La conferenza stampa del presidente Trump assieme alla Task Force sul Coronavirus, Washington D.C., 9 marzo 2020
Da qui alle presidenziali di novembre Donald Trump sembrava indirizzato a una marcia trionfale. A inizio febbraio il voto del Senato lo aveva liberato dalle sabbie mobili dell’impeachment; in seguito i primi appuntamenti delle primarie hanno ancora una volta evidenziato la forte divisione in seno al Partito Democratico tra sinistra radicale – incarnata da Bernie Sanders – e “centristi” guidati da un redivivo Joe Biden. Uno scenario simile a quello che nel 2016 aveva portato un’insperata vittoria su Hillary Clinton (che pure aveva preso tre milioni di voti in più), tenendo presenti anche il pizzico di aura presidenziale conquistato durante il mandato e gli ottimi risultati economici degli ultimi anni.
Tutto questo da qualche giorno si sta scontrando con un’incognita molto più forte dei suoi timidi oppositori: il Coronavirus. Rispetto al quale il presidente statunitense, un po’ come con il climate change, ha finora scelto un atteggiamento di minimizzazione, quando non di aperta negazione.
The Fake News Media and their partner, the Democrat Party, is doing everything within its semi-considerable power (it used to be greater!) to inflame the CoronaVirus situation, far beyond what the facts would warrant. Surgeon General, “The risk is low to the average American.”
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) March 9, 2020
“I media delle Fake News e il loro alleato, il Partito Democratico, stanno facendo di tutto… per montare la crisi del Coronavirus molto al di là delle sue reali dimensioni”, ha recentemente twittato il capo dello stato, per poi aggiungere che “l’anno scorso 37.000 americani sono morti per una comune influenza… al momento ci sono 546 casi confermati di Coronavirus e 22 morti. Pensateci!”. “Il rischio di contrarre il virus per gli americani rimane basso, così come quello di una grave malattia”, ha dato manforte il vicepresidente Mike Pence. Argomenti già visti da noi nelle scorse settimane, i cui esiti disastrosi non hanno evidentemente messo in guardia il governo d’oltreoceano.
Il piatto forte delle misure annunciate durante l’apposita conferenza stampa della task force sul Coronavirus sta soprattutto nella chiusura nei confini e nella creazione di un cordone sanitario nei confronti dei Paesi infetti (anche questo già visto altrove): a cominciare da Italia, Corea del Sud e, ovviamente, Cina. Per il resto poco di concreto, a parte l’annuncio di un incremento dei controlli e qualche blando invito alle basilari norme di igiene e a stare a casa – subito controbilanciato da quello a viaggiare e a muoversi, per tenere in moto l’economia e soprattutto il settore delle compagnie aeree.
“ Secondo un'inchiesta giornalistica finora sarebbe stato proprio Donald Trump a chiedere di limitare i tamponi
Il presidente, come è costume negli Usa, ha tenuto il suo intervento in una sala stipata di giornalisti, letteralmente stretto in un gruppetto formato dal suo vice e da una dozzina di altri collaboratori, incurante della distanza di sicurezza e dell’apparente predisposizione del Coronavirus a colpire anche le élites: ben sei parlamentari – tra cui il senatore Ted Cruz – hanno appena annunciato di mettersi volontariamente in quarantena dopo essere stati in contatto con persone successivamente risultate positive ai test.
Siamo dunque ancora nella fase della sottovalutazione del fenomeno, e non è un caso che Trump abbia dedicato quasi tutto il suo intervento alla promessa di nuove misure per proteggere l’economia. A costringere il presidente ad affrontare direttamente il problema infatti, più che l’emergenza sanitaria in sé, sembra essere stato soprattutto il crollo delle borse, con il Dow Jones calato di quasi otto punti nella seduta del 9 marzo.
Mike Pence: “The risk of contracting the coronavirus to the American public remains low and the risk of serious disease among the American public also remains low” https://t.co/mwpcexQZkh pic.twitter.com/kbpQ9MzxnP
— CBS News (@CBSNews) March 9, 2020
Oggi c’è la paura che la psicosi abbia ripercussioni sull’economia – da sempre il pallino del presidente, che continua a considerarsi un businessman –, mentre d’altra parte si teme che un'epidemia possa rendere chiara la necessità di una forte sanità pubblica anche negli Usa, uno dei cavalli di battaglia dei democratici e in particolare di Bernie Sanders. Non è un caso che uno dei primi e più importanti obiettivi polemici di Trump sia stata l’Obamacare, che ha esteso la copertura sanitaria a milioni di cittadini meno abbienti. Forse si giustifica in questa prospettiva il bassissimo numero di controlli finora effettuati: una vera e propria strategia di cover up che, secondo la ricostruzione di Dan Diamond per Politico, sarebbe da ricondurre direttamente a Donald Trump.
Adesso però, seppur con ritardo, assieme al numero dei casi rilevati inizia a salire anche l’ansia dell’opinione pubblica (alcuni Stati, tra cui California e New York, hanno già dichiarato l'emergenza) e l’attenzione dei media. Finora Donald Trump è risultato immune a tutti gli scandali: sarà lo stesso anche con il Coronavirus?
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