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Come stanno gli europei? L'analisi della salute a tre anni dall'inizio della pandemia

La pandemia di Covid-19 e l’aggressione all’Ucraina da parte della Russia hanno avuto un impatto significativo sulla salute dei cittadini e delle cittadine dei paesi dell’Unione Europea. Le conseguenze dell’emergenza sanitaria e della guerra sul benessere complessivo della popolazione europea e sul funzionamento dei sistemi sanitari dei paesi dell’UE sono analizzate nel report Health at a Glance: Europe, nato dalla collaborazione tra la Commissione europea e l’OCSE, che valuta lo stato di salute generale della popolazione europea. Nell’edizione 2022 sono stati inclusi anche i dati relativi all’Ucraina e alla Moldavia.

Aspettativa di vita

Tra il 2020 e il 2021 si è verificata una consistente riduzione nell’aspettativa di vita nei paesi UE che nel report viene definita “senza precedenti”. Si tratta infatti del calo più significativo mai osservato dai tempi della Seconda guerra mondiale. Nel 2021, l’aspettativa di vita media nei paesi europei era di poco più di 80 anni, oltre un anno in meno rispetto al 2019.

Esistono notevoli differenze tra i paesi UE per quanto riguarda l’aspettativa di vita dei loro cittadini e cittadine. I paesi in cui si vive più a lungo sono la Spagna e la Svezia (dove questo indicatore supera gli 83 anni). In fondo alla classifica troviamo invece la Bulgaria e la Romania (dove l’aspettativa di vita si aggira tra i 73 e i 71 anni). Questo divario è stato esacerbato dalla pandemia, il cui impatto è stato particolarmente devastante nei paesi dell’Europa centrorientale. In alcuni di questi (Bulgaria, Slovacchia, Lettonia ed Estonia), l’aspettativa di vita è calata addirittura di due anni a causa di un consistente aumento della mortalità. Le conseguenze del Covid-19 sono state invece in media meno gravi nei paesi nordici (Islanda, Norvegia, Danimarca e Finlandia).

Gli unici due paesi in cui l’aspettativa di vita è leggermente aumentata rispetto al 2019 sono il Lussemburgo e la Norvegia; a Malta e in Svizzera, invece, non si sono registrate differenze significative tra i livelli pre- e post-pandemici.

Ci sono stati inoltre paesi (come il Belgio, la Spagna e l’Italia) che nonostante avessero subito una riduzione elevata dell’aspettativa di vita durante il primo anno della pandemia, sono stati successivamente in grado di recuperare la maggior parte della perdita nel corso del 2021, poiché la mortalità (dovuta sia al covid, sia da altre cause) è diminuita.

Per gli ultrasessantacinquenni, l’aspettativa di vita è calata leggermente rispetto al periodo precedente alla pandemia (nel 2021 era di 19,3 anni, mentre invece nel 2010 raggiungeva i 19,4 anni). Le donne, invece, tendono ancora a vivere più a lungo rispetto agli uomini (in media 5,6 anni in più). Questo divario di genere è aumentato ulteriormente durante la pandemia, poiché la mortalità dovuta al Covid-19 è più alta per gli uomini rispetto alle donne.

 

Oltre all’aspettativa di vita in termini assoluti (che considera cioè la quantità di anni che può aspettarsi di vivere in media una persona dalla nascita alla morte), un altro indicatore importante da considerare per inquadrare lo stato di salute generale di una popolazione è l’aspettativa di vita in buona salute, che tiene conto cioè della qualità della salute durante l’esistenza. Può capitare infatti che, soprattutto in età avanzata, le persone debbano trascorrere un certo numero di anni convivendo con alcune malattie croniche o in condizioni di disabilità o mobilità limitata.
Naturalmente, più è alta la media dell’aspettativa di vita in buona salute di una popolazione, più un paese può contare su una forza lavoro migliore, un basso numero di pensionamenti anticipati per motivi di salute e una minore pressione sul sistema sanitario da parte di persone che necessitano cure e assistenza a lungo termine.

La Svezia vanta la più alta aspettativa di vita in buona salute tra i paesi UE. Completano il podio, nell’ordine, Malta e Italia. Il paese con la più bassa aspettativa di vita in buona salute è invece la Lettonia. Bisogna tenere conto, però, che i parametri che valutano la condizione di disabilità sono differenti tra i vari stati, per cui il confronto tra essi non può essere considerato del tutto oggettivo.

Per quanto riguarda le differenze di genere, nonostante le donne tendano a vivere di più, per loro il rapporto tra aspettativa di vita in generale e aspettativa di vita in buona salute è meno vantaggioso. Le cittadine UE trascorrono in media una percentuale maggiore (il 22%) della loro vita con uno o più problemi di salute e/o in condizioni di mobilità limitata rispetto agli uomini (per i quali la stessa percentuale si aggira attorno al 18%). Il divario di genere relativo all’aspettativa di vita in buona salute è molto ampio soprattutto in Bulgaria e Polonia.

Come sottolinea il report, per migliorare l’aspettativa di vita in buona salute della popolazione europea sono necessari sforzi costanti da parte dei governi dei paesi UE, i quali dovrebbero destinare un maggior numero di risorse alla prevenzione, all’accessibilità alle cure e alla gestione delle malattie croniche con conseguenze potenzialmente invalidanti.

Mortalità

Al 22 ottobre 2022, i casi di morte causati dal Covid-19 nei paesi UE avevano raggiunto quota 1,1 milioni. A questo numero vanno aggiunte altre 300.000 persone il cui decesso è considerato comunque una conseguenza diretta o indiretta della pandemia. Più del 90% dei morti in seguito all’infezione dal virus Sars-Cov-2 avevano un’età superiore ai 60 anni.

L’Italia è purtroppo il paese UE che conta il maggior numero di morti causate dal Covid dall’inizio della pandemia alla fine dello scorso ottobre (con 179.000 decessi in totale), seguita dalla Francia (171.000 decessi), dalla Germania (154.000 decessi), dalla Polonia (117.000 decessi) e dalla Spagna (115.000 decessi). Nonostante questo, il paese europeo (sebbene non appartenente all’UE) con il numero più alto di morti dovute al Covid è la Gran Bretagna, dove oltre 200.000 persone sono decedute a causa della malattia.

Se si considera invece il tasso di mortalità, ovvero il rapporto tra il numero totale degli abitanti e quello dei decessi, nei diversi paesi dell’Unione Europea la mortalità da Covid-19 è maggiore in Bulgaria, Ungheria, Croazia, Repubblica Ceca e Slovenia e minore in Islanda e Norvegia, con differenze significative a seconda del periodo considerato. In totale, si deve al Covid l’8% dei decessi avvenuti in area UE (400.000) nel 2020 e il 10% di quelli risalenti al 2021.

Se consideriamo invece le principali cause di mortalità in generale tra la popolazione europea (in questo caso, la maggior parte dei dati risale al 2019), vediamo al primo posto le malattie cardiocircolatorie (principalmente le cardiopatie ischemiche, come gli infarti miocardici acuti, e le malattie cerebrovascolari, come l’ictus) che hanno ucciso più di 1,6 milioni di persone, cioè il 35% dei morti totali.

I tassi di mortalità per le malattie cardiocircolatorie sono stati in costante decrescita tra gli anni Settanta e l’inizio degli anni Duemila, determinando come conseguenza un generale aumento dell’aspettativa di vita. Tuttavia, nell’ultimo decennio, soprattutto in alcuni paesi dell’Europa occidentale, come Francia e Germania, l’incidenza dei fattori di rischio associati all’insorgenza di queste patologie è in crescita, specialmente per quanto riguarda l’ipertensione, il colesterolo alto, il diabete, l’obesità e la sedentarietà.

La seconda causa di mortalità tra i paesi UE è il cancro (quello ai polmoni per gli uomini e quello al seno per le donne), che ha causato quasi 1,2 milioni di decessi, cioè il 26% delle morti totali. Al terzo posto troviamo le malattie respiratorie, come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e la polmonite. Infine, sia la percentuale dei decessi per cause esterne (incidenti, omicidi, suicidi), sia quella delle morti per Alzheimer e demenza si aggirano attorno al 5%.

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