SOCIETÀ
Stati Uniti, il caos delle primarie democratiche: la app per il conteggio non funziona
Foto: Reuters
Se non fosse tragico sarebbe assolutamente comico: dopo 14 mesi di selfie, riunioni, comizi, town meeting e strette di mano, il partito democratico dell’Iowa non riesce a dare i risultati dei caucus di ieri. Per quale motivo? Perché l’app appositamente creata non ha funzionato. Doveva essere il trionfale avvio della stagione delle primarie che designeranno il candidato alla presidenza, è stato un fiasco totale.
I'm speaking live in Des Moines as we await results of the Iowa Caucus. Thank you so much to all those who came out to support our campaign today! https://t.co/ElGWNAdTJ9
— Bernie Sanders (@BernieSanders) February 4, 2020
Imprevedibile? In realtà appena due anni fa, un gruppo di studiosi italiani aveva pubblicato un libro dal titolo ammonitore, Web e società democratica. Un matrimonio difficile. Di fronte alle proposte di estendere l’uso del voto elettronico per la sua comodità d’uso e quindi anche per far aumentare la partecipazione al voto, i sostenitori di questo strumento gli attribuiscono funzioni mirabolanti. Per esempio, molti sostengono che sarebbe semplice disegnare un sistema di voto via internet “che sarebbe a prova di abuso, sicuro, semplice, privo di costi per i votanti e ad un costo minimo per i governi locali, statali e nazionali negli Stati Uniti e negli altri Paesi”. Come si è visto in Iowa, il problema non era poi così semplice. In Italia, sappiamo che il M5S ha fatto del voto online la sua bandiera, sostenendo che la Rete introduce il concetto di democrazia diretta e con esso l’accesso dei cittadini alle informazioni, il rapporto diretto con il candidato, il controllo dell’attuazione dei programmi e la partecipazione collettiva alle scelte.
Per quanto riguarda la sicurezza del voto, c’è sempre la possibilità di un attacco informatico del tipo Distributed Denial of Service (DDoS) che paralizzerebbe il sistema nel giorno delle elezioni. Un DDoS funziona così: si infettano i computer dello stato o della regione dove si vuole intervenire con un virus tipo Trojan horse. Il metodo più diffuso è quello di una mail che sembra provenire da un utente istituzionale e invita a cliccare su un link con un pretesto credibile (ognuno di noi ne riceve tutti i giorni). Il link, invece, farà entrare il virus nel computer dell’utente. Se ci sono 3 milioni di elettori e anche solo lo 0,5% dei destinatari abbocca all’amo, questo creerà 15.000 computer colpiti da un virus che, il giorno delle elezioni, cercheranno costantemente di connettersi con il sito usato per il voto online, paralizzandolo. Se il sito è concepito, supponiamo, per gestire 5.000 richieste al minuto, l’azione ripetuta di 15000 computer che cercano di collegarsi lo manderà in tilt, impedendo a milioni di elettori di esprimere il proprio suffragio. Creare un sito resistente agli attacchi è possibile ma costoso, anche perché le difese andrebbero continuamente aggiornate per tenere conto di nuove minacce, nuove tecniche usate da hacker malintenzionati. Quindi, anche ipotizzando che il sistema centrale sia ben difeso, resta il problema dell’integrità dei terminali di ciascun votante, facilmente attaccabili da virus, con ripercussioni sull’espressione del voto e sui risultati. In Iowa, tuttavia, sembra che i problemi derivino da difetti interni del sistema e non da un’intrusione.
Nel dibattito sul voto elettronico l’argomento centrale è quello della sicurezza del sistema, cioè della difesa da intrusioni, ma questo oscura altri problemi importanti. Qualsiasi sistema basato su un chip e un codice, come il bancomat, per definizione lega la tessera a uno specifico utente. Questo è esattamente l’opposto di ciò che viene richiesto a un sistema di voto, che deve rendere impossibile identificare l’identità di chi ha votato, anche qualora quest’ultimo voglia rendere noto il suo voto.
Inoltre, un sistema di voto attraverso un’app, come quello adottato in Iowa, non permette di verificare in maniera indipendente che la somma dei voti corrisponda effettivamente a quelladei voti espressi: il sistema potrebbe semplicemente «scartare» tutti i voti provenienti da una certa zona, o espressi da elettori il cui nome inizia per «S», o uno su dieci di quelli espressi a favore del candidato Smith.
E ancora: con qualsiasi tipo di voto elettronico è problematico verificare in maniera indipendente che i voti espressi provengano da altrettanti aventi diritto: il sistema potrebbe ammettere il voto di persone decedute, non residenti, o di stranieri non aventi diritto al voto.
Infine: l’elettore avrebbe grandi difficoltà a verificare che il suo voto sia preso in considerazione: votare è diverso dall’usare una carta di credito. Se qualcuno ci ruba la carta di credito lo si scoprirà quando arriva l’estratto conto. Se qualcuno ci “ruba” il voto probabilmente non lo si scopriremo mai.
È quello che molti elettori democratici in queste ore si stanno chiedendo.
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