CULTURA

Atelier d'artista: Ettore Greco

Nei giorni in cui questa serie veniva ideata, progettata e lentamente realizzata, un episodio dopo l'altro, usciva per Einaudi Lo studio d'artista del critico e storico dell’arte inglese James Hall, un libro che già nel titolo non fa mistero della propria sostanza e che, nella sovraccoperta, mostra Lucian Freud nel suo studio con la modella Ria Kirby e il ritratto di lei sullo sfondo (la foto di David Dawson è del 2007). Si tratta di una pubblicazione che dialoga in maniera naturale e spontanea con il nostro progetto, pur incrociandone il percorso solo casualmente. La constatazione di un interesse anche editoriale per l’argomento ci porta a credere che questo sia il momento giusto per inaugurare una serie maturata piano piano, un artista alla volta, e ancora in fase di sviluppo. È un progetto destinato a crescere, ma può iniziare a svelarsi.

Quale la domanda/motore? La serie nasce con l'obiettivo di indagare il rapporto tra l'artista e il suo spazio di creazione, ovvero lo studio, l'atelier, per capire quanto un luogo influisca nello sviluppo del pensiero artistico individuale e, infine, nella realizzazione concreta di un'opera: una scultura, un dipinto, un gioiello, una composizione musicale. 

“Il termine italiano studio - inizialmente studietto e studium - fu coniato per la prima volta a Padova nel XV secolo”, scrive Hall nel suo libro. “Era l’equivalente artistico dello studio di un erudito, o studiolo: una stanza privata dove l’artista lavorava su piccola scala, produceva disegni, modellava in cera e argilla, conservava collezioni di disegni e calchi in gesso e si dedicava sporadicamente alla lettura, alla scrittura e alla riflessione […] Studio è entrato nella lingua inglese alla metà del XVIII secolo per indicare uno schizzo e poi, intorno al 1800, nel senso moderno, per definire i locali dell’artista […] In Francia, il termine atelier viene usato indiscriminatamente dal Medioevo per indicare i luoghi di lavoro di artigiani e artisti”.

Servizio di Francesca Boccaletto e Massimo Pistore

Il tuo atelier deve diventare il prolungamento dei tuoi pensieri Ettore Greco, scultore

Il primo episodio di Atelier d'artista è dedicato allo scultore padovano Ettore Greco: siamo andati a trovarlo nel suo studio nel centro storico di Padova, poche settimane prima dell'inaugurazione della sua personale, allestita nel dicembre 2022 alla Salle des Expositions de la Mairie du 8ème di Parigi.

Greco ci accoglie in un atelier vivo, pieno di opere, scritte sui muri, latte di colore, strumenti e blocchi d'argilla, locandine, libri, fotografie, piccoli oggetti e fogli con schizzi e pensieri sparsi, lasciati qua e là. Iniziamo da uno spazio che centra subito l’obiettivo e rispecchia perfettamente l'idea più bohémien di atelier (definizione che non piace al nostro scultore e, guardando il video, capirete perché).

Inizia a lavorare giovanissimo per altri artisti: "Erano lavori di tipo artigianale, busti, medagliette, ingrandimenti. Quando poi ho trovato il mio spazio, ho iniziato a pensare a quello che potevo essere io come scultore. Se hai qualcosa da dire, allora sei un artista - spiega -. Il primo spazio in cui ho lavorato era di Andrea Pardini (scultore e maestro di Greco, ndr), ero ospite". Poi si sposta in un piccolo spazio dietro Prato della Valle, "era bello e romantico, io avevo 27 anni e potevo stare anche al gelo, c'erano spifferi ovunque". Lì resta per un po', giusto il tempo di cercare e infine trovare lo spazio che ancora oggi è il suo atelier: "Sono qui da tanti anni, ma non voglio morirci, perché per voi è romantico, ma per me no. Ritengo che le mie sculture meritino un luogo ampio e professionale. Qui c'è la mia anima, ma il prossimo passo sarà quello di trovare un atelier più grande".

"Ora gli artisti progettano molto, decidono a tavolino le installazioni e poi agiscono. Invece, io vivo nell'atelier, un po' croce e un po' delizia: è il mio spazio di libertà ma anche la mia prigione perché tutto nasce qui dentro e quando un'opera si porta altrove deve trovare una ragione d'essere anche nelle gallerie o negli spazi pubblici. Sono arrivato a dei compromessi ma resto un istintivo: arrivo in studio, osservo molto le mie sculture, perché è come guardarmi allo specchio, e così trovo ispirazione per nuove cose. Posso stare due ore o due giorni in atelier senza fare niente o ben poco, poi arriva il momento: prendo l'argilla, la trasformo, ci vedo delle cose dentro e lavoro finché questa massa informe diventa una scultura".

"L'intensità delle mie opere è anche il motivo per cui ne vendo poche: tutti mi dicono 'sono bellissime ma in casa non me le metterei'. Tanti le trovano inquietanti e questo mi ha sempre disturbato. Ho provato a realizzare opere più liriche, più leggere ma non mi è mai riuscito e quindi sono destinato a rimanere povero, come tutti gli artisti che si rispettino".

Lo spazio è in continuo cambiamento, non resta mai uguale per troppo tempo, e risponde a un principio personale di ordine: "Poco prima del vostro arrivo, quei quattro barattolini di colore li ho messi vicini, ho creato il mio ordine. Inoltre, questo è un deposito di sculture: io le faccio e le accumulo, per esempio prima che vadano in mostra. Quelle della mostra di Parigi sono sistemate secondo un ordine che piano piano dovrà assomigliare all'allestimento. Creo dialoghi tra le opere e quello che può sembrare disordine in realtà è un preciso ordine mentale: se ci sono oggetti che da troppo tempo stanno fermi in un posto, io li tolgo, ho l'impressione che lentamente vadano a morire. A volte scopro la bellezza di alcune sculture, solo perché le ho spostate. Lo studio per me è anche questo: capire come gli oggetti stanno nello spazio".


Atelier d'artista

Una serie ideata e realizzata da Francesca Boccaletto e Massimo Pistore

Interviste di Francesca Boccaletto, riprese e montaggio di Massimo Pistore

Con la consulenza artistica di Giulia Granzotto

Si ringraziano per la collaborazione Enrica Feltracco e Massimiliano Sabbion


Tutti gli episodi della serie Atelier d'artista sono QUI

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