Società

03 Novembre 2020

Attenti a Donald

Trump è spacciato? Tanti gli elementi che farebbero propendere per il sì: dal massiccio ricorso al voto per posta, storicamente favorevole ai Democratici, ai maggiori finanziamenti investiti dal comitato elettorale di Biden, fino al riaccendersi della pandemia negli ultimi giorni. Chi però ricorda le elezioni di quattro anni fa sa che bisognerà attendere fino allo spoglio dell’ultima scheda. E forse non basterà neppure.

Germano Dottori, analista e docente di studi strategici nonché consigliere scientifico di Limes, la rivista italiana di geopolitica, e stato tra i pochi quattro anni fa a dare chance di vittoria a Trump, e da allora cerca di considerare senza pregiudizi negativi la sua azione, soprattutto dal punto di vista della politica estera. Al presidente americano ha dedicato il volume La visione di Trump. Obiettivi e strategie della nuova America (Salerno Editrice, 2019), in cui ha sostenuto che la sua elezione non è un incidente della storia, ma piuttosto il risultato di tendenze iniziate all’indomani stesso della fine della Guerra Fredda. A lui chiediamo un’analisi di quest’ultima fase di una campagna elettorale concitata e atipica.

Professor Dottori, secondo lei Donald Trump ha ancora possibilità di vincere queste elezioni? In che modo?

“La situazione per il Presidente in carica si presenta molto complessa. È in recupero, è evidente anche dalla sua postura e dalla discesa in campo, tra i Democratici, di Barack Obama: una mossa che ricorda quanto l'ex presidente fece già quattro anni fa. Vedo Biden e i suoi sostenitori molto presenti in Stati in cui i sondaggi li darebbero in forte vantaggio, e mi interrogo sul significato di queste scelte. Sono persuaso che i comitati elettorali dei due partiti ragionino sulla base di numeri che non vengono dai tradizionali metodi di raccolta, ma dall'analisi dei metadati. Una recente dichiarazione di Trump, relativa all'incremento delle queries su Google aventi ad oggetto il cambio del voto già espresso, mi è parsa un'ammissione importante in questo senso. Guardiamo quindi ai comportamenti. La gara è tesa, il distacco negli Stati contesi in cui si decide l'elezione ormai nel limite statistico: Trump quindi può ancora vincere, solo che è molto più difficile di quattro anni fa, per tutta una serie di fattori, il principale dei quali è il massiccio ricorso all'early vote. Hanno già votato per posta o in presenza ben oltre 90 milioni di persone, molte delle quali quando l'appeal di Trump era ai minimi. La scorsa volta il turnout totale fu di 130 milioni, più o meno: Trump ha forse accorciato le distanze troppo tardi, anche a causa del Covid-19. Sarà importante anche il numero finale dei voti raccolti. Trump deve adesso portare al voto più gente possibile, per questo ha intensificato la propria campagna. Vedremo”.

Trump ha forse accorciato le distanze troppo tardi, anche a causa del Covid-19

Anche se il presidente uscente dovesse perdere, quali sarebbero i lasciti più importanti per la prossima amministrazione?

“Un nuovo punto di equilibrio nel rapporto tra l'America ed il resto del mondo. Biden propone il re-engagement, ma dovrà accettare dei limiti: gli americani vogliono archiviare la fase dell'interventismo militare spinto negli affari mondiali. Tuttavia, se eletto, Biden imporrà una decisa correzione di rotta su due punti qualificanti della politica di Trump. Il primo: abbandonerà l'obiettivo della stabilità. Trump ha perseguito la restaurazione dell'ordine dovunque ha potuto, ponendo al centro della sua visione il rispetto della sovranità nazionale altrui. Questo aspetto della sua politica non è stato purtroppo colto dai suoi numerosi detrattori in Europa, mentre è stato compreso fin troppo bene dall'establishment americano, per il quale ha rappresentato una forma di tradimento del ‘destino manifesto’ degli Stati Uniti, che sarebbero chiamati a redimere il pianeta. Il secondo: non è affatto sicuro che Biden confermerebbe la politica di Trump nei confronti della Cina. Lui è personalmente favorevole alla prosecuzione della linea dura, ma alle sue spalle c'è un sistema di finanziatori e stakeholders che vogliono la fine delle guerre commerciali con Pechino. Non tarderebbero a farsi valere: stanno investendo molto sulla vittoria dei Democratici e lo ricorderebbero al nuovo presidente”.

Come potrebbe Biden, una volta eletto presidente, uscire dall’impasse?

“Avrebbe un solo modo: rilanciare lo smart power. Ovvero, abbandonare dazi, tariffe e pressioni militari per tentare di destabilizzare la Cina dall'interno, magari usando Hong Kong come leva. Ammesso che sia possibile aizzare la società civile cinese contro il Partito comunista e la burocrazia che la domina, dovrebbe però prima essere chiarito a chi e cosa servirebbe una Cina nel caos. L'approccio di Trump è più vantaggioso dal punto di vista della logica sistemica, mirando ad una regolazione bilaterale del perimetro in cui alla Repubblica Popolare verrebbe permesso di esercitare un'influenza preponderante. La linea rossa è la preservazione della superiorità globale americana: i cinesi debbono esser indotti ad accettarla. E probabilmente è ancora possibile farlo”.

Quali sono le maggiori sfide che il prossimo presidente dovrà affrontare?

“La gestione della crisi sociale interna, cui si è sovrapposto il culture clash, anche questo letto in modo distorto in Europa. Ciò che è in gioco è la sopravvivenza della libertà come l'abbiamo conosciuta e appresa proprio dagli americani. Quando si vuol obbligare gli artisti di Hollywood a scegliere gli attori per quote razziali, a prescindere dal loro valore, il rischio di scivolare nel management della libertà d'espressione è dietro l'angolo. Sta accadendo questo e a quanto pare con il beneplacito di tutti: forse siamo stati narcotizzati e non ce ne accorgiamo. Lo scontro è palese. Da un lato c'è chi sostiene l'eguaglianza formale tra i cittadini americani, dall'altro chi vuole segmentare il concetto di cittadinanza, declinandolo secondo le comunità di appartenenza. Biden è personalmente affine a Trump nel sostenere la Costituzione, ma è alla testa di uno schieramento che vuole invece drasticamente cambiarla”.

Da un lato c'è chi sostiene l'eguaglianza formale tra i cittadini americani, dall'altro chi vuole segmentare il concetto di cittadinanza, declinandolo secondo le comunità di appartenenza

Molti temono che, se anche se perdesse di misura, Trump potrebbe resistere e rendere difficile il passaggio dei poteri, grazie anche a una Corte Suprema sotto il suo controllo.

“In uno scenario di vittoria maturata con un margine di vantaggio sottile, l'alto numero di schede votate per posta permette di immaginare uno scenario contrassegnato dal proliferare delle battaglie legali. Alcuni Stati dell'Unione sono al debutto con il voto per posta e si discute persino se e come occorra controllare la validità delle firme apposte sulla scheda non votata ‘in presenza’. Si attribuisce al solo Trump eventualmente sconfitto la volontà di non riconoscere un risultato avverso, ma di fatto lo staff di Biden ha reclutato ben 600 avvocati, e lo stesso ex vicepresidente è stato consigliato da Hillary Clinton di ‘non concedere’ la vittoria in caso Trump prevalesse. I comportamenti non sarebbero diversi. In questa elezione non si confrontano un buono e un cattivo, ma visioni differenti del ruolo dell'America del mondo e di cosa gli Stati Uniti siano; i ‘principi primi’, per dirla alla Mearsheimer. Aggiungiamo una complicazione ulteriore: il Secondo Emendamento riconosce ai cittadini americani il diritto di insorgere in armi contro la tirannide. Se maturasse il convincimento che il risultato del voto è stato alterato, l'eventualità di gravi disordini non potrebbe essere esclusa. Chiunque risultasse aver vinto”.