CULTURA

Cinque visioni di futuro, lo sguardo dell'arte

Il presente, il politico, il successo, il postumano, l'ambiente. Cinque sale, come scatole colorate, contengono cinque visioni di futuro raccontate attraverso un percorso espositivo che parte da una riflessione sul tempo, nella speranza di non esserne divorati  ma di riuscire invece a gestirlo, a portarlo dalla propria parte, a farselo amico, come cantavano i Rolling Stones: Time is on my side, yes it is. 

Così, dopo aver omaggiato il Futurismo e ragionato sulla relazione tra spazio e tempo, offrendo subito al visitatore opere di Boccioni, Depero, Fontana, Boetti, Munari, Cattelan, la mostra Futuro. Arte e società dagli anni Sessanta a domani, allestita alle Gallerie d'Italia di Palazzo Leoni Montanari a Vicenza e visitabile fino al 7 febbraio 2021, sceglie di iniziare dal presente dei primi anni Sessanta, gli anni dell'ottimismo (interrotti dai movimenti del 1968), quando, malgrado lo spettro di un conflitto nucleare, sembrava di toccare il futuro con la mano e l'arte rispondeva con le opere di Rauschenberg, Rotella, Vasarely, Fioroni.

Nel 1956, alla Whitechapel Gallery di Londra, veniva presentata la mostra This is tomorrow: in quell'occasione venne coniato, per la prima volta nell'arte, il termine pop. Ma quell'esposizione è rimasta nella storia anche e soprattutto per essere riuscita a riunire in un'unica visione tutti gli elementi che facevano del futuro un'esperienza del presente negli anni del boom economico, dei sogni, delle possibilità, con la conquista dello spazio, della televisione, degli elettrodomestici.

Il tempo e lo spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell'assoluto, poiché abbiamo già creata l'eterna velocità onnipresente Filippo Tommaso Marinetti

Come si fa a raccontare l'idea di futuro in una mostra senza farsi travolgere dalla complessità dell'argomento e, al tempo stesso, senza dimenticare pezzi di pensiero (e arte) per strada? Il lavoro svolto dai curatori Luca Beatrice e Walter Guadagnini è eccellente per chiarezza e sviluppo dell'idea espositiva. Ci accompagnano attraverso le sale, scelgono opere significative per puntellare ogni tappa del percorso che si sviluppa attraverso visioni di futuro calate in diverse epoche.

Nulla è lasciato al caso e il sottotitolo "arte e società" ci dice molto delle intenzioni: la relazione qui è fondamentale, l'opera e l'uomo viaggiano insieme nel tempo e nello spazio, tra emozioni di scoperta e stupore, fino a raggiungere la contemporaneità, anzi, superandola, lasciando aperta e libera la riflessione sul domani. "Quale sarà il fine della pittura del futuro? - si chiedeva Giorgio De Chirico nel secolo scorso - Lo stesso di quello della poesia, della musica e della filosofia. Produrre sensazioni che non si conoscevano prima".

Gli anni Settanta introducono "il politico", con le opere di Joe Tilson, Mario Schifano, Libera Mazzoleni, Paola Mattiol, Emilio Isgrò. Una fotografia del 1972, dal titolo La rivoluzione siamo noi, ritrae l'artista Joseph Beuys nell'atto di avanzare verso lo spettatore. Il clima è decisamente cambiato e l'impegno politico viene sentito come una necessità anche dall'arte. Sono gli anni della poesia visiva, delle provocazioni artistiche lasciate sui muri, dell'arte in dialogo con il femminismo e le lotte sindacali e del drastico e finale No future dei Sex Pistols che sembra non promettere nulla di buono ma che, invece, non ferma il tempo e ci traghetta negli anni Ottanta del successo a tutti i costi. Successo inteso come valore assoluto, economico, artistico, politico. Sono gli anni del cinema di fantascienza, di E.T. e Blade Runner, e sono gli anni della gloria di Andy Warhol (di cui la mostra presenta un buon numero di opere) e gli inizi di un giovane Damien Hirst, esponente di punta di una generazione di artisti, Young british artists, nata alla fine del decennio (Hirst è presente in mostra con l'opera del 2005 Beautiful androgynous hermaphrodite).

Quand'è che il futuro è passato da essere una promessa a essere una minaccia? Chuck Palahniuk

Nel novembre 1989 crolla il muro di Berlino, si chiude un'epoca e se ne spalanca un'altra che, a sua volta, si concluderà con altri eventi storici, tra il 1998 e il 1999: il debutto dell'euro nei mercati finanziari, la nascita di Google e quella del movimento No Global. Inizia, così, il decennio del postumano, del corpo mutante, della robotica, della clonazione. Della globalizzazione, che stravolge l'idea di futuro e trasforma anche lo sguardo degli artisti. Infine, anticipati dal video di Nancy Burson in cui i volti di Trump e Putin si sovrappongono e confondono, ecco gli anni Duemila, il nostro burrascoso presente segnato, prima, dal crollo delle Torri Gemelle e, ora, dalla pandemia da coronavirus, passando per la delicata e sempre infuocata questione dei migranti e per i cambiamenti climatici (i in questo senso le opere di Liu Bolin, Christo, Giacomo Costa, Michael Najar ci parlano), con le battaglie in difesa dell'ambiente condotte dall'attività Greta Thunberg ("Avete rubato i miei sogni") che con il movimento Fridays for Future è riuscita a coinvolgere milioni di ragazze e ragazzi in tutto il mondo con lo scopo di richiedere giustizia climatica e ambientale e garantire, quindi, un futuro alle giovani generazioni.

Il rapporto tra uomo e natura è diventato centrale e le ultime opere esposte, firmate da Ernest Trova, Richard Buckminster Fuller, Roy Lichtenstein, Georgia O'Keefe, Edward Steichen, Alexander Calder lanciano un messaggio sentito e condiviso, chiedendoci di agire: Save our planet, save our people, save our cities, save our water, save our wilderness, save our wildlife.


Futuro. Arte e società dagli anni Sessanta a domani.

Gallerie d'Italia, Palazzo Leoni Montanari, Vicenza

Fino al 7 febbraio 2021

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