SCIENZA E RICERCA
I conflitti dell'acqua: la grande diga etiope sul Nilo e i timori sulle economie del bacino idrico
L’acqua è un bene prezioso e limitato. Lo è, a maggior ragione, di fronte ai mutamenti del clima con il riscaldamento globale. Poche settimane fa, l’organizzazione delle Nazioni Unite aveva già lanciato un allarme preoccupante: la prossima pandemia sarà la siccità. Non una provocazione, ma un avvertimento: la scarsità idrica comporta complessità sociali importanti, influisce su economie, governi e migrazioni.
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Le guerre e le tensioni per accaparrarsi il cosiddetto oro blu sono già un dato di fatto. Ne sanno qualcosa Etiopia ed Egitto, da anni al centro di un contenzioso molto acceso per la costruzione, da parte etiope, della Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande bacino idrico artificiale del continente africano.
È uno studio, guidato dalla University of Southern California e pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters, a gettare nuovi timori riguardo agli effetti dello sbarramento etiope sul Nilo sull’economia dell’Egitto e del bacino del fiume.
Un deficit di acqua di tale portata – spiegano gli scienziati – se non mitigato potrebbe potenzialmente destabilizzare una zona del mondo già in difficoltà, riducendo la superficie coltivabile dell’Egitto fino al 72%. Lo studio effettua una proiezione di quelli che potrebbero essere i danni economici: il settore agricolo perderebbe fino a 51 miliardi di dollari e la riduzione del prodotto interno lordo aumenterebbe il tasso di disoccupazione fino al 24%.
“ Potrebbe trattarsi della disputa sull’acqua più importante della storia moderna
“Potrebbe trattarsi della disputa sull’acqua più importante della storia moderna – spiega il primo autore dello studio, Essam Heggy – L’Egitto rischia di perdere il doppio delle scorte idriche rispetto al presente con conseguenze pesanti per l’economia, lo sviluppo, l’occupazione, le migrazioni e la produzione di cibo”.
La proiezione dimostra quanto accadrebbe in caso di una mancanza totale di mitigazioni, che potrebbero, nella, realtà, diminuire i rischi sopra elencati. I ricercatori suggeriscono, per esempio, la possibilità di modificare i parametri con cui opera la diga di Assuan nel sud dell’Egitto, attingendo da una quantità maggiore di acqua dal terreno, cambiando il tipo di coltivazioni e migliorando – in termini generali – il sistema di irrigazione.
La diga
La costruzione della “Grande diga del rinascimento etiope”, con cui il presidente dell’Etiopia vorrebbe riportare il Paese a dei livelli elevati di prosperità economica, è costata 5 miliardi di dollari e attualmente rappresenta il secondo bacino idrico africano con 74 miliardi di metri cubi di acqua, più del doppio rispetto a quello del lago Mead sul fiume Colorado (USA).
È ovvio che una riserva così grande di acqua possa avere impatti importanti per i Paesi a valle dello sbarramento. Da qui parte la disputa internazionale, ormai decennale, tra Egitto, Sudan ed Etiopia. I primi due vantano diritti sull’utilizzo dell’acqua del Nilo, mentre il costruttore della diga non ha mai visto assegnatosi una percentuale di sfruttamento, chiedendo a gran voce di poter usare il bacino a sua volta per l’agricoltura, la produzione di energia elettrica come volano per lo sviluppo economico.
Il Nilo rappresenta da migliaia di anni la principale risorsa idrica per 280 milioni di abitanti sparsi in 11 Paesi. Solo l’Egitto si affida al Nilo per oltre il 90% dell’utilizzo delle sue risorse idriche. Le proiezioni demografiche parlano di un aumento della popolazione, nella regione, pari al 25% nei prossimi 30 anni. Ciò comporterebbe a un aumento della domanda di acqua, proprio quando questa potrebbe scarseggiare ancora di più. Sono ingredienti sufficienti per indicare una tensione che potrebbe sfociare in un’escalation drammatica, fino a giungere a un conflitto armato. I diritti di utilizzo del Nilo sono fonte di disputa fin dal 1959 ma era da anni che non si vedeva un braccio di ferro così serrato e senza soluzione di continuità.
Lo studio elaborato dall’Università del Sud della California non punta il dito, ovviamente, contro alcuna delle parti in causa, ma cerca di offrire degli scenari per poter portare sul tavolo delle trattative degli elementi validi per trovare un accordo. In 10 anni, i Paesi coinvolti non sono mai usciti dall’impasse, salvo il raggiungimento di un piccolo accordo grazie alla mediazione di Stati Uniti, Unione Europea e l’ONU.
Il casus belli sulle acque del Nilo è emblematico e da prendere come esempio: è solo una delle dispute in corso per il controllo delle risorse idriche la cui scarsità non potrà che aumentare a causa del cambiamento climatico, colpendo proprio i paesi in via di sviluppo. Nel mondo, altri grandi fiumi sono al centro di tensioni: il Mekong, lo Sambezi, il Tigri e l’Eufrate, solo per fare alcuni esempi, rischiano di essere il fulcro di altre potenziali instabilità politiche portatrici di conflitti.
La diga etiope vista da un'immagine satellitare del 2020 realizzata dalla Nasa. Foto: NASA/METI/AIST/Japan Space Systems, and U.S./Japan ASTER Science Team