CULTURA

Quei polacchi di Anders che liberarono l'Italia

Non lo sanno in molti, ma un filo sottile lega il popolo italiano e quello polacco. E no, non si tratta solo di Karol Wojtyla, ovvero del Papa polacco Giovanni Paolo II, uno dei pontefici più amati degli ultimi secoli, e nemmeno di Copernico, lo scienziato polacco che ha studiato proprio a Padova.
In realtà i destini di questi due popoli si sono incrociati soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale, e anche prima, durante il Risorgimento italiano, quando furono composti gli inni nazionali dei due paesi, che si citano a vicenda perché quando sono stati scritti sia l'Italia che la Polonia erano dominate dall’Impero Austro-Ungarico.
L’autore dell’inno polacco, Józef Wybicki, combatté in Italia nell’esercito di Napoleone, che aveva promesso al suo popolo l’indipendenza, e quindi tra i soldati serpeggiava un certo entusiasmo. Nel ritornello della mazurka di Wybicki si canta: “Marcia Dabrowski dalla terra italiana fino alla Polonia”. Dabrowski era il capo della spedizione e ci si augurava che dopo la spedizione in Italia avrebbe portato il suo esercito a combattere per l’indipendenza del suo paese. Ne Il canto degli italiani, quello che noi chiamiamo “Fratelli d’Italia”, troviamo: “Già l’Aquila d’Austria le penne ha perdute, il sangue d’Italia e il sangue polacco bevè col cosacco ma il cor le bruciò”.

Del rapporto tra italiani e polacchi parla diffusamente Paolo Wieczorek, insegnante in pensione, nel suo libro, Rossi papaveri a Montecassino (Manni, 2018). Qui racconta le storie della sua famiglia polacca che si snodano in un contesto più ampio, quello della storia di un intero popolo, fin troppe volte tradito dai meccanismi del potere. L’autore ha vissuto in Polonia durante l’infanzia e l’adolescenza, per poi trasferirsi definitivamente in Italia: per questo motivo ha sempre sentito una sorta di doppia appartenenza che ha deciso di celebrare nel libro, tanto più che suo padre ha combattuto nell’armata polacca che ha contribuito alla liberazione dell’Italia dai fascisti combattendo valorosamente a Montecassino, una battaglia che nei libri di storia di solito viene solo rapidamente menzionata.

Protagonista di questo episodio bellico fu il Secondo Corpo d’Armata polacco, nato in Iran nel 1943 e guidato dal generale Władysław  Anders. La data di nascita ufficiale, però, non tiene conto degli eventi pregressi che hanno portato alla creazione di questo esercito così atipico, e in particolare dell’occupazione russa e della deportazione dei polacchi in Siberia, ma soprattutto del tentativo di eliminare tutta la classe dirigente polacca messo in atto dai russi con la strage di Katyn' del 1940, quando vennero trucidate oltre 20.000 persone. Siccome tutti i laureati polacchi diventavano ufficiali, l’accanimento dei russi otteneva un duplice scopo: da una parte eliminava la classe intellettuale, e dall’altra lasciava l’esercito allo sbando.

La Polonia si trovava in una situazione paradossale: da una parte era occupata dai tedeschi, e dall’altra i russi li massacravano. L'intero governo era in esilio, e nel complesso la frase pronunciata da Mussolini nel '39 "la Polonia è stata liquidata" non andava troppo lontano dalla verità. In realtà nessuno aveva fatto i conti con l'orgoglio dei polacchi: per fronteggiare entrambe le minacce, quella russa e quella tedesca, venne istituita l’Armia Krajowa, un esercito esule di 400.000 uomini. Dopo l’invasione della Russia da parte della Germania, Stalin fu messo alle strette e fu costretto a mandare a combattere i prigionieri che teneva nei gulag, così emanò un’amnistia per tutti i polacchi ancora in vita: il 14 agosto del 1941 lui e il primo ministro esule Sikorski designarono Anders come comandante dell’armata polacca che sarebbe stata riconosciuta due anni dopo: un paese inesistente sulla carta aveva il suo esercito. Anders insistette per portare in Iran, dove sarebbe stato addestrata l'Armata, anche le donne e i bambini, che in Russia sarebbero probabilmente morti di stenti. Molti morirono comunque lungo il percorso, come racconta il giornalista dell’Associated press Anwar Farqui, ma non si può negare l'importanza umanitaria che ebbe l'impegno del generale.

L'Armata polacca è quanto di più lontano dagli stereotipi militari si possa immaginare. Per prima cosa era aperta alle donne, che però non facevano solo le infermiere o le cuoche come qualcuno si potrebbe aspettare, ma anche le autiste o addirittura le meccaniche. Le donne, comunque, non erano le uniche componenti impreviste di questo esercito: c'era anche un orso addestrato, che i soldati avevano chiamato Wojtek: un cucciolone di 250 kg che rimase con l'Armata fino al suo scioglimento, e che contribuì anche all'operazione di Montecassino.

Entriamo quindi nel vivo della storia: nel dicembre del '43 si decise di trasferire il Secondo Corpo d'Armata in Italia, dove avrebbe sostituito le truppe alleate che sarebbero invece state impegnate nello sbarco in Normandia. Nel '44 alcune truppe tedesche erano asserragliate nel monastero a Montecassino, già bombardato dagli americani, che era considerato inespugnabile: vari eserciti stranieri avevano tentato l'attacco, ma avevano fallito e i tedeschi utilizzavano questi insuccessi a scopo di propaganda: resistendo, bloccavano alle truppe degli Alleati la strada per Roma da sud. Per questo Montecassino veniva chiamata "la porta di Roma", e rimaneva chiusa. Quando gli americani avevano bombardato il monastero, tra l'altro, non c'era alcun tedesco all'interno, ma solo dei civili: proprio il bombardamento, anzi, aveva consentito all'esercito tedesco di prendere possesso delle rovine, da cui si poteva colpire agevolmente chiunque si avvicinasse. Il generale Anders, in una serie di complesse operazioni preliminari notturne, aveva fatto trasportare armi e munizioni nei dintorni dell'abazia. L'operazione fu inaspettatamente anticipata all'11 maggio del '44, perché le spie tedesche erano riuscite a scoprire la data stabilita in precedenza (doveva essere il 24 maggio): per questo l'attacco colse i tedeschi di sorpresa, in un giorno in cui molti ufficiali erano in licenza. L'operazione fu studiata a lungo, anche con l'ausilio di un plastico e di fotografie aeree. Eppure, una volta avviata, non fu facile per il Secondo Corpo d'Armata raggiungere l'obiettivo: era notte, non si vedeva neanche a un metro di distanza, e molti osservatori di artiglieria morirono durante l'attacco, esponendo la fanteria agli assalti dei tedeschi. Fu un gioco al massacro, ma Anders non si arrese, e mandò a combattere anche gli autisti e i cuochi. Il sacrificio di questi soldati, compresi quelli improvvisati, portò al ritiro dei tedeschi e alla presa del monastero da parte dei polacchi: Roma diventava più vicina, ma le perdite erano state ingenti: 860 morti, 2822 feriti e 102 dispersi.

Si potrebbe pensare che a fronte del contributo del Secondo Corpo d'Armata la Polonia potesse ottenere dei vantaggi, ma così non fu: a Roma entrò solo l'esercito americano, e a parte le congratulazioni dei vertici inglesi e americani, nonché l'opportunità di liberare Bologna entrando per primi, l'unica cosa che ottennero i soldati polacchi fu di poter tornare in uno stato sotto il controllo di Stalin, lo stesso che aveva disposto la loro deportazione nei gulag, lo stesso della strage di Katyn', lo stesso che li aveva liberati per disperazione. È vero che la Polonia guadagnò anche alcuni territori a ovest,a discapito della Germania sconfitta, ma la speranza di Anders e dei suoi soldati era quella del ripristino dei confini originari, che non si verificò. Quando il Secondo Corpo d'Armata, alla fine della guerra, fu ufficialmente sciolto, pochi cercarono di tornare in una Polonia dove i russi facevano il bello e il cattivo tempo (vedi il film del 2017 Agnus dei, che ricorda lo stupro delle residenti di un convento polacco da parte dei russi), in troppi ricordavano il massacro di Katyn'. Anche Anders rimase in Italia, e si diede da fare per costruire dei campi dove i suoi soldati poterono stabilirsi e ricevere un'istruzione. Molti sposarono donne italiane, ed è anche per questo che nel nostro paese si possono trovare cittadini italiani e italofoni con un cognome polacco. Molti emigrarono in altri paesi, ma chi scelse di tornare in Polonia ebbe delle difficoltà, perché i componenti dell'esercito erano visti come delle entità legate al governo esule, e non a quello ufficiale che si era insediato in Polonia alla fine della guerra. Anders in patria non ci tornò mai, anzi: fu privato della cittadinanza polacca, e ora riposa nel cimitero di guerra di Montecassino, accanto ai suoi soldati.

Questo risultato potrebbe dare alla presa di Montecassino il sapore di una vittoria di Pirro, ma ciò non toglie che senza i polacchi le sorti della Seconda Guerra mondiale sarebbero potute essere diverse. Forse l'eroismo ha poco valore di fronte alla realtà dei fatti, ma non si può negare che questi polacchi furono fedeli a quegli ideali a cui avevano giurato fedeltà. Se questo conta di più di una linea di confine, sta ai posteri giudicarlo, e anche per questo la storia di Montecassino non va dimenticata. E sulla pagina del libro dei visitatori della casa di Mussolini, c'è ancora la scritta del generale Rudinski, che ha comandato le operazioni miliare dei polacchi in Emilia:

La Polonia non è liquidata

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