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In Salute. Dengue: esplosione di casi in Sudamerica. E l’Italia?

Più di tre milioni e 500.000  casi probabili e poco più di 1.600 morti, in poco meno di quattro mesi. Sono i numeri della dengue in Brasile, che da inizio anno ad oggi hanno già superato il totale delle infezioni del 2023. Nel corso di un incontro tenutosi il 17 aprile presso la sede dell'Organizzazione Panamericana della Sanità (Paho) – Advances and Perspectives in Tackling Dengue , il ministero della Salute ha sottolineato tuttavia che il Paese inizia a mostrare una tendenza alla diminuzione dei casi, con dieci Stati che registrano un calo delle infezioni e 12 stabili. Solo nei territori di Paraná, Bahia, Maranhão, Ceará e Sergipe si rileva, secondo quanto riferito, ancora una tendenza all’aumento. “Stiamo iniziando a vedere una riduzione significativa dei casi – ha sottolineato Ethel Maciel, segretaria alla Sorveglianza sanitaria e ambientale del ministero – ma i numeri sono ancora alti”. 

Al momento non esistono terapie specifiche per il trattamento della patologia, ma sono disponibili due vaccini,  Dengvaxia e Qdenga. Per questo, in risposta all’emergenza, lo Stato ha acquistato 5,2 milioni di dosi del vaccino tetravalente Qdenga, mentre 1,32 milioni sono state fornite gratuitamente al Paese: a febbraio ha avuto inizio in questo modo la prima campagna di vaccinazione pubblica al mondo contro la malattia. Alcuni, però, ritengono che lo sforzo sia ancora troppo modesto per risolvere la situazione. “Per avere un impatto sui tassi - dichiara Ana Lúcia de Oliveira, esperta di malattie infettive all’Università Federale del Mato Grosso do Sul a Campo Grande, in Brasile -, c’è bisogno di una vaccinazione di massa”. E anche una vaccinazione su vasta scala, secondo i ricercatori, non otterrà risultati decisivi, se non vengono affrontati i problemi igienico-sanitari di base. C’è  chi confida per il futuro anche in un altro vaccino, non ancora approvato ma in fase di sviluppo presso l’Istituto Butantan di San Paolo che, nel corso di un trial clinico, ha dimostrato un’efficacia complessiva dell’80% contro la dengue sintomatica con una singola dose. 

Intervista completa a Claudia Fortuna, virologa del Laboratorio di riferimento nazionale per gli arbovirus dell'Istituto superiore di Sanità. Montaggio di Barbara Paknazar

Non solo Brasile

Negli ultimi 20 anni l’incidenza globale della dengue è significativamente aumentata: dal 2000 al 2019 i casi a livello mondiale sono addirittura decuplicati, passando da 500.000 a 5,2 milioni di persone infettate dal virus. E l’Organizzazione mondiale della Sanità ritiene probabile che i casi reali siano sottostimati, se si considera che in larga parte sono asintomatici e che la notifica in molti Paesi non è obbligatoria. Nel 2023 la maggior parte delle infezioni sono state segnalate proprio nella regione delle Americhe, con un totale di 4.565.911 casi, di cui 7.653 gravi e 2.340 decessi. Quest’anno la Paho ha già confermato più di 5,2 milioni di casi di dengue nelle Americhe, trainati dal Brasile come si è visto, seguito da Argentina, Perù e Paraguay. 

La malattia è trasmessa da puntura di zanzara infetta (principalmente Aedes aegypti, ma anche Aedes albopictus o zanzara tigre) e nella maggioranza dei casi decorre asintomatica o con sintomi lievi. “Il virus dengue è un po' particolare – osserva Claudia Fortuna, virologa del Laboratorio di riferimento nazionale per gli arbovirus presso il dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di Sanità –. Se è vero che nella maggior parte dei casi la malattia è asintomatica o simil-influenzale e lieve, quando una persona viene infettata per la seconda volta paradossalmente non viene protetta in maniera più efficiente dal sistema immunitario, ma ha un  rischio maggiore di sviluppare la malattia grave, perché i nostri anticorpi non riescono a neutralizzare il virus responsabile della seconda infezione. Il virus così si replica in maniera più efficiente, con titoli più alti nel sangue, e può dare origine a un quadro clinico severo, fino alla forma emorragica della malattia che tanto preoccupa e spaventa. Il rischio, dunque, è relativo soprattutto all’infezione secondaria, che dobbiamo evitare limitando la diffusione di questo virus”. Non a caso l’Organizzazione mondiale della Sanità, considerando il crescente pericolo di trasmissione e l'aumento dei casi e dei decessi, ha valutato il rischio da dengue come elevato a livello globale

Alla base dell’aumento dei casi

Le ragioni alla base del significativo aumento delle infezioni da virus dengue a livello globale, e in Sudamerica in particolare, vanno ricercate in più direzioni. “I cambiamenti climatici innanzitutto e l'incremento delle attività umane – sottolinea Cristiano Salata, professore di microbiologia e virologia all’università di Padova ­– vanno a interferire con gli ecosistemi naturali e stanno favorendo la proliferazione delle zanzare su territori che in precedenza ne erano indenni”. Proprio l’espansione della distribuzione dei vettori, unita anche alla crescita della popolazione, è uno dei fattori associati all’aumento del rischio di diffusione dell’infezione da virus dengue. “C'è una stretta associazione tra uomini e animali – sottolinea il docente – e questo vale in generale per tutte le zoonosi”. 

Un fenomeno come El Nino, che causa un forte riscaldamento delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico, può avere impatti significativi. Nel 2023, per esempio, ha provocato una forte siccità nella regione settentrionale del Brasile e questo ha costretto la popolazione a immagazzinare l’acqua per il consumo, aumentando il numero di luoghi con liquidi stagnanti e potenziali siti di riproduzione delle zanzare. Nella parte meridionale del Paese hanno avuto luogo invece numerose inondazioni, che hanno provocato un accumulo d’acqua e dunque, anche in questo caso, siti idonei al proliferare degli insetti.  

Si deve tener conto poi che la dengue si manifesta prevalentemente in contesti urbani, dove spesso la densità di popolazione è elevata. “Le città stanno crescendo – osserva Marcia Castro, della Harvard T.H. Chan School of Public Health di Boston in Massachusetts –  e stanno diventando paradisi per le zanzare”. A fronte di una crescente urbanizzazione, però, le infrastrutture igienico-sanitarie finiscono per risultare inadeguate: rifiuti non raccolti diventano terreno fertile per gli insetti, così come l’acqua stagnante. 

Secondo l’Oms anche la debolezza nei sistemi di sorveglianza di molti Paesi colpiti da dengue può causare ritardi nella segnalazione dei casi e una mancata identificazione dei sintomi, contribuendo all’aumento dei casi gravi. “Quando le arbovirosi sono endemiche – sottolinea tuttavia Claudia Fortuna – è difficile applicare le stesse regole e gli stessi strumenti che si impiegano quando si tratta di un singolo caso importato o di un piccolo focolaio. In Sudamerica ci sono molti arbovirus e il controllo è più difficile. Sono zone magari a ridosso della foresta amazzonica dove è più difficile il monitoraggio e il controllo. Inoltre servono fondi. La situazione in quei Paesi chiaramente è più complicata”. 

La situazione in Italia

“In Brasile – sostiene Cristiano Salata –  i casi di dengue sono molto numerosi e questo pone dei rischi a livello globale, anche per l’aumento dei viaggi internazionali. Le zanzare infettate, per esempio, potrebbero essere trasportate con le merci. Oppure, chi viaggia in zone endemiche può contrarre il virus e contribuire a farlo circolare una volta di ritorno nel proprio Paese, in Italia per esempio, favorendone l’inserimento nell’ecosistema”. 

Nella regione europea dell’Oms non sono mancati in questi anni focolai di dengue autoctona in alcuni Stati tra cui Croazia, Francia, Portogallo, Spagna e Italia. Nel nostro Paese la dengue rientra tra le arbovirosi soggette a sorveglianza, insieme a West Nile, usutu, chikungunya, zika, encefalite da zecca e infezioni neuro-invasive da virus Toscana, nell’ambito del Piano Nazionale di prevenzione, sorveglianza e risposta alle Arbovirosi (PNA) 2020-2025”.  Va detto che la zanzara Aedes aegypti, principale veicolo di trasmissione della malattia, non è presente sul territorio italiano, mentre circola la Aedes albopictus (la zanzara tigre). Dal primo gennaio all’otto aprile 2024 i casi di infezione da virus dengue sono stati 117, tutti legati a viaggi nelle zone endemiche. Non sono mancati in passato sporadici casi autoctoni: il primo focolaio di questo tipo  risale all'agosto 2020 con 11 casi nella regione Veneto (Italia nord-orientale), causati da un ceppo virale DENV-1 strettamente correlato a un ceppo precedentemente descritto circolante a Singapore e in Cina. 

“In Italia da anni si sta monitorando ogni caso che viene importato – argomenta Claudia Fortuna – ma ultimamente, proprio a fronte di questa situazione emergenziale in Brasile, sono state emesse diverse circolari per aggiornare il Piano: negli aeroporti e nei porti, per esempio, è previsto un aumento dei controlli non solo nei confronti del vettore, attraverso la disinfestazione dei mezzi provenienti dalle zone in cui si sta verificando l’epidemia, ma anche di chi rientra in Italia da zone endemiche. E sono stati allertati i clinici, proprio per aumentare l'attenzione verso quei sintomi particolari che potrebbero essere ricondotti poi a un'infezione da zona endemica”. 

Fortuna spiega che in caso di infezione nel nostro Paese si procede con un intervento di disinfestazione intorno all'area dove è presente il caso umano e questo abbatte la possibilità che una zanzara possa pungere il paziente infetto e successivamente trasmettere ad altri la malattia. La dengue in particolare, ma anche altri arbovirus, hanno una finestra temporale di presenza nel sangue abbastanza ridotta, quindi se si interviene nelle prime fasi dell'infezione in poco tempo si riesce a evitare la diffusione della malattia. 

“In questo momento – conclude Fortuna – dobbiamo essere vigili e i cittadini hanno un ruolo di rilievo. Sta per iniziare la stagione calda, le zanzare sul territorio aumenteranno e con esse il rischio di possibili focolai epidemici”. Piccole precauzioni possono fare la differenza: “È importante per esempio evitare di lasciare ristagni d’acqua (come nei sottovasi), dove la zanzara può deporre le uova e dove si sviluppano le larve. I viaggiatori che tornano da zone endemiche devono stare particolarmente attenti a possibili sintomi anche lievi che possono però far pensare allo sviluppo di una possibile infezione. Si tratta di piccole accortezze, ma se tutti siamo attenti il rischio si abbatte”.

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