CULTURA

Tre secoli di musei di storia naturale

I gabinetti di storia naturale si diffondono da circa la metà del secondo Millennio, i musei di storia naturale dal Settecento, soprattutto con l’Illuminismo. Dal 1752, la voce «Gabinetto di storia naturale» dell’Encyclopedie notava, dopo una rapida presentazione delle collezioni del Cabinet du Roi secondo la suddivisione in tre regni (fossili piante animali, classificazione tipica nella storia moderna, poi formalizzata da Linneo), che «tutte le collezioni sono disposte secondo l’ordine metodico e distribuite nel modo meglio confacente allo studio della Storia naturale. Ogni esemplare reca la propria denominazione e l’insieme è collocato sotto vetrine munite di etichette, o sistemato nel modo più conveniente». Quanto all’afflusso degli spettatori, «ne arrivano da tutti gli Stati, da tutte le nazioni […]. Si accolgono dalle milleduecento alle millecinquecento persone ogni settimana; l’accesso è agevole; ognuno può entrare, divertirsi o istruirsi a proprio piacimento. Le produzioni della natura sono esposte senza orpelli o ricercatezze che non siano quelli che il buon gusto, l’eleganza e la conoscenza degli oggetti stessi dovevano suggerire; vi si risponde con gentilezza alle domande sulla Storia naturale».

Il moltiplicarsi dei gabinetti e la nascita dei musei sono segni ulteriori del progressivo cambiamento di status della storia naturale, e più in generale della scienza, nel panorama culturale, connesso alla diffusione della fisica newtoniana e alle nuove urgenze teologiche di ricercare la presenza divina nei fenomeni naturali. La scienza della natura diviene terreno di degno confronto filosofico fra la visione teista del mondo e il libero pensiero, ovvero il materialismo nelle sue varie forme. D’altra parte, i nascenti o potenti Stati hanno necessità di uscire vittoriosi dalla competizione con i rivali, tanto nelle frequenti guerre quanto in tempo di pace, spinti così a una secolarizzazione della politica e alla ricerca di modi per sfruttare più efficacemente le risorse naturali note e per scoprirne di nuove: la valorizzazione della storia naturale da parte dei burocrati statali si afferma come una delle possibili trasposizioni pratiche dell’importanza ormai attribuita all’economia.

I gabinetti di storia naturale erano abbastanza diffusi in Italia già nel Cinquecento, nelle città e nei principati; nelle corti di area germanica presero il nome di Kunstkammer sin dalla metà del XVI secolo, collezioni incentrate sulle meraviglie della natura e dell’arte. Dietro la successiva trasformazione in musei ritroviamo la diffusa pratica del collezionismo di storia naturale da parte di ricchi e viaggiatori. Verso la meta del XVIII secolo due grandi capitali, Parigi e Londra, si dotano proprio di un museo di storia naturale, il Cabinet du Roi al Jardin des Plantes (unico museo esistente a Parigi prima della Rivoluzione) e il British Museum. L’esempio viene rapidamente imitato a Vienna, Madrid, Firenze, Dresda, in parallelo alla prorompente spinta a fondare comunque musei. In tutto il secolo successivo nascono ovunque in Europa centinaia di musei di storia naturale, in Italia ne esistono aperti a decine ancora adesso ai giorni nostri, pur se dalla seconda metà del secolo scorso le denominazioni variano, si articolano, si confondono; via via si tende a richiamarsi anche o solo alla “scienza” (e ad alcune discipline scientifiche) prima e più che alla “storia”.

Per le statistiche un museo vale l’altro, e ognuno vale uno; per la storia dei musei ognuno è diverso dall’altro, risultato di un concorso di circostanze singolari e dell’apporto di persone non intercambiabili. Si può comunque tentare di suddividere la varietà apparentemente illimitata in un numero limitato di tipologie, secondo il loro contenuto, ovvero rispetto agli oggetti che ciascuno raccoglie ed espone e che determinano in parte lo stesso profilo del pubblico interessato o interessabile, come suggerisce il grande studioso e storico Krzysztof Pomian (1934). Ecco le principali tipologie prodotte dalla storia: raccolte sull’antichità (dal 1470); su arte, storia naturale, curiosità, rarità, meraviglie (dal 1550); su storia, medicina, tecnica, esercito (dal 1790); sulle arti decorative (dal 1850); su etnografia, esposizioni all’aperto, industria, scienza (dal 1870); su vita quotidiana, lavoro, tempo libero (dal 1960), comprese le migrazioni (dal decennio successivo, qui vi abbiamo accennato).

La seconda meta del Settecento vede quindi la nascita di parecchi musei, soprattutto dedicati alla storia naturale e alle opere d’arte, da cui il luogo comune, secondo il quale l’istituzione-museo sarebbe un’invenzione dell’Illuminismo, un’idea in larga parte inesatta: durante il periodo chiamato “Età dei Lumi”, anche se gli avversari dell’Illuminismo continuavano a essere molto potenti, i musei videro certo un forte incremento numerico, si diffusero in tutte le nazioni dell’Europa occidentale e anche altrove vennero sperimentati alcuni avamposti (nell’Europa centrale, in Russia, nelle Americhe, in India). Inoltre, i musei conobbero un profondo rinnovamento interno ed entrarono a far parte del ventaglio delle preoccupazioni dell’opinione pubblica, pur derivando tutti (eccettuati forse quelli britannici) da antiche collezioniprincipesche formatesi tra il XVI e il XVIII secolo, per mezzo di committenze agli artisti, acquisizioni, donazioni e lasciti, espropriazioni e saccheggi. Perlopiù all’inizio trovarono posto all’interno di palazzi principeschi oppure di gallerie ad essi collegate.

La storia naturale non è mai stata debitrice della sola curiosità individuale. I suoi tradizionali legami con l’agricoltura e la farmacopea e la nuova prospettiva di acclimatare in Europa piante e animali scoperti in altri continenti per trarne profitto suscitarono l’interesse del potere fin dalla seconda metà del Cinquecento. Fu però soprattutto a partire dagli ultimi decenni del secolo successivo che la storia naturale venne sempre di più considerata in termini di utilità pubblica, “applicabile” nella religione e in progetti economici o militari. Ne è ulteriore prova la diffusione, nei diversi paesi, di gabinetti di oggetti naturali creati non da singoli, ma da istituzioni. Il museo di storia naturale (inventario delle risorse del territorio, o addirittura del mondo, ritenuto importante per le attività estrattive, le manifatture, l’agricoltura, il commercio) mostrava al visitatore lo spettacolo della natura; permetteva di studiarla, di ammirarne la perfezione e l’armonia (opera di un creatore benevolo guidato dalla ragione?), come anche di divertirsi, di soddisfare curiosità e desiderio di meraviglia.

Nella maggioranza dei casi, la collezione esposta apparteneva a una società scientifica (più raramente a un istituto d’istruzione) o era affidata alle sue cure. Inoltre, tanto per il contenuto quanto per la sua localizzazione, il museo di storia naturale era slegato dalla gerarchia sociale e soprattutto dalla corte: creato da un principe non era pero destinato primariamente ai cortigiani o alle persone più vicine ai vertici. Era rivolto al pubblico, alle pubbliche lettere e scienze. Il museo d’arte, invece, situato di solito in un palazzo o in una galleria adiacente, era pieno di oggetti che servivano a decorare le residenze aristocratiche o principesche e venivano quindi percepiti come emblemi o insegne della posizione altolocata dei loro detentori. Di singoli musei di storia naturale si è già spesso parlato, anche per quanto è ancora possibile scoprire di nuovo e straordinario dagli stessi reperti naturalistici “antichi” che vi sono contenuti e per quanto sarebbe oggi decisivo realizzarne una rete globale nella prospettiva di un ruolo nuovo utile anche alla riflessione dell’IPCC sui cambiamenti climatici.

La classificazione tipologica dei musei si presta a un’analisi stratigrafica e, come sempre accade nelle stratigrafie, gli strati più antichi subiscono nel corso del tempo una metamorfosi dovuta alla pressione degli strati più recenti: lo studio delle antichità e il concetto stesso di «antico» non sono certo rimasti gli stessi nel Quattrocento e nel Novecento, né materialmente né concettualmente; la “curiosità”  e la “meraviglia” nel corso del tempo hanno perso numerose componenti (magari incluse in altri raggruppamenti museali); vi è una secolare tendenza alla differenziazione e alla specializzazione, ma tra l’arte e l’archeologia i confini si sono fatti sempre più labili, così tra archeologia e storia, industria e tecnologie, storie naturali e scienza (queste ultime capaci di ricomprendere nelle collezioni museali per esempio la botanica dal 1550, entomologia, mineralogia, zoologia e conchiliologia  dal 1670-1750, anatomia comparata, paleontologia e geologia dal 1810); mentre nel Settecento in Italia si moltiplicarono le specifiche forme museali degli orti botanici (Università di Padova a partire dal 1733).

Fra le collezioni raccolte nell’Ottocento vi sono quelle ancor oggi esposte a Novara, con competente rigore dal restauro e dalla riapertura nel 2000. La collezione di storia naturale Faraggiana Ferrandi ha origini private e antiche, con materiali suddivisi in due sezioni ben distinte, quella naturalistica, esposta permanentemente nelle sale del museo, e quella etnografica, adeguatamente conservata ma non esposta. La ricca famiglia Faraggiana si stabilì a Novara nel 1821. Successivamente, Catherine Faraggiana Ferrandi (1856-1940), molto appassionata di scienze naturali, trasformò il parco della villa di Meina sul Lago Maggiore in uno zoo privato (struzzi, pappagalli, scimmie, gazzelle in libertà) e iniziò a raccogliere oggetti scientifici, piante e “reperti” animali di varie parti del mondo, incrementando le collezioni grazie soprattutto al lontano cugino, il capitano esploratore etnografico Ugo Ferrandi (1852-1928), e al colto figlio, grande viaggiatore e cacciatore Alessandro (1876-1961).

Madre e figlio crearono già verso la fine dell'Ottocento un piccolo museo dove esponevano materiali zoologici nel Casino di Caccia a Meina, aperto a tutti i paesani e i montanari, gratuito per poter condividere amore e conoscenza verso animali di vari continenti. Nel 1937 donarono poi tutte le raccolte al comune di Novara che acquistò il loro imponente palazzo del centro storico novarese con l’intento di esporle (seconda collezione piemontese, molto godibile anche per l’accorto diffuso uso della tassidermia). Infine, prima di morire Alessandro promosse una fondazione dotata di un importante lascito, che è ben operativa ancor oggi, affiancando la complicata evoluzione delle esposizioni e organizzando tante conferenze con i maggiori scienziati italiani negli ultimi quaranta anni. Il museo aprì più volte per qualche anno in modo non stabile, fino alla definitiva consacrazione nel 2000, rinnovato nella concezione e visitabile gratuitamente, dal 2004 diretto con sagacia dall’esperto naturalista ornitologo Igor Festari (che ha anche curato l’utile catalogo).

La media ingressi negli ultimi anni ruota fra gli 11.000 e i 13.000 visitatori annui, soprattutto locali e piemontesi (circa il 50%), con presenze pure da fuori regione (circa il 30% soprattutto quelle confinanti, Lombardia e Liguria, o vicine, come Emilia Romagna e Veneto) e una percentuale importante (circa il 20%) di stranieri in visita alla bella città di Novara, con giri e richiami fra Milano e Torino. Circa il 16% dei visitatori locali e piemontesi è mediamente costituito da classi scolastiche in visita (soprattutto scuole elementari e medie, poche superiori), mentre classi di istituti scolastici fuori regione sono una percentuale minima. La maggior parte delle scuole (percentuale variabile negli anni, da 60 a 80%) partecipa alle attività di didattica museale gratuita organizzata dal museo (qui per l’anno scolastico in corso 2022-2023). La scelta di mantenere la gratuità è stata a lungo discussa e ripensata: il museo può essere usato come un libro che si legge a brani ogni sera e si ripone sul comodino fino al prossimo utilizzo, ossia organizzando tante piccole visite quando se ne ha più voglia, anche di poche decine di minuti. Si è preferito adottare la nomenclatura "di Storia Naturale" sia per affinità con l’omonimo grande fondamentale Museo di Milano sia per ribadire l'importanza storico-architettonica della sede prescelta di Palazzo Faraggiana.

Il rilievo scientifico delle collezioni di Novara è stata valorizzato da un ricco curato aggiornamento espositivo all’interno di un museo naturalistico classico nella struttura. Il filo conduttore è l’avvicendarsi delle differenti tipologie di habitat, spesso presentati nella stessa vetrina quando hanno analogie bioclimatiche pur se risultano appartenenti a continenti differenti. Le tredici sale e saloni presentano pannelli, vetrine, ricostruzioni nel seguente ordine (su due piani): classificazione ed evoluzione; introduzione alla zoogeografia (in due parti); coste, isole e macchia mediterranea; boschi di caducifoglie; boschi di conifere e montagna; aironi italiani; ambienti palustri e antropizzati; fauna polare; praterie, steppe e deserti; montagne della Cina; Himalaya e Tibet; fauna afrotropicale nel grande salone al pian terreno, apprezzabile anche dalla balaustra superiore.

Recentemente il museo di Novara è stato dotato di un bellissimo percorso multisensoriale che, grazie all’introduzione di installazioni e dispositivi tattili, sonori e olfattivi, consente la piena fruibilità delle sale espositive a portatori di handicap visivi e uditivi e offre a tutti l’occasione per vivere esperienze più intense, coinvolgenti e formative. Grazie al coinvolgimento dell’Unione Ciechi del capoluogo e del gruppo dei sordi di Novara-Biella-Torino, è stato possibile creare allestimenti idonei, tra i quali un microambiente climatico, il sistema Loges (Linea di Orientamento Guida E Sicurezza) studiato per fornire informazioni attraverso pavimentazione a rilievo, box olfattivi, cartoline tattili, guide informative scaricabili tramite QR Code e tecnologia NFC, postazioni video accessibili anche da disabili in carrozzina e filmati fruibili anche in LIS (Lingua Italiana dei Segni).

Vi sono a Palazzo  Faraggiana altre peculiarità di rilievo nazionale: il meraviglioso Leone berbero (Panthera leo leo) di nome "Leonardo" che fa bella mostra di sé nel salone afrotropicale al pian terreno, la cui storia è interessante; le ricostruzioni ambientali accurate e scenografiche (soprattutto quelle della Garzaia di Carisio, della scogliera artica, delle praterie e dei deserti americani, oltre alle diverse vetrine del Salone afrotropicale), ispirate a quelle del museo di Milano e con splendidi sfondi di Uwe Thürnau (medesimo autore degli sfondi dei diorami milanesi); l’attenzione allo straordinario biodiverso ecosistema novarese, dalle dinamiche climatiche alle risaie;  i cortili interni del palazzo e, dal 2008, il Giardino didattico con il piccolo stagno delle rane, l’aiuola delle farfalle, la chiocciola delle piante aromatiche, l’arbusteto planiziale.

Resta non visitabile la sezione etnografica della collezione Faraggiana, destino comune di molto altro materiale museale a Novara: la raccolta relativa al museo civico (opere d'arte di vari periodi storici, provenienti da chiese e palazzi), la raccolta archeologica, la raccolta dei costumi teatrali e scenografie proveniente dal celebre Teatro Coccia, la raccolta di strumenti antichi (solo in parte collocata in una stanzetta vicina all'auditorium del Conservatorio). Anche un’enorme raccolta di strumenti e pubblicazioni antiche relative alla medicina sono stipate in magazzini rurali. Infine, rispetto a un possibile utilizzo bibliotecario, un numero enorme di volumi provenienti da lasciti di varia provenienza, sono pure conservati in altri magazzini. La città merita, comunque, una visita accurata, per le antiche tracce romane, per i quartieri medievali e spagnoli, per la notevole rielaborazione ottocentesca, per le perle dei complessi edilizi del Broletto e di San Gaudenzio (con l’altissima possente cupola, visitabile nel fine settimana), ovviamente per le intense attività della Fondazione Faraggiana e per l’enogastronomia.

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