di casi in tutto il mondo, il 93% dei quali nel continente africano. I decessi invece sono stati 405.000 (il 94% dei quali nelle stesse zone). Da anni ormai si cerca far fronte al problema, anche con finanziamenti importanti (2,7 miliardi di dollari nel 2018). Oggi, una possibilità ulteriore sembra provenire dall’ingegneria genetica: si chiama gene drive, è una biotecnologia messa a punto, tra gli altri, nel laboratorio coordinato da Andrea Crisanti all’Imperial College di Londra, e potrebbe permettere di ridurre nell’ambiente il numero di zanzare responsabili della trasmissione della malattia.
“Da oltre un secolo – sottolinea Crisanti, docente di microbiologia all’università di Padova, che oggi in ateneo interviene su questo argomento – per contrastare la malaria sono state introdotte in Europa e nel mondo misure di prevenzione sistematiche e sono stati distribuiti farmaci antimalarici. La malattia, tuttavia, continua ancora a mietere vittime, soprattutto nelle parti più povere del mondo. Le misure di controllo del vettore si dimostrano le più efficaci nell’eradicazione della patologia”. Queste si basano essenzialmente sulla riduzione del contatto (attraverso le zanzariere ad esempio), sugli insetticidi e sulla bonificazione dell’ambiente, dunque sulla riduzione dell’ecosistema in cui le zanzare si riproducono.
Esiste però un’altra faccia della medaglia, sottolinea il docente: le zanzare stanno sviluppando resistenza agli insetticidi che, peraltro, sono costosi; gli interventi sul territorio derivano da progetti di lungo respiro che richiedono investimenti di risorse e dunque non sono alla portata dei Paesi poveri; le misure protettive come le zanzariere, infine, non risolvono definitivamente il problema. “Negli ultimi anni – continua Crisanti – ci sono stati interventi ingenti in termini di risorse e tecnologie per contrastare la trasmissione della malaria: tali misure hanno raggiunto la massima capacità di impatto e negli ultimi anni non abbiamo assistito a una riduzione dei casi di malaria. In alcune regioni, anzi, sono anche aumentati e questo significa che, a meno che non si moltiplichino gli investimenti, saremo destinati ad avere la malaria per i prossimi 30-40 anni”. Per questo, le possibilità offerte dall’ingegneria genetica potrebbero costituire una valida alternativa.
“Il gene drive – spiega il microbiologo – è una tecnica che permette di diffondere una modificazione genetica in un’intera popolazione, partendo da pochi individui. Si tratta di un meccanismo che in qualche modo ribalta le leggi dell’ereditarietà, perché tutti gli organismi che si riproducono sessualmente hanno il 50% delle probabilità di ereditare una caratteristica genetica dal padre o dalla madre e il 50% di trasmetterlo alla progenie. Questo significa che una determinata caratteristica genetica in una popolazione rimane costante, a meno che non ci sia una forza selettiva positiva che ne favorisce la diffusione o una forza selettiva negativa che la ostacola”.
Per cercare di contrastare la malaria, l’idea è di ridurre il numero di zanzare responsabili della trasmissione della malattia (Anopheles gambiae), bloccandone la capacità riproduttiva. Come già approfondito su questa testata, i ricercatori sono riusciti a modificare il genoma della zanzara femmina, assicurando poi l’ereditabilità del nuovo tratto alla discendenza in quasi il 100% dei casi: intervenendo sul gene doublesex (una sorta di interruttore genetico per la determinazione del sesso dell'insetto), hanno ottenuto una zanzara sterile, incapace di pungere; la tecnica del gene drive (un dispositivo molecolare con cui hanno equipaggiato il gene bersaglio) ha garantito, sulla base di modelli matematici di genetica delle popolazioni, l’estinzione della popolazione di insetti in laboratorio nel giro di 7-11 generazioni. Un’altra strategia (ancora in fase di sviluppo) mira invece ad aumentare le zanzare maschio, che non trasmettono la malaria, innestando il gene drive sul cromosoma Y, che determina il sesso maschile.
“Abbiamo ottenuto risultati estremamente interessanti – sottolinea Crisanti –: per la prima volta una modificazione genetica è stata in grado di eliminare una popolazione di zanzare in laboratorio e questo è paragonabile in termini di impatto alla scoperta degli antibiotici, poiché siamo riusciti a modificare la traiettoria evolutiva di una specie. Ora, prima di passare sul campo, bisogna effettuare una serie di ulteriori studi per verificare che non esistano effetti negativi sull’ambiente, sulla salute dell’uomo e degli animali e sull’ecosistema. In questo momento, stiamo conducendo pertanto una serie di studi anche in un laboratorio dell’università di Perugia, con cui collaboriamo, che simula le condizioni ecologiche dell’Africa”. Vengono riprodotti i parametri di luminosità, umidità e temperatura per rendere il test più realistico e diminuire l’incertezza dell’impatto che l’impiego della tecnica del gene drive potrebbe avere sul campo. “In questo modo potremo preparare un documento che ci permetterà di ingaggiare le autorità che regolano il rilascio di queste zanzare”, qualora sia stato appurato che non crea danni all’ambiente.
La tecnologia del gene drive dimostra di avere molte potenzialità, in ambito medico ma non solo. Può essere impiegata, infatti, oltre che per contrastare la trasmissione della malaria, per tentare di eradicare altre malattie veicolate da vettori, come la febbre gialla, Zika e dengue. “Si consideri che le malattie trasmesse da vettori causano ogni anno circa 500 milioni di casi e circa un milione di morti”.
In agricoltura, poi, potrebbe essere utilizzata per eliminare in modo mirato insetti dannosi. "Inoltre - conclude Crisanti - potrebbe dimostrarsi utile anche per implementare misure di controllo per specie invasive: si pensi ad esempio, in Italia, all’albopictus (l’aedes albopictus è la zanzara tigre, ndr) che da anni infesta la maggior parte del nostro Paese senza che sia stato possibile eradicarla".