Lucio Schiavon nel suo atelier. Foto: Massimo Pistore
"Il mio lavoro è vivo, vissuto nel qui e ora". Lucio Schiavon ha un'anima jazz. Il suo atteggiamento, le sue parole, i suoi pensieri e le sue stesse opere rivelano un ritmo, un battito, un irresistibile riff. "In tanti mi dicono che sono un disegnatore jazz, che ho un processo creativo jazzistico, questa cosa mi piace". Il protagonista del settimo episodio di Atelier d'artista è un illustratore con uno stile unico, originale, inconfondibile. “Amo provare un senso di libertà in ciò che faccio ed è quello che succede nell'improvvisazione”. Profondamente legato alla provincia veneziana in cui è nato e ancora vive, al tempo stesso sembra uscito da un racconto newyorkese, calato nell'atmosfera e nel gusto di una grande metropoli. Perciò, per potersi offrire al meglio, questo testo chiama la musica e la lettura chiede di essere accompagnata dall'ascolto di un bel brano di John Coltrane o di Grant Green.
"Arrivo da tante cose, in primis dall'amore per la pittura e soprattutto per l'estetica - racconta -. Ho deciso di diventare illustratore perché non avevo molte altre scelte, non è stato così romantico come si potrebbe pensare. Ho fatto l'Accademia di Belle Arti, ma non l'ho finita. A un certo punto dovevo decidere cosa fare, non riuscivo a stare da nessuna parte, l'unica cosa che mi piaceva e stimolava davvero era l'illustrazione, perché aveva dei canoni e costruiva racconti. Ho trascorso un periodo a Fabrica che mi ha messo in discussione, come persona e come artista, perché non riuscivo a trovare un'identità. Una volta uscito, da quel momento in poi, ho iniziato a fare delle scelte, che ora considero coraggiose, e a dedicarmi piano piano all'immagine illustrata. Oggi raccolgo i frutti di un lungo percorso".
“ In tanti mi dicono che sono un disegnatore jazz, che ho un processo creativo jazzistico, questa cosa mi piace Lucio Schiavon
Servizio di Francesca Boccaletto e Massimo Pistore
Tele, disegni, collage, libri illustrati e soprattutto manifesti, la grande passione di Schiavon. Tra i tanti, spiccano quelli realizzati nel 2021 per celebrare i 1600 anni di Venezia, in cui i protagonisti sono i personaggi iconici legati alla città, da Caterina Corner a Peggy Guggenheim, arrivando fino a Ciaci, il re del remo. "L'ho vissuta come una celebrazione del mio lavoro. Io farei solo manifesti, perché mi piace pensare che il mio lavoro sia accessibile a tutti, per le strade. Vedere il mio manifesto, esposto in città, per me è il massimo".
E sul percorso di creazione, aggiunge: "Quando mi viene commissionato un lavoro mi capita spesso di capire al volo quello che serve. Se però l'idea non mi viene subito, mi affido a un metodo: devo realizzare un manifesto sulla musica? Bene, inizio a chiedermi: se la musica fosse liquida che cosa potrebbe essere? E se fosse un animale? Magari un elefante-fisarmonica? Questo processo mi aiuta a creare immagini. L'immaginazione va continuamente alimentata, stimolata".
Altro tema, che attraversa l'intera produzione, dai manifesti ai libri, è quello relativo al "materiale di lavoro, una delle cose che amo di più". Dai colori ai pennelli, gli strumenti usati per creare "sono oggetti che 'mi fanno casa', che definiscono il mio luogo e mi fanno venire la voglia di realizzare qualcosa. Per questo motivo passo molto tempo nei negozi di belle arti, a guardare e a scegliere con cura".
In un luminoso appartamento del centro di Mestre, con grandi finestre e pavimenti in legno, una stanza è stata trasformata in studio, ma qui nulla è definitivo: il rapporto con lo spazio è del tutto inaspettato, rovescia il punto di vista. Se fino a questo momento, dalle conversazioni con artiste e artisti, è emersa quasi sempre l'intensità di un legame stretto con il proprio atelier, ora la prospettiva cambia radicalmente e lo studio diventa luogo di passaggio, utile nel qui e ora, ma temporaneo. Non uno spazio scelto, profondamente amato e voluto, ma una tappa. Schiavon lo dichiara, senza girarci intorno: oggi sono qui, domani potrei essere altrove, posso creare ovunque.
"Il concetto del passaggio mi serve per dare leggerezza al tempo e a quello che sto facendo. Voglio bene a questo luogo, perché mi ha accolto, ma non è il mio. Ho capito che sono me stesso anche senza il contenitore. Questo studio mi serve, ma non è il mio spazio ideale, anche perché a me piacerebbe separare gli ambienti: avere la casa da una parte e lo studio da un'altra. Questo è un luogo di passaggio, dove comunque ho sistemato l'archivio di cose fatte, i dischi, perché non faccio altro che ascoltare musica, e ovviamente il materiale di lavoro. Cerco di fare decluttering per eliminare il superfluo e arrivare all'essenza, a quello che davvero mi serve: devo lavorare nell'ordine, mi calma, e quando finisco un lavoro pulisco tutto, faccio reset, per poter poi ricominciare". Una nuova opera e ancora jazz da ascoltare.
“ Quando finisco un lavoro pulisco tutto lo studio, faccio reset, per poter poi ricominciare Lucio Schiavon
Atelier d'artista
Una serie ideata e realizzata da Francesca Boccaletto e Massimo Pistore
Intervista di Francesca Boccaletto, riprese e montaggio di Massimo Pistore
Con la consulenza artistica di Giulia Granzotto
Tutti gli episodi della serie Atelier d'artista sono QUI