SOCIETÀ

Usa: analisi di un voto

Cosa sta succedendo in America? Al di là delle conte dei voti e delle polemiche, è ora di iniziare a parlare di quello che emerge dall’ultimo voto – il più partecipato della storia –, iniziando ad isolare alcuni elementi prima che le circostanze permettano di avere una visione più ampia e definitiva. Joe Biden alla fine sarà primo sia per i voti popolari, sia probabilmente per il numero di grandi elettori, ma per Trump non c’è stato un crollo di consensi. Per l’esattezza alla blue wave democratica si è contrapposta un’altra ondata, più piccola ma potente, di voti repubblicani che finora non erano stati considerati nemmeno nelle proiezioni più accreditate, arrivate a dare 10 punti di vantaggio allo sfidante. I repubblicani tengono inoltre la maggioranza al Senato e addirittura incrementano il numero di seggi alla Camera dei rappresentanti.

Un dato che emerge secondo Marco D’Eramo, giornalista e per anni corrispondente dagli Usa, è quello dell’ennesima sconfitta dei sondaggi: “Ancora una volta si sono mostrati totalmente inaffidabili – ha spiegato nell’intervento durante il webinar organizzato dalla rivista MicroMega –. Suppongo che abbia contato per Trump quello che in Italia veniva chiamato ‘effetto Berlusconi’, secondo il quale i suoi elettori erano costantemente sottostimati, anche perché si vergognavano ad ammetterlo in pubblico”. Secondo D’Eramo si è dimostrata inoltre fallimentare anche la scelta da parte democratica di puntare il dito contro Trump: “La strategia ‘Anything but’ non funziona, così come non funzionò nel 2004 contro George W. Bush nonostante la catastrofica guerra in Iraq”. La terza cosa da sottolineare secondo il giornalista è che un candidato con le caratteristiche di Joe Biden ha rischiato di sparire di fronte a un mattatore come Trump in una situazione di politica spettacolo come quella americana. “Infine – ha concluso D’Eramo – c’è la questione che da parte della sinistra e dei progressisti c’è spesso una generale sottovalutazione degli avversari, trattati sempre come risentiti e ignoranti”.

Comunque vadano le cose secondo Fabrizio Tonello, docente di scienza politica presso l’università di Padova, “quella a cui abbiamo assistito in questi giorni è una vittoria del trumpismo, cioè del partito Repubblicano come rimodellato da Trump. Il quale è meno outsider di quanto si pensi: penso anzi che la caratterizzazione di Trump come outsider sia stata sbagliata fin dall’inizio. È vero che nel 2015 non aveva ricoperto alcun incarico politico e ha conquistato dall’esterno il partito repubblicano, ma è anche vero che questa conquista è stata resa possibile dal lavoro fatto dai Repubblicani negli ultimi 30 anni: la base xenofoba, nazionalista, violenta del partito esisteva già”.

Sul fatto che la sempre più probabile vittoria democratica dia voce a una svolta a sinistra della società americana si mostra molto dubbiosa Nadia Urbinati, docente di Political theory alla Columbia di New York “Bernie Sanders lo ha capito bene e al contrario dell’ultima volta ha subito tirato i remi in barca e si inserito nella campagna di Biden – ha detto la studiosa –. Lo si vede bene nella società americana, che non è affatto convinta per niente di essere socialista e di sinistra: vuole solo la possibilità di una vita buona, con la possibilità di arricchirsi con facilità e poche regole”. Starebbe questo alla base, secondo la studiosa, del mezzo passo indietro di Biden sul clima, determinato dalla paura di perdere voti. Lo scontro che ha caratterizzato queste elezioni, secondo Urbinati, è piuttosto quello tra un leader populista e un partito che, come i Democratici, ha meccanismi interni più affini a quelli di una formazione politica tradizionale. “I democratici hanno più difficoltà a produrre un leader di tipo trumpista – conclude Urbinati –. Agli amici che amano il populismo di sinistra questo sembrerà un problema, ma a me questo non sembra desiderabile”.

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