SOCIETÀ

Broadband e ultralarga: un’Europa sempre più connessa

Connettività e trasformazione digitale. L’Europa, che ormai da circa vent’anni ambisce a diventare la prima economia al mondo basata sulla conoscenza puntando su ricerca e innovazione, sta lavorando per aggiungere ora un altro tassello fondamentale. Perché di questi tempi la conoscenza viaggia - anche e soprattutto - in rete. E per farlo, però, ha bisogno di infrastrutture adeguate, dalle reti fisiche a protocolli e regole, e di sviluppare una cultura digitale più matura, inclusiva, evoluta che consenta la realizzazione di una piena cittadinanza digitale. Il Piano per il futuro digitale dell’Europa approvato nei mesi scorsi dovrebbe articolarsi secondo tre assi principali che sembrano delineare una direzione ben precisa: una tecnologia al servizio delle persone; un’economia digitale equa e competitiva e una società democratica, aperta e sostenibile. In altre parole, la Commissione guidata da Ursula Von Der Leyen punta a coniugare tecnologia, ambiente e cultura in una triade che dovrebbe indirizzare lo sviluppo dei prossimi anni in tutta l’Eurozona. 

Un’esigenza che all’improvviso è diventata un’urgenza durante la pandemia. Con lo spostamento praticamente di molte attività educative, lavorative, professionali e culturali online, la connettività è diventata la chiave per accedere o restare fuori. Da tutto. E anche se, più o meno lentamente, molte attività tornano a svolgersi nelle modalità pre Covid, è altrettanto chiaro che, forzatamente e in modo senz’altro goffo per molti settori diversi della nostra vita, il lockdown ci ha portato a sperimentare modalità di lavoro e di socialità online che non spariranno, che si integreranno con le altre attività quotidiane, che in parte le sostituiranno. 

Anche perché, d’altro canto, una volta imboccata la strada digitale, anche se improvvisata e vissuta da molti come una iattura, è diventato chiaro che per molte mansioni, in realtà, ha davvero senso provare a ridurre l’impatto ambientale ed economico associato a milioni di spostamenti non sempre necessari, a tonnellate di stampe e documenti cartacei, al dover svolgere in presenza tutta una serie di incombenze che invece possono essere assai più rapidamente essere assolte in forma telematica. Non ci stiamo riferendo qui alle attività che sono centrate e caratterizzate proprio dalla partecipazione diretta, dalla presenza e lo scambio tra persone, come la scuola, le attività sociali e culturali, la celebrazione dei processi, la discussione politica e via dicendo. È assai evidente che l’esercizio di diritti come quello all’istruzione e all’educazione così come quello all’avere un processo giusto richiedono la messa in campo di tutte le sofisticate capacità umane di interazione, conoscenza e competenza che non trovano un sostituto sufficiente altrettanto efficace nella versione online. Ma l’integrazione delle tecnologie digitali nella nostra vita può, quando inserita in un contesto di cultura e consapevolezza, essere molto utile. La sospensione forzata della nostra organizzazione lavorativa, civile, educativa, ci ha portato a entrare impreparati in questi territori. Ma ora la transizione è fatta, e indietro, per molte cose, non si dovrebbe tornare. Per fortuna, aggiungiamo. 

 

Quale che sia l’ambizione, è dunque necessario guardare con concretezza anche agli ingredienti disponibili per la realizzazione di questo piano. A partire dall’infrastruttura di base, la rete, le reti che consentono la connettività.

E qui, potremmo dire, ce n’è ancora di strada da fare, per quanto solo rispetto a qualche anno fa si è senz’altro colmato almeno in parte il gap di accesso che sembrava porre i principali ostacoli all’adozione del digitale. Perché se transitare verso una organizzazione prevalentemente smaterializzata e digitale è possibile dove si naviga velocemente e in sicurezza, farlo dove la rete funziona poco e male può tradursi in un’esperienza frustrante e poco efficace. 

Partiamo dunque da qui: la velocità di connessione alla nostra portata

Da anni sentiamo parlare dell’importanza di avere connessioni in banda larga. Già nel 2013, lo studio The socio-economic impact of bandwith commissionato dalla DG Connect della Commissione Europea a due aziende di consulting nel campo delle telecomunicazioni e analisi di dati, Analysis Mason e Tech4i2, aveva analizzato oltre 200 studi e report per evidenziare i benefici, sociali ed economici così come in termini di nuove opportunità di lavoro, che ristulvano dalla diffusione della banda larga in diversi settori, da quello sanitario a quello educativo, dal sistema di giustizia a quello sanitario fino alle comunità locali. 

Anche se piuttosto imprecisa sotto il profilo tecnico, questa espressione si riferisce ormai correntemente al fatto di poter avere accesso a una rete ad alta velocità. Secondo la International Telecommunication Union, l’organizzazione con sede a Ginevra che da fine ‘800 - dal telegrafo in poi - stabilisce a livello internazionale gli standard operativi in ambito tecnologico, si può propriamente parlare di banda larga dai 2Mbps in su (cioè da 2 milioni di bit al secondo in su di trasmissione dati). Man mano che sono migliorati i sistemi di connessione, la banda si è allargata, per così dire, arrivando a 4Mbps e poi a 8Mbps. Negli ultimi anni, in diversi paesi, si stanno diffondendo la banda larga veloce, che garantisce connessioni fino a 30Mbps, e quella e ultraveloce, che viaggia a 100Mbps e oltre. Per tutti i sistemi di connessione, esiste una velocità di scaricamento, o download, diversa e solitamente maggiore di quella in upload. 

Dal modem al WiMAX, le tecnologie che ci portano online

In termini di tecnologie, per chi se lo ricorda, il nostro primo accesso in rete, dalla metà degli anni ‘90, si basava su un modem dial up, cui ci si connetteva a chiamata, con un suono talmente tipico da essere diventato iconico e rappresentativo di tutte le connessioni in rete. E la connessione, una volta stabilita, andava a 56 Kbps (1000 bit al secondo). Si pagava inizialmente a consumo, e quindi ci si collegava quando era necessario e si chiudeva la connessione appena finito di navigare attivamente. Un sistema che è in gran parte andato in pensione a inizio millennio. Anche se ancora, in qualche angolo del territorio europeo, capita tuttora di avere a disposizione solo quello. 

Dai primi anni 2000, grazie alla diffusione dell’ADSL (Asymmetric Digital Subscriber Line), entrata in gran parte delle case e aziende, è cambiato completamente il nostro modo di andare in rete. Sempre connessi, a prezzo più o meno fisso. Il grande vantaggio dell’ADSL, ragione per cui tutt’ora predomina in molte zone, è quello di viaggiare negli stessi cavi telefonici esistenti, utilizzando frequenze diverse da quelle della linea voce. Non richiede dunque la cosiddetta cablatura, la posa vera e propria di nuove tipologie di cavi, ma usa i cavi e un doppino in rame.

La fibra ottica richiede invece cantieri veri e propri, rottura di strade, posa di nuove condutture e di nuovi cavi, in fibra appunto, oltre che nuove centrali e infrastrutture di connettività. Si può avere una connettività in fibra ottica completa, la cosiddetta FTTP, Fibre To The Premises, che porta di fatto la fibra ottica direttamente al punto di connessione dell’utente. Oppure la FTTC, e cioè la Fibre To The Cabinet, dove sostanzialmente la fibra arriva alle centraline telefoniche tradizionali e l’ultimo pezzetto di connessione passa dunque dal suddetto doppino di rame. Questa è la configurazione più comune per i contratti di linea fissa attualmente proposti agli utenti ad esempio in Italia dagli operatori telefonici tradizionali, anche per la banda ultra veloce. 

Ci si può poi connettere alla rete in altri modi, senza passare da una rete fisica e quindi da cavi che devono arrivare alle nostre abitazioni o luoghi di lavoro. Si può usare la rete mobile, via cellulare, che funziona molto bene dove c’è una copertura della rete 4G, in attesa di quella 5G, ma assai meno bene in altri casi. Altri tipi di connessione sono quella via satellite, quella attraverso la TV via cavo (cable), o infine si possono sfruttare le onde radio e una tecnologia chiamata WiMAX, che può essere mobile o tramite un’antenna. 

La marcia verso la connessione: l’Europa ci prova fa ancora fatica

Nel 2017 fece scalpore su molti media europei una graduatoria pubblicata da Cable.co.uk, una piattaforma britannica, costruita sulla base di dati raccolti da M-Lab, che confrontava le velocità di download di un video, indicatore scelto per ragionare sulla velocità di connessione, in 190 paesi del mondo. 

M-Lab è un progetto open source fondato nel 2009 dal New America’s Open Technology Institute, Google Open Source Research e lo University’s Planet Lab di Princeton, aperto al contributo da parte di moltissimi altri soggetti del mondo della ricerca e della società civile. I dati si basavano su oltre 60 milioni di speed test, e quindi sulla misurazione reale della velocità di rete, spesso diversa da quanto dichiarato sui contratti fatti con gli operatori delle telecomunicazioni. Risultava così che ai primi posti al mondo per connettività si trovano paesi come Singapore, Taiwan, Hong Kong, assieme a un gruppo di paesi europei, come la Svezia, la Danimarca e l’Olanda. Tutti paesi in cui la connessione è, in media, ben più alta dei 30Mbps considerati ormai il minimo per funzionare bene. Se in questi paesi un film si scaricava in circa 20-30 minuti al massimo, nelle zone meno connesse, nei paesi a basso reddito o nelle regioni rurali meno collegate dei paesi ricchi, si arrivava invece a ore o addirittura a uno o due giorni, come nel caso dello Yemen, il paese con le connessioni più lente tra quelli misurati. Al di là delle enormi differenze tra un paese e un altro, il dato complessivo comunque parlava di un’Europa ancora complessivamente lenta nella sua capacità di stare in rete. Con ricadute significative sull’economia, sull’organizzazione dei servizi pubblici, sullo sviluppo di settori potenzialmente innovativi. 

Diversi studi hanno stimato che l’aumento di un 10% delle connessioni a banda larga veloce potrebbe far aumentare il PIL pro capite annuo di un paese del l’1% circa e far crescere la produttività del lavoro di circa l’1,5% nei cinque anni successivi. Ma soprattutto, come riportato da diversi documenti europei, l’aumento della diffusione della banda larga potrebbe favorire settori come l’istruzione, l’inclusione sociale, la collaborazione anche tra regioni remote. Tanto che sono in molti a sostenere che una connettività di alta qualità dovrebbe essere garantita come servizio pubblico accessibile a tutti. Facciamo un solo esempio. In un’inchiesta fatta da chi scrive nel 2017, sulla digitalizzazione delle scuole italiane, è risultato che in molti casi, anche se la rete arrivava per così dire al cancello, non era poi possibile attivare il contratto e rendere disponibile il wifi per tutta la scuola perché non c’erano le risorse per stipulare il contratto. Un problema che è stato risolto, dove è stato risolto, in modo molto differenziato a seconda delle Regioni e dell’impegno o meno delle istituzioni locali.     

Il vantaggio della disponibilità di banda larga è comunque chiaramente riconosciuto nella strategia europea sulla banda larga. Inizialmente delineata nel 2010, come parte dell’Agenda digitale per Europa 2020 e poi integrata nel 2016 con la strategia per una European Gigabit Society, prevedeva di portare in rete tutti gli europei ad almeno 30Mbps entro il 2020 e, nello stesso tempo, almeno il 50% della popolazione europea a navigare oltre i 100Mbps. A questi obiettivi di base, nel 2016, si sono aggiunti quelli di portare alla connettività di almeno 1Gbps i protagonisti principali dello sviluppo sociale ed economico (scuole, fornitori di servizi pubblici, trasporti), quello di raggiungere una copertura 5G di tutte le aree urbane e dei principali assi di trasporto terrestre e l’accesso a tutte le famiglie europee, sia nelle zone urbane che rurali, a una velocità pari ad almeno 100Mbps in download. A seconda dei paesi, e quindi anche del momento e delle modalità con cui sono state avviate le strategie nazionali per la diffusione della banda larga, non solo si osservano diversi andamenti della copertura sul territorio ma anche una variazione delle tipologie di contratti stipulati (sempre per linea fissa) per navigare a diverse velocità da rete fissa, come vediamo dal grafico qui sotto. 

Obiettivi accompagnati da investimenti pari a circa 15 miliardi di euro nel periodo 2014-2020 da parte della Commissione Europea, di cui 5,6 miliardi di euro dati in prestiti da parte della Banca europea per gli investimenti. Ma è proprio una relazione speciale del 2018 della Corte dei Conti europea a dire che questi dati sono ancora ben lontani dall’essere raggiunti. Gli auditor della Corte hanno raccolto dati in tutti i paesi e visitato nello specifico cinque paesi europei, tra cui l’Italia. 

In generale, il report della Corte dei Conti dimostra che quasi tutta la popolazione europea è ormai connessa alla banda larga di base, quella dai 2 agli 8Mbps. Sappiamo in realtà, da analisi interne ai diversi paesi, che esistono ancora piccole sacche prive di connessione di qualsiasi tipo, soprattutto in paesi dall’orografia complicata come il nostro. Il punto però è che oltre la metà delle zone rurali di 14 paesi europei non era ancora raggiunta dalla banda larga veloce nel 2018.

E sarà difficile arrivare all’obiettivo se non si mettono in campo strategie diverse: favorire la competizione dei diversi operatori, ma anche intervenire con investimenti pubblici nelle zone dove gli operatori privati hanno poco interesse a fare investimenti perché poco abitate, o perché non considerate strategiche dal punto di vista economico e finanziario e quindi non in grado di garantire un ritorno adeguato dell’investimento fatto. Non è poi solo un fatto di infrastruttura: se anche la banda ultra larga è disponibile ma i cittadini non la utilizzano l’obiettivo rimane non raggiunto. Nel 2017 erano ancora solo il 15% i contratti attivati in banda larga veloce su rete fissa. Già due anni dopo, come vediamo dal grafico sottostante, la situazione era migliorata. Ma ancora lontana dall’obiettivo, per quanto il numero di contratti, pur parametrato a 100 abitanti, non dice effettivamente quante persone utilizzino poi il servizio di connessione. 

L’Europa e la sua strategia futura

Per arrivare agli obiettivi previsti e andare oltre, la Commissione prevede un ulteriore pacchetto di misure e investimenti per il periodo 2021-27 all’interno del programma Connecting Europe Facility (CEF2) Digital programme. Tra le azioni previste dal programma vediamo l’ambizione di portare connettività wireless gratuita di alta qualità a tutte le comunità locali, l’aggiornamento e miglioramento del sistema attuale di reti, inclusi i cavi di connessione depositati sui fondali marini, la volontà di supportare la messa a punto di piattaforme digitali anche transfrontaliere nei settori dell’energia, dei trasporti e in altri settori chiave dell’economia, e infine la possibilità di completare la copertura in 5G in tutte le zone strategiche dal punto di vista dello sviluppo economico. Gli obiettivi dovrebbero dunque essere coerenti proprio con l’idea di una strategia digitale che funzioni sia come driver di sviluppo economico che di cambiamento dell’economia europea in chiave più verde e sostenibile (e quindi si intrecci con il programma ambizioso di arrivare a un'Europa a zero emissioni entro il 2050) che in una direzione inclusiva, di coesione, non discriminatoria. 

Per meglio spiegare questi obiettivi e organizzarli in una sorta di roadmap, accogliendo anche opinioni, suggerimenti, indicazioni precise sulle priorità che dovrebbero poi andare a trovare migliore definizione nei finanziamenti futuri per specifiche call sul tema, la Commissione ha fatto anche una consultazione aperta online. Le indicazioni del gruppo di lavoro della Commissione, unite a quelle degli stakeholders raccolte attraverso la consultazione, sono poi culminate in un “non-paper”, dal titolo Draft orientations towards an implementation roadmap - connecting europe facility (CEF2) digital, un documento che consente di individuare quali dovrebbero essere i pilastri della strategia digitale futura, quali gli investimenti, i settori di azioni e via dicendo. In teoria, a fine dicembre 2020 dovrebbero essere resi pubblici i dettagli degli investimenti previsti per i prossimi tre anni nei diversi programmi e quindi anche quelli della strategia digitale.

L’Italia: una mappa per iniziare a ragionare

All’Italia dedicheremo la prossima puntata di questa serie sulla connettività veloce. I dati relativi all’andamento della copertura, da un punto di vista infrastrutturale, sono disponibili sul sito della Strategia Italia Digitale 2020.

L’Agcom, Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, rende invece disponibile una broadband map, la mappa navigabile e interattiva riportata qui sotto, in cui è possibile vedere a colpo d’occhio lo stato della connettività nel nostro paese ma anche arrivare, come singolo utente, a conoscere l’infrastruttura di accesso a casa nostra. La mappatura fornisce dati sulle coperture e sulle reti in rame e fibra ottica e dà anche l’indicazione delle velocità delle reti fisse in rame.

Obiettivi post-Covid19?

Certo, qualunque strategia, investimento, ragionamento è stato definito e pubblicato prima di Covid-19 e quindi prima della necessità, per l’Europa e per i singoli paesi, di ragionare su un piano straordinario di sostegno all’economia. Se, come è presumibile, il grande cambiamento introdotto dalla pandemia e dal lockdown possa influire anche sugli investimenti economici della Commissione Europea nei prossimi anni, è comunque immaginabile per tutto quanto abbiamo detto fin qui che la strategia digitale dovrebbe semmai essere rafforzata, perché potrebbe rappresentare una delle chiavi per dare impulso e una nuova direzione all’economia europea. 

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