SCIENZA E RICERCA

Alcune precisazioni sulla medicina tradizionale

La mia intervista a commento della “Traditional Medicine Strategy” dell’OMS ha suscitato diverse polemiche principalmente dovute, credo, al fraintendimento di alcune informazioni che era mia intenzione discutere e comunicare. Di questo fraintendimento, ritengo di essere il principale responsabile, ragion per cui mi sento in dovere, innanzitutto, di porgere le mie scuse sia ai lettori sia alla redazione de Il Bo Live e, in secondo luogo, di tentare di rimediare con queste mie ulteriori parole a chiarimento di quanto detto in precedenza.

In un primo momento, alcune reazioni mi hanno fatto sorridere, perché mi è sembrato assurdo che sia potuto apparire come un sostenitore delle medicine alternative, pronto a consigliare i lettori di rivolgersi a sedicenti sciamani, piuttosto che alle cure della medicina scientifica. Subito dopo, tuttavia, mi sono reso conto di quanto questi temi siano delicati e persino scottanti, visto l’attuale clima culturale, e di quanto sia stato incauto nel trattare certi argomenti senza dedicare la massima attenzione a ogni singola parola utilizzata. Nella mia intervista, infatti, discuto di molte cose che, sebbene legate fra loro, avrebbero meritato una trattazione separata, se pur breve. Tenterò, in questa sede, di riordinare alcune idee, limitandomi solo a pochi aspetti per ovvi limiti di spazio.

Per quanto riguarda la “Traditional Medicine Strategy” dell’OMS, credo sia importante sottolineare, innanzitutto, che qui si parla di “medicine tradizionali” e non di “medicine alternative”. Il programma dell’OMS, infatti, non concepisce nemmeno la possibilità di sdoganare un qualsiasi tipo di medicina che sia in un qualsiasi modo “alternativa” alla medicina scientifica diremmo “occidentale”. In secondo luogo, ritengo che si tratti di un’impresa non solo scientifica, ma anche umanitaria. Lungi da voler valorizzare l’uso di pratiche inutili o persino dannose per l’uomo o l’ecosistema, come l’uso di corna di elefanti o denti di tigre, ha come fine proprio quello di separare, attraverso un metodo rigorosamente evidence based, quelle pratiche e quelle sostanze che possono avere un reale effetto benefico da quelle che invece non dimostrano alcuna potenziale efficacia. Visto che le medicine tradizionali sono, di fatto, l’unica opzione terapeutica per centinaia di milioni di persone in tutto il mondo e visto che l’introduzione sistematica dei metodi, delle procedure e dei preparati della medicina scientifica in ogni angolo del pianeta comporterebbe un’impresa economicamente insostenibile, l’OMS ha optato, credo, per una scelta ragionevole. Cioè quella di supportare le medicine tradizionali, nei luoghi stessi in cui vengono praticate, di modo che adottino composti e procedure che dimostrino di non essere inutili, pericolosi o persino dannosi, ma che anzi abbiano certificato una se pur blanda efficacia attraverso il metodo evidence based sponsorizzato dall’OMS stessa.

A questo riguardo, mi permettevo di sottolineare, sebbene non in modo sufficientemente chiaro e articolato, che si stanno accumulando interessanti evidenze scientifiche che sembrano rivelare che certi antichissimi metodi di cura, fino a qualche tempo fa ritenuti del tutto infondati, nascondano, in realtà, un “razionale” e abbiano, effettivamente, una certa efficacia. L’approccio che potremmo definire, sebbene in modo improprio, “mente-corpo” tipico di molte tradizioni orientali, per esempio, sembra possa determinare tangibili e misurabili effetti benefici da un punto di vista fisiologico. Si stanno raccogliendo dati ematochimici piuttosto sorprendenti a riguardo. Per quanto riguarda l’agopuntura, temo di aver commesso un errore a nominarla, perché questa disciplina viene spesso intesa e presentata come alternativa e persino in opposizione ai metodi di cura occidentali. Non è questa, dunque, la sede adatta per parlarne. Mi limiterò a dire che, ovviamente, sono necessari ancora molti studi evidence based per certificare la possibile efficacia di questa tecnica, ma ritengo che i dati che, a oggi, abbiamo a disposizione, secondo tutti i limiti del caso, siano promettenti. Fermo restando che un’agopuntura scientificamente efficace non possa e non debba essere presentata come in alcun modo “alternativa” alla medicina “occidentale”.

Mi si permetta, a riguardo, un’ultima annotazione. Di fronte a conoscenze millenarie come quelle tramandate dalle medicine tradizionali, una scienza occidentale “matura” dovrebbe, a prescindere, avere un atteggiamento di apertura, senza con ciò, ovviamente, concedere nulla a ciò che non sia dimostrabile e ripetibile. Il fatto che certe pratiche terapeutiche abbiano resistito nei millenni, infatti, può deporre a favore di una loro possibile utilità. Sia chiaro, naturalmente, che ciò può essere vero solo in alcuni casi. Se, infatti, tali pratiche avessero compromesso la salute delle popolazioni che le sviluppavano, attuavano e tramandavano, con ciò stesso avrebbero gradualmente eliminato quelle stesse popolazioni e, dunque, se stesse. In questo senso, anche le procedure magico religiose che, sino a qualche tempo fa, restavano semplicemente relegate nel regno della superstizione e, tutt’al più, facevano sorridere dell’ingenuità delle antiche popolazioni che le praticavano, oggi potrebbero rivelare, sulla base di rigorose indagini sperimentali, una qualche sorprendente efficacia biologica. Tuttavia, in questa sede non è possibile approfondire la questione, che meriterebbe ben altro spazio per la sua complessità.

Ora, un conto è la gestione, la verifica scientifica e la possibile “depurazione” delle medicine tradizionali nei luoghi in cui esse vengono praticate. Tutt’altra cosa è l’eventuale introduzione di sostanze e pratiche tradizionali all’interno della medicina scientifica di stampo occidentale. A priori non vedo perché escludere questa possibilità, sebbene i fatti dimostrino che ciò debba essere fatto con estrema cautela, viste le possibili strumentalizzazioni del mercato sanitario. Essendo la domanda per la salute sempre alta, è costante il rischio che soggetti senza scrupoli e senza alcuna preparazione scientifica possano approfittarsene. In questo caso, dunque, la verifica evidence based di ogni elemento dovrà essere forse ancor più rigorosa di quanto accade per i luoghi originari delle medicine tradizionali, perché non si è di fronte all’unica e inevitabile opzione terapeutica, ma, al contrario, ci si trova confrontati con il sistema medico più avanzato e tecnologicamente sofisticato possibile. Tuttavia, la filosofia di fondo, riguardo a questa possibile introduzione, può rimanere simile. Cioè, se una certa procedura o sostanza vegetale “tradizionale” dimostra scientificamente di possedere una qualche efficacia, si può pensare di introdurla come opzione complementare per i nostri pazienti, la scelta della quale sarà presa sulla base di un preciso calcolo fra costi e benefici. Qui non si sta parlando, dunque, in nessun modo di medicine alternative, ma di opzioni complementari la cui unica ragione d’essere debba riguardare la possibilità di offrire al paziente il miglior trattamento possibile in un contesto economico necessariamente limitato. Mi si permetta un esempio. Si deve indubbiamente continuare a seguire e trattare un paziente post-infartuato secondo i protocolli standard della medicina “occidentale”, che tra l’altro continuano a essere sempre più raffinati ed efficaci. Tuttavia, a questo paziente potrebbero essere insegnate alcune tecniche di respirazione e rilassamento di ispirazione “tradizionale” che, se costantemente seguite e coltivate, potrebbero permettere di diminuire il dosaggio di farmaci a cui viene sottoposto in virtù degli effetti benefici, biologici e strettamente misurabili, che sembrano poter comportare, per esempio, sulla portata cardiaca e sulla pressione sanguigna. Il bilancio economico, in questo modo, potrebbe essere vantaggioso. Il costo, cioè, del training del paziente in ambito “mente-corpo” potrebbe essere ampiamente ripagato dall’economia realizzata dalla diminuzione del trattamento farmacologico “standard”. 

Le medicine tradizionali, anche per le limitazioni tecniche caratteristiche dei periodi nei quali sono state sviluppate, dedicavano ampio spazio allo stile di vita, in quanto essenziale nella prevenzione e nel mantenimento della salute. Nell’ambito della medicina preventiva, dunque, esse possono rappresentare un’importante fonte di ispirazione non solo per la medicina, ma anche per la cultura occidentale. Le cui stesse radici culturali, tra l’altro, piene di affinità e connessioni con culture solo apparentemente lontane, dovrebbero essere altrettanto riscoperte e valorizzate. Basti pensare al concetto squisitamente classico di filosofia come stile di vita, come terapia della mente e dell’anima e, di conseguenza, del corpo stesso.

Concludo con un’ultima, brevissima nota a commento di alcune mie parole sul metodo scientifico che possono aver suscitato ulteriori perplessità. Voglio sottolineare, cioè, che mi riferivo al fatto che, in medicina, una procedura terapeutica, per essere scientificamente validata, deve essere, innanzitutto, ripetibile. Il che comporta, ovviamente, che sia misurabile. Questi, inoltre, sono stati i criteri principali che hanno permesso, nel corso di questi ultimi secoli, l’imposizione e lo sviluppo della medicina scientifica. Come accennavo, una nuova opzione terapeutica si è spesso imposta anche senza la conoscenza dei meccanismi fisiologici, cellulari e molecolari alla base della sua efficacia, a dimostrazione che, in medicina, conta, innanzitutto (anche se non esclusivamente), l’efficacia dell’atto terapeutico. Tuttavia, queste mie parole non volevano certamente esaurire un problema straordinariamente complesso, come quello della natura del metodo scientifico in medicina e nella scienza in generale.


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