UNIVERSITÀ E SCUOLA

Marchesi e gli anni della lotta

È il 9 novembre 1943, nel pieno di uno dei periodi più bui della recente storia italiana, quando l’università di Padova si appresta nonostante tutto ad aprire il suo 722° anno accademico. Con un particolare: a dover pronunciare il discorso inaugurale c’è il rettore Concetto Marchesi, grande latinista ma soprattutto noto comunista e antifascista. È stato nominato il 1° settembre dal governo Badoglio con l’obiettivo di defascistizzare l’ateneo, ma solo pochi giorni dopo è accaduto l’imprevisto: Mussolini è stato liberato a Campo Imperatore dai paracadutisti di Otto Skorzeny ed è stata proclamata la Repubblica Sociale.

Quello che si accinge ad iniziare la sua prolusione è un uomo tormentato, isolato all’interno del suo stesso Partito. Marchesi ha infatti provato a rassegnare le dimissioni nelle mani di Carlo Alberto Biggini, il nuovo ministro fascista dell’educazione nazionale che tra l’altro si trova con il suo ministero a Padova, nello stesso palazzo Papafava dove abita il professore, ma questi le ha rifiutate. Il rettore ha allora deciso di mantenere per il momento la carica, cercando di tenere i fascisti fuori dell’università in una specie di patto di non belligeranza. Un accordo che suscita le perplessità di molti, e che proprio quel 9 ottobre mattina – è un sabato – viene rotto.

Presenti nell’aula magna di Palazzo Bo, oltre a centinaia di studenti, ci sono anche Egidio Meneghetti, principale collaboratore e poi successore di Marchesi, e Silvio Trentin, già docente e parlamentare, ricercato dalla polizia per attività antifasciste. Insieme hanno gettato le basi del Comitato di Liberazione Nazionale Regionale Veneto (CLNRV), che si riunisce di nascosto proprio al Bo e che dal 25 settembre pubblica il giornale clandestino Fratelli d’Italia. Soprattutto però in quel momento in aula sono presenti il ministro Biggini – “a titolo personale”, visto che non è stato invitato – e alcune camicie nere, che però vengono cacciate da Marchesi e da Meneghetti con l’aiuto dalla folla in tumulto.

Alcune istantanee possono darci solo un’idea lontana della concitazione di quei momenti, rievocati oggi dal volume Concetto Marchesi. Gli anni della lotta, scritto da Emilio Pianezzola per i tipi del Poligrafo (nella collana Ottonovecento a Padova diretta da Mario Isnenghi). Perché quell’atto, assieme al successivo Appello agli studenti del 1° dicembre scritto sempre da Marchesi, è tutt’ora considerato come uno dei momenti che hanno innescato la successiva lotta di liberazione contro il nazifascismo, contribuendo a mobilitare le coscienze soprattutto di tanti giovani.

Il libro di Pianezzola non vuole essere una rassegna metodica e completa della vita e dell’opera di Marchesi – per la quale è lo stesso autore a rinviare all’ampia biografia pubblicata nel 1978 da Ezio Franceschini – ma piuttosto il tentativo di riportare potentemente all’attenzione anche del grande pubblico  una delle personalità che più profondamente hanno segnato la storia dell’università di Padova nel ‘900. Grazie anche al loro contributo infatti Padova e il suo ateneo assursero a centri di irradiazione della lotta partigiana, tanto da far attribuire all’università – unico caso in Italia – la medaglia d’oro al valor militare.

Eppure l’avventura umana e intellettuale di Marchesi fu non priva di contraddizioni: laico e libertario fin da giovane (quando negli anni del liceo a Catania fonda e diffonde il giornale anticlericale Lucifero) ma anche amante della quiete di conventi e monasteri, dove spesso si ritira per scrivere e riposare; iscritto al Partito Comunista fin dal 1921 ma disposto a giurare fedeltà al regime fascista, prima come docente universitario e poi con l’ammissione nel 1935 all’Accademia dei Lincei. Anche se in questo caso non fu solo nella sua scelta, dato che il suo gesto fu condiviso da altre personalità che con il loro insegnamento contribuirono a formare molti giovani antifascisti (tra cui Calamandrei, Chabod, Einaudi, Jemolo...).

Storia diversa invece sull’accusa di essere in qualche modo mandante morale dell’uccisione di Giovanni Gentile ad opera dei partigiani del GAP, motivata dalla pubblicazione da parte della rivista “Rinascita” di una lettera aperta a firma dello stesso Marchesi, eloquentemente intitolata Sentenza di morte. Una responsabilità respinta dal professore siciliano adducendo che il testo era stato sottoposto a manipolazioni: tesi avvalorata da documenti e testimonianze e riportate da Pianezzola nel libro.

Resta di questo libro, al di là di tutto, la figura complessa e sfaccettata di Marchesi: capace, pur in un brevissimo mandato di meno di due mesi, di contribuire se non altro alla fine dell’egemonia culturale fascista. Una vicenda personale e politica che anche oggi fa riflettere anche sul ruolo e gli strumenti a disposizione delle “minoranze politiche e intellettuali”, che, scrive Mario Isnenghi nella sua prefazione, proprio “nei tempi d’eccezione” possono “esporre e prendere in pugno la situazione”, mentre per loro natura“le maggioranze si ritraggono, stanno a vedere chi vince”. Un funzione e una missione di cui oggi forse si sente particolarmente la mancanza, in tempi di nuovo critici come quelli che stiamo vivendo.

 

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