SOCIETÀ

La Brexit al banco di prova

Lo ammettono sia il governo britannico che la Bank of England in due documenti pubblicati in questi giorni: la Brexit potrebbe essere molto dolorosa, forse addirittura più del previsto. Intanto il parlamento inglese si prepara a votare l’accordo appena raggiunto con l’UE con quella che si preannuncia come una delle sessioni più drammatiche della sua storia recente: “In caso contrario tutto sarebbe rimesso in discussione, con conseguenze al momento imprevedibili”, spiega a Il Bo Live Antonio Varsori, storico e docente di relazioni internazionali presso l’università di Padova .

Quali potrebbero essere le prospettive di un’uscita senza accordo, e perché fa così paura?

“Salterebbero gli accordi di natura economica, non sarebbe più chiara la posizione dei cittadini europei al momento residenti in Gran Bretagna e nemmeno i futuri rapporti con la Repubblica d’Irlanda. Non dimentichiamo che le relazioni di carattere economico e finanziario tra Gran Bretagna e Unione Europea sono fortissime e generano vantaggi in entrambe le direzioni. Sarebbe insomma situazione di grave incertezza, sicuramente negativa per tutti”.

La Brexit è qualcosa di completamente nuovo: nessuno sa come andrà veramente

Da un punto di vista generale quali possono essere secondo lei gli effetti della separazione, sia per il Regno Unito che per l'Unione Europea?

“In campo ci sono le valutazioni molto diverse: secondo molti critici le prospettive sono estremamente negative e lascerebbe il Regno Unito sostanzialmente isolato a livello internazionale. Certo, resterebbe uno dei membri fondamentali della Nato e di tutta una serie di organizzazioni; resta però evidente che, dall’ingresso della Gran Bretagna nell’Unione  all’inizio degli anni Settanta, i rapporti con il resto dell’Europa sono divenuti sempre più stretti. Viceversa secondo un’altra visione, appartenente soprattutto ai sostenitori di una Brexit ‘dolce’, si sostiene che anche fuori dall’UE la Gran Bretagna potrebbe mantenere tutta una serie di vantaggi economici – che alla fine sono quelli che hanno sempre suscitato il maggior interesse da parte degli inglesi – recuperando allo stesso tempo una maggiore libertà di azione in una serie di ambiti, come le politiche sociali e soprattutto l’immigrazione”.

Chi ha ragione?

Difficile dirlo perché la Brexit è qualcosa di completamente nuovo: è la prima volta in oltre sessant’anni di costruzione europea che un Paese esce dagli accordi, quindi nessuno sa cosa accadrà. Certo nel breve periodo è ovvio che ci saranno problemi, anche perché nell’accordo c’è una parte finanziaria che rappresenta un onere non indifferente per Londra, che però allo stesso tempo non dovrà più contribuire al bilancio dell’UE. Molto dipenderà da tutti gli aspetti, anche minimi, del futuro accordo definitivo”.

Il Commonwealth e il ‘rapporto speciale’ con gli Usa potrebbero bilanciare i contraccolpi dell’uscita dell’UE?

Su questo sono abbastanza scettico: l’Impero è finito ormai più di mezzo secolo fa; è evidente che restano alcuni rapporti con i Paesi che ne facevano parte, ma più a causa più della globalizzazione che non del passato coloniale. In questo senso è ben più importante essere capofila del mondo anglofono: ad esempio per uno studioso canadese, australiano o indiano sarà sempre più facile guardare al mondo universitario britannico, dove lingua e organizzazione sono più o meno le stesse.  Le faccio un altro esempio concreto; ho appena curato un libro pubblicato nel Regno Unito, il cui editing è stato fatto però in India, e la stessa casa editrice è di proprietà di una multinazionale tedesca che ha sede in Svizzera. Anche qui non c’entra nulla il Commonwealth: contano molto di più la globalizzazione, la diffusione della lingua inglese e il fatto che dai tempi di Margaret Thatcher Londra è tornata ad essere una piazza finanziaria di prima grandezza”.

Anche in Italia comunque oggi è forte il partito degli euroscettici: cosa può insegnarci la Brexit?

Euroscetticismo è un termine che a me non piace, perché in generale dice poco. Quasi nessuno dice di essere contro l’Europa: la maggior parte dice di essere contro le politiche dell’UE o l’Unione in generale, che sono cose diverse. Per il resto c’è ben poco in comune tra la posizione inglese e quella di altri Paesi ‘critici’; tanto per cominciare la Gran Bretagna, a differenza dell’Italia, non faceva parte dell’eurozona, inoltre godeva da tempo di una serie di opting out: aveva insomma già un piede fuori. Forse l’unico elemento simile è la questione dei flussi migratori, che però nel caso britannico vengono soprattutto dalla stessa Unione Europea. Ma la questione vera rimane quella delle possibili conseguenze di un’uscita dall’Unione Europea. Per questo l’opinione pubblica continua a seguire la vicenda e, a mio giudizio, Bruxelles  teme soprattutto che la situazione del Regno Unito non cambi poi molto, soprattutto da un punto di vista economico”.

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