Alla fine il Supertuesday è arrivato: a parte il Coronavirus nei giornali – non solo americani – non si parla d’altro. Sono 14 gli Stati che in queste ore stanno scegliendo i loro candidati per le prossime elezioni presidenziali di novembre: Alabama, Arkansas, California, Colorado, Maine, Massachusetts, Minnesota, North Carolina, Oklahoma, Tennessee, Texas, Utah, Vermont e Virginia. O meglio che eleggono i delegati che poi alle convention repubblicana e soprattutto democratica eleggeranno i candidati ufficiali per la prossima competizione elettorale.
La corsa verso la Casa Bianca entra quindi nel vivo, dopo gli ‘assaggi’ rappresentati dai caucuses in Iowa e in Nevada e dalle primarie in New Hampshire: “Nei quattro Stati precedenti non è stato ancora chiarito chi sono i candidati favoriti”, è il commento del politologo ed esperto di politica americana Fabrizio Tonello, che sta seguendo assieme a noi le competizioni elettorali. “In questo momento in testa sembra esserci Bernie Sanders ma anche Joe Biden, l’ex vicepresidente di Obama, spera di ottenere consensi sufficienti per continuare. Dai risultati vedremo se quella delle prossime settimane sarà una corsa a due”.
Ascolta l'intervista a Fabrizio Tonello. Montaggio di Elisa Speronello
Il responso delle urne, salvo complicazioni come avvenuto in Iowa, si farà comunque attendere per diverse ore, a causa della varietà dei sistemi elettorali e della complessità delle operazioni, divise in quattro fusi orari: senza contare le Samoa Americane – che, pur non partecipando alle elezioni presidenziali, in quanto territorio sottoposto alla sovranità Usa eleggono 11 delegati democratici – e i cittadini americani residenti all’estero (che avranno tempo fino al 10 marzo per votare).
Intanto però, rispetto alle ultime consultazioni in South Carolina, segnate da una netta affermazione di un Joe Biden prima di allora molto deludente, non sono mancati i colpi di scena. “La sorpresa di ieri è stata il ritiro quasi contemporaneo di due contendenti per la nomination democratica, la senatrice Amy Klobuchar e l’ex sindaco di South Bend (Indiana) Pete Buttigieg – continua Tonello –. Entrambi avevano mostrato di avere un certo seguito e avevano raccolto l’attenzione dei media, poi però non erano riusciti a raccogliere un consenso sufficiente per continuare. La loro decisione è stata quindi quella di ritirarsi e di invitare i propri sostenitori a sostenere Joe Biden”.
“ Da carta di riserva dell'establishment democratico, Bloomberg paradossalmente potrebbe favorire proprio Bernie Sanders
Una scelta questa che si inscrive chiaramente nella lotta interna che in questo momento caratterizza il partito dell’asinello: “Chiaramente si tratta di una mossa un po’ disperata da parte dell’ala più centrista del Partito Democratico, rappresentata appunto da Biden, per permettere a quest'ultimo di accumulare un numero di delegati sufficiente per continuare la corsa contro Bernie Sanders. L’establishment democratico è infatti terrorizzato da Bernie Sanders, considerato un candidato troppo radicale. In realtà non lo è, e anzi avrebbe ottime probabilità di battere Trump in novembre”.
La vera incognita è il risultato di Michael Bloomberg, finalmente sceso ufficialmente in campo dopo un investimento di oltre 500 milioni di dollari per sostenere la propria candidatura. Ex sindaco di New York ed ex repubblicano, il magnate sta vivendo ore decisive. “In realtà Bloomberg è la cosiddetta carta di riserva dei democratici nel caso in cui Joe Biden non dovesse mostrare di avere fiato sufficiente per arrivare fino in fondo alla lunga maratona elettorale – è l’analisi di Fabrizio Tonello –. Però, mentre è vero che di solito negli Stati Uniti chi più spende nella campagna elettorale alla fine vince, questo non accade sempre, e il Super Tuesday di oggi potrebbe benissimo dimostrare che gli elettori democratici non amano far comprare i loro voti. Paradossalmente alla fine Bloomberg potrebbe danneggiare l’altro candidato centrista Joe Biden, favorendo proprio Bernie Sanders”.
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