SCIENZA E RICERCA

La conta dei lupi in Italia

Quanti lupi ci sono in Italia? “Troppi”, direbbe certamente qualcuno. Mentre chi passa la vita a cercarli conta gli avvistamenti sulle dita delle mani e per la maggior parte del tempo segue solo le sue tracce. La verità è che ad oggi nessuno sa con matematica certezza quanti lupi ci siano in Italia. Una risposta accurata però arriverà tra qualche mese grazie ai risultati del monitoraggio nazionale del lupo, il primo mai realizzato nel nostro paese e portato avanti dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). 

Sin dagli anni Cinquanta la presenza di questo carnivoro sul nostro territorio ha polarizzato l’opinione pubblica. E il nocciolo di ogni questione è sempre stato: a quanto ammonta la popolazione italiana di lupo? Per molto tempo il lupo appenninico (Canis lupus italicus) – che ricordiamolo è una sottospecie del lupo grigio europeo, endemica del nostro paese – era considerato una specie “nociva”, da abbattere con le lupare. Poi, nei primi anni Settanta, ci si accorse che di questa specie tanto schiva, quanto iconica e affascinante, erano rimasti circa 100 individui in sparute aree dell’Appennino centrale separate tra loro. E così il 23 luglio del 1971 con l’approvazione del cosiddetto “decreto Natali” il lupo appenninico è stato tolto dall’elenco delle specie nocive e inserito in quello delle specie protette. 

Oggi, a cinquant’anni dal decreto Natali, il lupo ha riconquistato buona parte del suo areale storico, anche grazie alla proliferazione del cinghiale, sua preda prediletta

Ci sono lupi tra le faggete degli Appennini, dalla Calabria alla Pianura Padana; anche sulle Alpi, sulle spiagge della Maremma e giù nel “tacco”, fino in Salento. Ma sul groppone di questo grande carnivoro gravano ancora secoli di racconti popolari, di leggende e narrazioni spesso tossiche che hanno alimentato false credenze. Fake news di lupi introdotti, liberati e addirittura “lanciati” dagli elicotteri, magari insieme alle vipere, che alimentano il conflitto con questa specie.

Fino ad ora la stima – molto grossolana – su cui ci siamo basati è che in Italia vivano circa 1.500-2.000 lupi. Ma questi conteggi sono poco accurati, e non tengono conto della differente distribuzione e della diversa numerosità dei branchi nel territorio. Avere una stima accurata e aggiornata oggi è fondamentale. E ci sta pensando l’ISPRA con il primo piano per fotografare la distribuzione e la consistenza della popolazione di lupo in contemporanea, dalle Alpi alla Calabria. 

“Nel 2018, il ministero dell’Ambiente ha dato mandato a ISPRA di produrre una stima aggiornata della distribuzione e consistenza del lupo a livello nazionale» spiega a Il Bo Live Piero Genovesi, responsabile del Servizio Coordinamento Fauna Selvatica dell’ISPRA. «Tutti i progetti finora attivati su questo carnivoro hanno avuto sempre un carattere locale e circoscritto nel tempo, per cui fino ad oggi ci siamo potuti basare solo su stime ‘a estrapolazione’. Adesso invece potremo contare su una stima solida e accurata a livello nazionale, grazie a un monitoraggio eseguito in contemporanea su tutto il territorio nazionale, con una raccolta dati sincronizzata e un protocollo comune. Insomma conosceremo il dato reale”.

Proprio in questi giorni, l’ISPRA sta concludendo la prima fase del piano di monitoraggio nazionale del lupo: quella di raccolta dati sul campo. Per disegnare un campionamento così vasto e dettagliato, l’Ispra è partita nel 2019 contattando tutti i principali esperti di lupi, in ambito nazionale e internazionale. E ha costruito una rete capillare, partendo da Regioni e Parchi Nazionali, fino alle associazioni locali. "Il Network lupo comprende 17 regioni e 2 province autonome, con cui abbiamo attivato un dialogo costante. Abbiamo stipulato una convenzione con il progetto LifeWolfAlps e con Federparchi; una anche con i carabinieri Forestali CUFA, che hanno contribuito al lavoro con 504 reparti. E abbiamo coinvolto nel progetto anche diverse associazioni nazionali tra cui CAI, AIGAE, WWF, LIPU e Legambiente; 9 università e 34 associazioni locali. Una cosa del genere in Italia non si era mai fatta" continua Genovesi, che ribadisce: "Faremo del nostro meglio per mantenere viva la rete, con cui abbiamo instaurato un dialogo molto positivo e costruttivo".

Il monitoraggio vero e proprio del lupo è partito a ottobre 2020 e da allora circa 3.000 persone, dai tecnici ai posti di coordinamento fino ai volontari formati appositamente, hanno lavorato alla raccolta dati. Cioè hanno perlustrato circa 1.000 celle di dieci chilometri quadrati distribuite sull’intero territorio nazionale, attenendosi a dei “transetti” – ovvero dei percorsi prestabiliti – solcati più e più volte. Lungo i transetti, tecnici e volontari hanno rintracciato e immortalato le tracce del passaggio del lupo, hanno piazzato fototrappole, seguito le piste e raccolto le “fatte” ovvero gli escrementi del lupo, percorrendo 22.000 chilometri in totale. E differenziando le tecniche di monitoraggio in modo da definire l’areale della specie e stimare la consistenza della popolazione in modo accurato.

"Delle 1.000 celle di possibile presenza del lupo, su 405 abbiamo effettuato un campionamento estensivo, mirato a identificare l’areale di presenza del lupo" continua Genovesi. "Mentre in 99 celle abbiamo condotto un campionamento intensivo, più in dettaglio, in cui abbiamo raccolto anche le fatte, utili per ottenere i dati genetici e determinare effettivamente quanti individui vivono in quella data cella ed elaborare così una stima nazionale di consistenza che sia affidabile".

Ora, conclusa la raccolta sul campo, inizia la fase più delicata. "Il laboratorio di genetica di Ispra ad Ozzano, in provincia di Bologna, sta ricevendo le migliaia di campioni genetici – le fatte, ndr. – raccolte da tecnici e volontari sul campo in questi mesi. Su ogni campione verranno fatte le dovute analisi genetiche, poi si passerà alle analisi statistiche. Sarà un lavoro che ci porterà via mesi, ma finalmente avremo una stima accurata della distribuzione e della consistenza della popolazione del lupo in Italia" racconta con soddisfazione Piero Genovesi a Il Bo Live. "E i risultati saranno presentati agli inizi del 2022".

Tra sentieri, guadi e foreste il team impegnato in questo enorme lavoro si è infatti dovuto scontrare anche con le difficoltà di una pandemia in corso. "La fine del periodo di monitoraggio e campionamenti era prevista per marzo. Ma in diverse regioni, per via delle limitazioni negli spostamenti tra comuni, abbiamo avuto un calo di operatività per quanto riguarda i volontari di circa il 30%. Mentre il coordinamento e il lavoro dei tecnici hanno continuato a funzionare bene. Perciò la fase operativa si sta concludendo proprio in questo mese di aprile, in ritardo rispetto a quanto previsto".

In questi mesi, però, il team di 3.000 persone all’opera non ha raccolto solo dati di presenza o genetici, ma anche dati sull’ibridazione lupo-cane «che in alcune aree del paese sembra avere un’incidenza preoccupante» come racconta Genovesi. E dati sulle misure di prevenzione: "La gestione dei conflitti è un punto fondamentale" spiega Piero Genovesi. "Nelle aree dove il lupo era scomparso e oggi è tornato serve agire su più fronti. Serve ritrovare un equilibrio con la coesistenza del lupo, in primis bisogna prevenire i danni e rispettare le leggi comunitarie: munirsi di apposite recinzioni per il bestiame e di cani da pastore certificati. Un ottimo lavoro su questo fronte è stato fatto nella Selva del Lamone, nel Lazio, dove il parco ha finanziato recinzioni e cani pastore certificati. Ci sono poi le compensazioni economiche, che spesso non bastano a risarcire il danno laddove avviene. E proprio perché oramai il lupo ha ricolonizzato ambienti dove non si vedeva più da secoli, anche in zone periurbane, va fatta una corretta comunicazione e informazione anche con i cittadini: in questi anni non sono mancati casi di lupi giovani, alimentati dall’uomo come fossero cani randagi, e che hanno creato qualche problema. Mitigare queste situazioni conflittuali richiederà impegno da parte nostra e delle amministrazioni locali".

Proprio i cani randagi e i cani padronali sciolti rappresentano un secondo e insidioso problema per il lupo, come ci racconta Genovesi. "Cani e lupi possono ibridarsi, e questo fenomeno purtroppo è molto diffuso. Ci sono animali “sospetti” sulle Alpi, ai confini con la Slovenia e la Francia. E in alcune aree del paese il problema è purtroppo molto diffuso. L’ibridazione mette in pericolo la sopravvivenza del lupo per due motivi: gli ibridi potrebbero esibire comportamenti meno “da lupo”, e creare ulteriori conflitti con l’uomo. Inoltre il rischio di introgressione genetica è serio: il patrimonio genetico del lupo rischia di perdersi, mescolandosi a quello del cane. È una minaccia subdola perché non visibile, che non incide sui numeri, ma sul patrimonio genetico. E per eliminarla bisognerebbe fare attenzione ai cani randagi e ai cani padronali non controllati, in contesti di presenza del lupo. La speranza, quando avremo i risultati del piano nazionale di monitoraggio, è che una migliore conoscenza aiuti ad agire in modo più efficace anche su questi fronti".

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