La cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, resa famosa dalla missione Rosetta dell’Agenzia spaziale europea, torna protagonista del cielo, e tra l’11 e il 12 novembre raggiungerà una distanza dalla Terra che solo tra quasi due secoli sarà nuovamente così breve, per quanto si stia comunque parlando di circa 61 milioni di chilometri. La possibilità di osservarla arriva esattamente 7 anni dopo l’atterraggio del lander Philae della sonda Rosetta sulla superficie della cometa, avvenuto il 12 novembre 2014 a seguito di un viaggio durato 10 anni.
La missione Rosetta, la prima a portare su una cometa un veicolo costruito dall’uomo, è stata una delle più ambiziose esplorazioni del sistema solare, arrivò sulla copertina di Science e vi parteciparono diverse realtà italiane, tra cui l’Università di Padova che ha avuto un ruolo centrale anche nella costruzione e nel funzionamento del sofisticato strumento ottico Osiris che ha registrato e inviato sulla Terra le immagini del corpo celeste.
E mentre la cometa di Rosetta prosegue la sua orbita che tra poche ore la porterà alla massima vicinanza dalla Terra noi abbiamo raggiunto l’osservatorio astronomico di Padova per conoscerla meglio e avere qualche consiglio su come avvistarla, ma anche per ripercorrere i risultati straordinari di quella missione rimasta nella storia.
A farci da guida sono Roberto Ragazzoni, professore del dipartimento di Fisica e astronomia e direttore dell'Osservatorio astronomico di Padova e Monica Lazzarin, professoressa del dipartimento di Fisica e astronomia e co-coordinatrice del sistema di imaging Osiris della missione spaziale Rosetta.
Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar
"La cometa 67P ritorna al perielio, nel punto più vicino al Sole, come fa periodicamente ogni 6,5 anni circa", spiega il professor Roberto Ragazzoni.
Il punto di maggiore vicinanza cade però oltre l'orbita terrestre e in questo momento noi come pianeta Terra non siamo estremamente vicini a questa cometa. "L’insieme di questi due fattori fa sì che purtroppo la cometa non sarà visibile ad occhio nudo. Si potrà vedere solo con dei binocoli abbastanza potenti o con dei piccoli telescopi. Noi astronomi infatti la definiamo una cometa telescopica", prosegue Ragazzoni mostrandoci il bellissimo quadrante murale di Ramsden del 1776 presente all'interno dell'Osservatorio astronomico di Padova, ma rassicurando sul fatto che basterà uno strumento amatoriale di alcuni centimetri di diametro.
In questi giorni la possiamo individuare nella costellazione dei Gemelli ed è osservabile nella seconda parte della notte. Grazie alla sua periodicità, ricorda il docente, "avremo altre opportunità in futuro di osservarla se questa volta per vari motivi, compreso il brutto tempo, non si dovesse riuscire a vederla".
La cometa 67P Churyumov-Gerasimenko prende il nome dai due astronomi russi che la scoprirono nel 1969 ed è una cometa di corto periodo perché la sua orbita intorno al Sole si compie in meno di 200 anni. "Appartiene alla famiglia di Giove perché Giove spesso cattura queste comete che vengono da regioni lontanissime: oltre all’orbita di Nettuno addirittura dalla nube di Oort, quindi ancora più lontano", aggiunge la professoressa Monica Lazzarin, del dipartimento di Fisica e astronomia dell'Università di Padova.
Immagine della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko presa dal telescopio Copernico di Asiago
Lazzarin, che è stata co-investigator di Osiris, il sistema di immagini a bordo della sonda cometaria europea Rosetta, progettato e realizzato a Padova, passa poi ad approfondire il valore di quella missione spaziale che si è conclusa nel 2016 con lo schianto programmato della sonda sulla superficie del corpo celeste. "Il 12 novembre celebriamo i 7 anni dall’atterraggio del robotino Philae della missione Rosetta sulla superficie della cometa. E’ stato un evento storico e unico perché per la prima volta è stato fatto scendere un robotino su una cometa. Avevamo scelto 67P Churyumov-Gerasimenko per la missione perché sono comete di cui conosciamo abbastanza bene il periodo: sapevamo bene dove saremmo andati ma non conoscevamo da vicino come si sarebbe comportata", spiega.
"La missione è stata straordinaria perché non soltanto è riuscita ad avvicinare una cometa lungo la sua orbita ma l’ha accompagnata lungo un percorso molto lungo, durato due anni. E’ andata a raggiungerla quando era ancora abbastanza lontana dal sistema solare: si pensava che non fosse ancora attiva e invece abbiamo scoperto che l’attività comincia a distanze molto grandi dal Sole. Poi l’ha accompagnata lungo l’orbita fino a raggiungere il perielio, superarlo e tornare poi nelle regioni più lontane. Si tratta di qualcosa che non era mai avvenuto prima. Abbiamo infatti trovato un ambiente piuttosto complesso e la gestione della sonda è stata complicata, ma abbiamo ottenuto una quantità di risultati che hanno cambiato completamente le nostre conoscenze su questi oggetti e anche sull’evoluzione del sistema solare".
A proposito di missioni spaziali che hanno avuto come obiettivo le comete la professoressa Lazzarin ricorda anche la sonda Giotto che circa 30 anni prima ha consentito di studiare la cometa di Haley e "ha consentito di vedere per la prima volta un nucleo cometario".
"Le comete sono oggetti ancora estremamente misteriosi e sconosciuti. Quando si avvicinano a noi si avvolgono di questa atmosfera che si chiama chioma cometaria, fatta di gas e polvere perché le comete sono costitute da polveri e materiali di tipo carbonaceo, ma anche da moltissimi ghiacci. E quando arrivano in prossimità del Sole, lungo la loro orbita, i ghiacci evaporano dalla superficie e formano questa chioma che può avere delle dimensioni anche di 100-300 mila chilometri e poi successivamente le comete formano anche le loro meravigliose code. Questi oggetti si sono mantenuti così sin dalla formazione del sistema solare, sono congelati da 4,5 miliardi di anni: le informazioni che otteniamo sono quindi importantissime", conclude Monica Lazzarin.
“ Studiamo questi oggetti perché sono i mattoni incontaminati del sistema solare Monica Lazzarin