SOCIETÀ

I rapporti tra India e Pakistan sono tornati a livelli di tensione altissimi

Sull’orlo di un conflitto nucleare, tra reciproche accuse, minacce, attentati, provocazioni, rivendicazioni. I rapporti tra India e Pakistan sono tornati a livelli di tensione altissimi. E il motivo è sempre lo stesso, da settant’anni a questa parte: la sovranità del Kashmir, una regione tutt’altro che morbida, nonostante sia nota in tutto il mondo per la pregiatissima lana che lì si produce, divisa “d’ufficio” (e su base religiosa) nel lontano 1947 con la speranza di riportare un po’ di ordine in quella terra contesa, dopo la fine dell’amministrazione britannica. Non è bastato. Il taglio netto di quella terra (musulmani da una parte, indù dall’altra) obbligò alla migrazione un’enorme massa di popolazioni che si trovarono a professare la loro religione nel luogo sbagliato. Da allora è stato un susseguirsi ininterrotto di conflitti, di attacchi, recriminazioni, provocazioni.

Un confine virtuale ci sarebbe, la “linea di controllo” tracciata nell’accordo internazionale di Simia, firmato nel 1972 tra i due governi

Un confine virtuale ci sarebbe, la “linea di controllo” tracciata nell’accordo internazionale di Simia, firmato nel 1972 tra i due governi (il premier Indira Gandhi per l’India, il presidente Zulfiqar Ali Bhutto per il Pakistan) per interrompere le ostilità della guerra indo-pakistana del 1971. Ma è soltanto una linea di “cessate il fuoco”: nulla di più. E ora, di nuovo, la situazione sta precipitando.

Il groviglio Kashmir: tre aree contese

Oggi la regione del Kashmir è divisa in tre aree, governate da Pakistan, India (ma entrambe ne rivendicano la piena sovranità) e Cina, che controlla lo Xinjiang, regione autonoma che comprende i territori Aksai Chin (sui quali l’India reclama un diritto) e Shaksgam. In più c’è l’area del ghiacciaio Siachen, al confine fra i tre Stati, che non ha un confine definito, ma è controllata dall'India. Questione mai risolta, un nodo inestricabile dove spingono ragioni di terra, di radicali differenze culturali e religiose (induisti, musulmani), le pretese d’indipendenza delle popolazioni locali. Ma soprattutto l’escalation di violenza e di attentati che flagellano con regolarità quei territori. All’infinito. Tra reciproche accuse e sospetti.

A innescare l’ultima crisi, e a far precipitare ulteriormente la situazione, è stato un attentato suicida compiuto il 14 febbraio scorso, con 46 vittime, tutti agenti di sicurezza indiani che viaggiavano in un convoglio attraverso la regione di Jammu e Kashmir (controllata dall’India). L’aviazione indiana, per rappresaglia, il 26 febbraio ha bombardato in territorio pakistano un campo di addestramento del gruppo terroristico Jaish-e-Mohammad, che Nuova Delhi ritiene responsabile dell’attentato. L’India accusa apertamente Islamabad di proteggere i terroristi. E il 5 agosto scorso ha revocato unilateralmente (cancellando l’articolo 370 della Costituzione indiana) l’autonomia della parte di Kashmir da lei controllata (i territori denominati Jammu e Kashmir), scatenando le proteste dello stesso Pakistan e della Cina, che a sua volta governa non senza tensioni (per le continue e massicce pretese d’indipendenza), lo Xinjang cinese, che si trova a Est del Kashmir indiano. «Il Jamnu e Kashmir occupato dall'India è un territorio conteso, riconosciuto come tale dalla comunità internazionale» - è scritto in una nota del ministero degli esteri pakistano diffusa all’indomani della revoca firmata dal primo ministro indiano, Narendra Modi. «Nessun passo unilaterale del governo indiano può cambiare lo status di territorio conteso, così come la popolazione della regione non accetterà mai un tale cambiamento».

Eserciti schierati, tensione alle stelle

Mehbooba Mufti, presidente del Jammu and Kashmir Peoples Democratic Party, ha così commentato pochi minuti prima di essere fermata e posta agli arresti domiciliari “come misura precauzionale” (e come lei, il leader della Conferenza nazionale, Omar Abdullah): «Il governo indiano ha spinto i kashmiri per l’ennesima volta nel baratro. Non possiamo fare altro che opporci a questo attacco, illegale e incostituzionale, alla nostra dignità». Per poi concludere: «La gente del Jammu e del Kashmir, che aveva riposto la sua fiducia nelle istituzioni dell'India, si sente sconfitta e tradita. Smembrando lo Stato e portando via in modo fraudolento ciò che è nostro per legge, hanno ulteriormente complicato la disputa sul Kashmir». Il Pakistan, inoltre, ha accusato Nuova Delhi di aver preso a pretesto la revoca dell’autonomia per puntellare e ulteriormente militarizzare il confine. Come ha dichiarato Masood Khan, presidente della parte del Kashmir sotto il controllo del Pakistan: «C'erano già 700mila soldati dell'esercito indiano in Kashmir prima del 5 agosto. Da allora, sono stati fatti entrare e schierati altri 180.000 soldati». Ma anche l’esercito pakistano è già schierato.

Kashmir indiano: coprifuoco e accuse di torture

Nel Kashmir indiano la situazione è drammatica: è tuttora in vigore il coprifuoco decretato dalle autorità di New Delhi. E’ stato imposto il blocco totale delle comunicazioni mobili e, per tutti i cittadini, di internet. Le notizie filtrano con estrema difficoltà. Oltre un centinaio tra accademici locali e attivisti sarebbero sotto sorveglianza, e molti di questi ultimi, come riporta il quotidiano Hindustan Times, si troverebbero in stato di fermo a Srinagar, nel palazzo dei congressi trasformato in un centro di detenzione. Mentre i principali leader separatisti sarebbero detenuti nel lussuoso hotel Centaur che si affaccia sul lago Dal, come riporta l’Hindustan Times. Un giornalista pakistano, Ahmad, ha raccontato all’agenzia d’informazione Sir: «In Kashmir la situazione è tragica e c’è molta paura. Con il coprifuoco la gente non esce di casa e non va al lavoro, le scuole sono chiuse. Il grande problema sarà il reperimento di cibo e acqua». In un’altra inchiesta, realizzata dalla Bbc, alcuni testimoni accusano apertamente di torture l’esercito indiano. «Mi hanno picchiato su tutto il corpo. Ci hanno preso a calci, picchiato con bastoni e cavi, ci hanno colpito con scariche elettriche. Ci picchiavano sul retro delle gambe e se svenivamo ci davano scosse elettriche per farci riprendere. Quando ci colpivano e noi urlavamo, ci tappavano la bocca col fango». Il portavoce dell’esercito indiano, colonnello Aman Anand, ha smentito le accuse.

La “nuova India” di Narendra Midi: uno Stato induista

Questioni di terrorismo? Non soltanto. Sono in molti a ritenere che il premier indiano Narendra Modi abbia preso al volo l’occasione per fare un deciso passo verso quella che chiama “la nuova India”, secondo la sua visione. Modi è un nazionalista e non ha mai fatto mistero di puntare a uno stato dichiaratamente induista, di smantellare i diritti delle minoranze e di colpire soprattutto le comunità musulmane. Ha cominciato dal Kashmir, unica regione indiana a maggioranza musulmana, cancellando l’articolo 370 della costituzione che garantiva alla regione il suo status speciale e la sua indipendenza. Modi è al potere dal 2014, e i suoi consensi aumentano a ogni tornata elettorale, compresa l’ultima, lo scorso maggio. «In meno di 70 giorni del nuovo governo, l'articolo 370 è diventato storia», ha dichiarato trionfante il premier all’indomani del provvedimento. Una vittoria indiscutibile per la destra indù.

Il premier pakistano: «Nessuno può vincere una guerra nucleare»

Una mossa che ha spiazzato il Pakistan. Il primo ministro pakistano, Imran Khan, in un recente discorso alla nazione, ripreso dall’emittente statunitense Voice of America, è stato esplicito: «Voglio parlare ai capi di Stato, e portare all’attenzione di tutti la situazione attuale del Kashmir. Se la questione si risolverà con una guerra, ricordate che entrambi i Paesi hanno armi nucleari. E nessuno vincerebbe una guerra nucleare, perché la distruzione non si limiterebbe solo a questa regione: il mondo intero dovrebbe affrontarne le conseguenze». Firstpost, un sito di notizie indiano, legge la situazione così: «Islamabad ha poche opzioni. Nella disperazione, sta minacciando di usare armi nucleari per spaventare le nazioni occidentali ad agire contro l'India, salvo aggiungere che il Pakistan non sarà il primo a premere il pulsante. L’India sta reagendo con calma e coerenza, consigliando al Pakistan di accettare la realtà che il Kashmir è una questione interna dell'India». Come è accaduto recentemente alle Maldive, durante un incontro internazionale sullo sviluppo sostenibile. Il delegato pakistano ha sollevato la questione del Kashmir, mentre quello indiano ha replicato: «Siamo fortemente contrari a sollevare la questione interna dell'India in questo forum. Rifiutiamo anche la politicizzazione di questo vertice sollevando questioni estranee al tema in discussione».

Anche Trump è preoccupato: «Mi offro come mediatore»

Schermaglie dunque? Al momento sì, ma il rischio di un conflitto nucleare resta altissimo e preoccupa enormemente le cancellerie internazionali. A partire dagli Stati Uniti. Il presidente Donald Trump si è offerto come mediatore e ha dichiarato, pochi giorni fa: «Il Kashmir è un posto molto complicato, ci sono gli indù e i musulmani e non direi che vanno d'accordo». Preoccupato anche il senatore e candidato democratico, Bernie Sanders che ha incoraggiato il governo degli Stati Uniti a «parlare con coraggio» a favore di una risoluzione pacifica appoggiata dalle Nazioni Unite per risolvere il problema, chiedendo poi l’immediata fine del blocco delle comunicazioni in Kashmir. Ma non sono certo concilianti le dichiarazioni rese poche ore fa dal ministro dei Trasporti pakistano, Sheikh Rashid Ahmed, che ha nuovamente e apertamente minacciato l'India di possibili attacchi atomici con mini ordigni (nano-bombe da 125-250 grammi) pronte a colpire l'India in qualunque momento, avvertendo che in caso di nuova guerra, questa sarebbe «l’ultima tra i due Paesi». «Il dialogo – ha aggiunto - sarà possibile solo se l'India farà un passo avanti verso la risoluzione della questione con il Kashmir, come previsto dalle risoluzioni dell'Onu. Se imporranno la guerra al Pakistan, l’India sarà smembrata», ha minacciato Ahmed. Il ministro degli esteri pakistano, Shah Mehmood, ha invece riferito che il suo governo sta prendendo in considerazione l’ipotesi di chiudere nuovamente lo spazio aereo all’India, com’era già avvenuto appena dopo l’attacco del 26 febbraio al presunto campo di addestramento del gruppo jihadista Jaish-e-Mohammed, nel nord ovest del Pakistan. Il giorno successivo, 27 febbraio, c’era stato un combattimento tra aerei indiani e pakistani nel settore di Nowshera, nel Jammu e Kashmir, al termine del quale l’esercito di Islamabad aveva catturato un pilota indiano, poi rilasciato (dopo fortissime pressioni internazionali) l’1 marzo. Il Pakistan aveva riaperto il suo spazio aereo per tutti i voli il 16 luglio scorso.

Gli arsenali nucleari a disposizione di India e Pakistan

Insomma, tensione alle stelle. Resta il problema, enorme, degli arsenali in mano ai due paesi. Secondo i dati forniti dal Sipri, l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace, con sede a Stoccolma, il Pakistan possiede tra le 150 e le 160 testate nucleari. L'India ne ha appena meno, tra le 130 e le 140, ma può comunque contare sugli Agni III (missili balistici progettati dall’India) che possono colpire a 2500-3000 chilometri di distanza (contro i 2000 km di gittata massima dei missili pakistani). L’India possiede anche sottomarini nucleari e missili da crociera supersonici, i BrahMos, sviluppati con la collaborazione di Mosca. L’ultimo rapporto del Sipri dice che, a fronte di una diminuzione delle testate nucleari nel mondo, Cina, India e Pakistan stanno aumentando la dimensione delle loro capacità. L’ultimo discorso, tenuto il 5 settembre dal primo ministro pakistano, Imran Kahn, dà l’esatta misura del livello di tensione raggiunto: «Ho informato il mondo che il Pakistan non vuole la guerra, ma non possiamo ignorare le sfide alla nostra sicurezza e integrità. Siamo pronti a dare al nemico la risposta più completa possibile. Siamo pronti a fare sacrifici per i nostri fratelli del Kashmir, adempieremo al nostro dovere fino all'ultimo proiettile, agli ultimi soldati e all'ultimo respiro».

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