CULTURA

Rukeli, il pugile zingaro che sfidò il nazismo

“Ora, dire albero equivale a dire alto, maestoso. Maestoso ce l’hai aggiunto tu... Io sono albero e basta”. Era forte e agilissimo, un atleta perfetto. Sul ring danzava, ma nel suo nome nascondeva solide radici. Rukeli vuol dire “albero”, lo spiega anche Dario Fo in Razza di zingaro (chiarelettere), uno dei due libri pubblicati recentemente - l’altro è Alla fine di ogni cosa di Mauro Garofalo (Frassinelli) - che raccontano una storia vera travestita da leggenda. Entrambi si concentrano sulla vicenda umana e sportiva di Johann Trollmann, detto Rukeli, pugile di origine sinti che, prima della Seconda guerra mondiale, venne osannato da un intero Paese, la Germania, per poi essere vessato, perseguitato, rinchiuso in un lager e ucciso dal nazismo. È la storia potente di un singolo in grado di definire un dramma collettivo, donando al tempo stesso speranza e ispirazione. È una vicenda – a lungo dimenticata, in Italia certamente pochi la conoscevano - calata in un’epoca oscura, nell’orrore del Nazismo, da riscoprire oggi per conservare memoria e trarre insegnamento osservando la natura degli esseri umani, capaci di imprese epiche e miserie indicibili. Nato nel 1907, cresciuto ad Hannover, Johann ‘Rukeli’ Trollmann muore nel 1943, nel campo di concentramento di Neungamme, nel Nord della Germania.

“Dentro la testa, Johann vedeva ogni colpo. Lo vedeva prima. Era una dote che aveva fin da bambino e faceva a pugni con Radu, che era più basso di lui ma anche più cattivo. E maggiore di quasi due anni – scrive Garofalo in Alla fine di ogni cosa - All’inizio le immagini erano arrivate in bianco e nero, poi con gli anni lo avevano portato a schivare i pugni di quelli più grandi, e il morso dei cani magri in cerca di cibo che scavavano tra i rifiuti del campo. Nel tempo, poi, il bianco e nero aveva lasciato il posto ai colori. Duravano un niente, un millesimo di secondo appena. Eppure, lì dentro, Johann guardava accadere ciò che sarebbe stato. Era una dote a breve, mica valeva per tutto, il suo cervello registrava in anticipo le mosse dell’avversario, il modo per neutralizzarle. Lui ci aveva solo dovuto mettere velocità, potenza e fiato”. Era un fuoriclasse Rukeli, di quelli che fanno impazzire gli appassionati di boxe e le donne. Tanto amato dal pubblico, quanto odiato poi dalla Germania di Hitler.

Grazie allo spettacolo 9841/Rukeli* (che riporta il codice con il quale, nel campo di concentramento di Neungamme, i nazisti registrarono il pugile), messo in scena dall’attore veneziano Gianmarco Busetto, la sua storia è arrivata anche a teatro, con tutto il suo carico di intensità, coraggio e poesia. “Tu sei lo zingaro, sei vento e i tuoi pugni tempesta e allora danzi, danzi, danzi, danzi come fossi fuoco, un ritmo indiavolato come fosse festa. 1, 2, 3, 10, 100 colpi di tempesta. Combattere per la propria famiglia. Combattere per non chiudere gli occhi. Combattere per non perdere la dignità. Combattere, senza dimenticare mai perché si combatte”.

*“Anche tu, oggi, immagina di chiamarti Johann Trollmann, detto Rukeli, di essere nato nel 1907 e cresciuto nei sobborghi poveri di Hannover, e che la tua famiglia sia zingara, di origine sinti. Immagina di essere un peso medio di 73 chilogrammi che a soli 22 anni esordisce tra i professionisti e che fin da subito comincia a vincere. Immagina che sul ring ci stai come non si è mai visto, che sul ring danzi come vento, trent’anni prima di Muhammad Ali, che le gambe ti si muovono veloci e le braccia e il corpo e i pugni. Una danza zingara e indiavolata che sconfigge avversario dopo avversario. Metti che il pubblico ti ama, che a ogni tuo incontro il boato della folla è almeno il doppio, che gli uomini ammirano il tuo coraggio e le donne impazziscono per il tuo fare sfrontato. Immagina di diventare, in breve tempo, una vera e propria star, il pugile più famoso di Germania. Ma metti anche che è il 1933 e che in Germania in quegli anni si assiste all’ascesa del partito nazionalsocialista di Adolf Hitler e delle sue teorie sulla pura razza. Metti pure che Hitler, nel Mein Kampf, ha dichiarato di amare la boxe, che tutti i club pugilistici del paese vengono arianizzati e che alla stessa boxe, in Germania, ora viene dato il nome Deutscher Faustkampf, pugilato tedesco. Metti che oggi ti chiami Johann Trollmann, detto Rukeli, che sei un pugile zingaro di origine sinti”.

Tra l’ottobre e il novembre del 1929 Johann firma un contratto per i suoi primi tre incontri da professionista. Il 9 giugno 1933, a Berlino, alla Bockbrauerei di Fidicinstrasse, circa millecinquecento spettatori assistono all’incontro per il titolo di campione tedesco dei mediomassimi: a sfidarsi Johann Rukeli Trollmann di Hannover, il pugile zingaro che danza, e Adolf Witt di Kiel, uomo di ghiaccio scelto dal nazismo. L’arbitro è Otto Griese. A seguire con attenzione l’incontro c’è Georg Radamm, presidente della federazione pugilistica tedesca, che non nasconde le sue simpatie per il Führer: “Quel pugile non si muove da boxeur, poiché danza”. L’incontro viene vinto da Rukeli, ma dopo poco il titolo gli viene tolto. Tutto da rifare, la federazione gli nega il titolo accusandolo di “cattiva boxe” e obbligandolo, pena la revoca della licenza, a combattere di nuovo e affrontare ora Gustav Eder, pugile del Reich, aggiungendo la proibizione assoluta di muoversi dal centro del ring e schivare i colpi sfruttando i suoi “movimenti animaleschi e la sua eleganza effeminata” che offendevano la virilità della boxe. Doveva combattere nel nuovo stile tedesco, l’unico che rendeva veri uomini i pugili: il Faustkampf. Una condanna, un risultato già scritto che Rukeli affronta con rassegnazione. È il nuovo Ordine, è l’inizio della fine. La boxe viene arianizzata, la carriera di Rukeli subisce un arresto. E così la sua vita (con tutto il carico di dolore per la successiva separazione dalla figlia Rita e dalla moglie Olga Frieda Bilda, che sposa nel 1935 e da cui divorzia nel 1938 per proteggerla permettendole così di cambiare cognome, quando la persecuzione di sinti e rom si fa più pressante). Il 21 luglio 1933, sempre alla Bockbrauerei di Berlino, per affrontare Gustav Eder, Rukeli sale sul ring completamente ricoperto di farina. Sa che cosa vogliono fare di lui: vogliono impedirgli di combattere davvero e pretendono che si faccia massacrare. E allora ecco la sua provocazione, la sua sfida alla pura razza ariana: il suo corpo ora è bianco, i capelli tinti di un biondo dorato e tirati all’indietro. Per i primi quattro round Rukeli incassa, piano piano la farina scivola via e lascia il posto al sangue. I colpi di Eder sono pesanti, i suoi ganci mulinati continuano anche oltre il suono della campanella, il suo attacco è scomposto e antisportivo, “la condotta sanzionabile, disonorevole e priva di eleganza”, scrive Garofalo nel suo libro. Vince Eder, Trollmann viene portato all’ospedale. Nel dicembre del 1938 il reichsführer delle SS Heinrich Himmler emana la prima legge contro gli zingari, per tutelare lo spazio vitale che spettava a ogni tedesco di pura razza ariana: lebensraum. Esiste solo il puro popolo tedesco, nessun altro. Ebrei, zingari, omosessuali, portatori di handicap si trasformano improvvisamente in gemeinschaftsfremde, stranieri in un Paese che, fino a quel momento, pensavano essere anche il loro. In untermenschen, sub-umani. Come tanti rom e sinti, anche Johann Trollmann viene sottoposto a sterilizzazione.

Il 16 dicembre 1942 Himmler emana il Decreto di internamento di Auschwitz: non solo gli ebrei, ora anche gli zingari di sangue misto, rom e sinti devono essere arrestati e inviati nei campi di concentramento. Un periodo al fronte e, poi, alla fine di ottobre del 1942, Rukeli viene condotto a Neuengamme, nel Nord della Germania. In quel campo di concentramento viene costretto ai lavori forzati e, riconosciuto dall’ex arbitro di pugilato Albert Lütkemeyer, viene obbligato anche a combattere sul ring (vincendo nonostante la debolezza e la malattia) contro gli uomini delle SS, in cambio di una doppia razione di cibo concessa giusto per affrontare lo sforzo e poter, dunque, restare in vita. Il 9 dicembre 1943 viene ucciso a badilate dal kapò Emil Cornelius, che aveva osato battere sul ring. Nel 2003, a settant’anni di distanza, la federazione pugilistica tedesca ha riassegnato a Trollmann quel titolo di campione tedesco dei pesi mediomassimi che gli fu sottratto nel 1933. A Berlino, un monumento a forma di ring ne ricorda il talento e il coraggio. Ad Hannover una via porta il suo nome.

Francesca Boccaletto

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012