SCIENZA E RICERCA

In Africa il virus è meno presente. Perché?

I contagi da SARS-CoV2 rilevati in tutto il mondo hanno ormai superato le 200.000 unità. Il numero di contagiati in Europa ha superato le 75.000 unità e si avvicina rapidamente a quelli in Cina, dove l’epidemia sembra aver fortemente rallentato fin quasi a bloccarsi. Il virus si sta diffondendo in tutto il mondo. Molto meno, per fortuna, nel continente, l’Africa, ritenuto il meno attrezzato, dal punto di vista dell’organizzazione sanitaria, a gestire l’emergenza.

Fino al momento in cui scriviamo, secondo i dati pubblicati dal worldometer (in tutto il continente nero i contagiati sono 568, pari allo 0,28% del totale. A fronte di una popolazione che rappresenta il 15,6% di quella mondiale. Non c’è dubbio: l’incidenza di Convid-2019 in Africa è molto più bassa che negli altri continenti.

Il paese africano con il maggior numero di contagi è l’Egitto (210). A nord del Sahara ci sono anche contagiati in Algeria (75), Marocco (54), Tunisia (29). Della Libia non si hanno dati. 

Se sottraiamo al totale africano questi numeri, possiamo verificare che i contagi rilevati nell’Africa sub-sahariana sono 229, pari allo 0,11% del totale planetario. Per quanto ogni contagio è un dramma e, talvolta, una tragedia, ancora una colta non c’è dubbio: nell’immensa regione a sud del Sahara SARS-CoV2 è penetrato poco. O meglio, il numero di contagiati rilevati è bassissimo. Perché?

I fattori che gli analisti prendono in considerazione sono, sostanzialmente, quattro. Non necessariamente alternativi. Il primo riguarda la credibilità di questi dati. Forse il numero di contagiati è maggiore – addirittura enormemente maggiore – ma nessuno li ha contabilizzati. Perché in Africa la verifica del contagio – a partire dal famoso tampone – non è organizzata come nell’Asia sud-orientale, in Europa e in Nord America. Questo era vero pressoché in assoluto nei primi giorni dell’epidemia in Cina, a gennaio. Ma ora pare che siano almeno cinquanta gli stati africani in grado di rilevare la presenza del virus. Non sappiamo con quanta efficacia. Tuttavia resta il fatto che il primo contagiato rilevato in Egitto è stato un turista tedesco proveniente dall’Europa. E il primo dei tre contagiati a tutt’oggi rilevati in Nigeria, lo stato più popoloso dell’Africa (200 milioni e più di abitanti), era un italiano giunto in aereo nel paese per motivi di affari. Questi casi aneddotici più che statistici ci dicono tuttavia due cose: il virus a nord come a sud del Sahara sembra essere stato portato da visitatori non africani e, in ogni caso, la loro presenza è stata rilevata. Il che significa che questi due paesi hanno dimostrato di avere una certa capacità di effettuare test efficaci.

Il secondo motivo per cui l’Africa sub-sahariana in particolare sembra resistere alla diffusione del coronavirus risiede nella giovane età media. L’Africa è un continente giovane. A sud del grande deserto l’età media è di appena 19 anni. Tutti gli studi sulla capacità di contagio di SAR-CoV2 sembrano indicare che il virus attacchi maggiormente persone di età maggiore, soprattutto anziani. Bisognerebbe, però, verificare se i giovani hanno una minore propensione a subire il contagio o se, invece, vengono contagiati ma non manifestano sintomi. Se i giovani africani sono contagiati asintomatici, bisognerebbe spiegare perché non sembrano diffondere il contagio nelle fasce di età più anziana. Ma necessita una spiegazione anche se ci trovassimo nel caso opposto, che il contagio non avviene. Le prime analisi effettuate sulla popolazione afroamericana negli Stati Uniti sembrano escludere ogni causa genetica. Il virus sembra diffondersi con le medesime velocità in ogni gruppo etnico.

Una terza causa presa in esame è quella della temperatura. In Africa, soprattutto nell’Africa sub-sahariana, la temperatura media è più alta che in Europa. E potrebbe essere che il virus ha difficoltà a circolare in queste condizioni meteo. Non c’è nessuna prova scientifica che sia così. Ma l’ipotesi, se verificata, sarebbe importante per tutti: perché l’alta temperatura costituirebbe una difesa importante per gli 1,2 miliardi di persone che vivono in Africa e perché, con l’avvicinarsi della primavera e poi dell’estate, anche da noi, in Europa, la diffusione del SARS-CoV2 diminuirebbe in maniera naturale. 

La quarta causa presa in esame è sia di tipo naturale (immunologico) sia di tipo organizzativo. Gli africani, soprattutto quelli che vivono a sud del Sahara, ingaggiano costantemente battaglia con gli agenti patogeni, virus compresi. Proprio in questi giorni sembra che in Congo abbiano vinto il virus di Ebola, che negli ultimi mesi ha ucciso 2.264 persone su 3.444 contagiati. Secondo un’ipotesi da verificare gli africani avrebbero un sistema immunitario più attrezzato del nostro per resistere agli attacchi dei patogeni, virus compresi.

E, al contrario di quanto si pensi, hanno anche sistemi di rilevamento e contrasto delle malattie infettive che magari farebbero storcere il naso a chi punta (giustamente) sul carattere di rigore delle diagnosi e delle terapie, ma che sono piuttosto efficaci. Non a caso il Congo, paese interessato da una guerra a bassa intensità (così le chiamano queste guerre laceranti), sta sconfiggendo il virus dell’Ebola proprio in questi giorni con scarsi aiuti internazionali. E non a caso nel 2013 e 2014 altri paesi (Liberia, Guinea, Sierra Leone, Mali, Nigeria, Senegal) hanno pagato un duro tributo a un virus (oltre undicimila morti su quasi ventinovemila contagiati), quello di Ebola, altamente contagioso e altamente letale. 

Come hanno fatto? Con una forte determinazione, l’isolamento assoluto dei contagiati e un grosso aiuto internazionale. Una ricetta valida ovunque anche nel caso di un virus ipercontagioso ma non brutalmente letale come il SARS-CoV2.

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