SCIENZA E RICERCA

La corteccia prefrontale ventromediale gioca un ruolo cruciale per il senso di sé

Il tempo passa, le settimane, i mesi e gli anni si susseguono e ogni giorno è diverso dall’altro. Eppure, nonostante non ci sentiamo mai esattamente come il giorno precedente, sappiamo di essere sempre noi, con un insieme di attributi e giudizi che crediamo ci descrivano. Ci capita anche di esplorare il futuro con la nostra mente, usando l’immaginazione. Anche quando speculiamo su come saremo o cosa faremo domani ci riconosciamo, in un certo senso, nella rappresentazione futura di noi stessi che stiamo immaginando.

Le informazioni che un individuo ha sul proprio conto, ovvero quell’insieme di convinzioni, conoscenze e giudizi che ognuno attribuisce a sé stesso, hanno qualcosa di particolare e distintivo rispetto agli altri contenuti mentali. Infatti, i dettagli che riguardano la nostra persona e descrivono chi siamo e come agiamo ai nostri stessi occhi sembrano essere più facili da ricordare e hanno quindi un posto privilegiato nella nostra memoria e nei nostri pensieri.

Questa capacità di ricordare meglio gli attributi, i giudizi e i significati che attribuiamo a noi stessi si chiama effetto autoreferenziale e studiarne la natura e i meccanismi serve a capire in che modo il nostro cervello mette insieme le nostre conoscenze su noi stessi e a costruire e mantenere, quindi, la nostra identità, che nel tempo cambia, pur restando la stessa.

Da un punto di vista neuroscientifico, quindi, è utile capire quali sono le basi neurali dell’effetto autoreferenziale e quali sono, in altre parole, le aree del cervello coinvolte nella formazione e nel ricordo dei contenuti mentali che ci riguardano.

“Spesso ci troviamo a pensare a chi siamo: se siamo introversi e perché, quali sono le nostre preferenze musicali, i vestiti preferiti, i luoghi, i filosofi, cosa ci fa impazzire o che invece desideriamo per il futuro. Istanze di autoconoscenza come queste ruotano attorno allo schema del sé, un insieme articolato di convinzioni su noi stessi, generalmente derivanti dalla categorizzazione ripetuta e dalla successiva valutazione del proprio comportamento, che definisce la nostra identità e distorce il modo in cui elaboriamo le informazioni in entrata”.

Così scrivono alcune ricercatrici dell’università di Bologna e del Centro studi e ricerche in neuroscienze cognitive di Cesena, autrici di un recente studio svolto con l’obiettivo di indagare le basi neurali dell’effetto autoreferenziale presente e futuro.

In alcuni lavori precedenti era stata utilizzata la risonanza magnetica funzionale per rilevare le aree del cervello coinvolte nei processi di elaborazione autoreferenziale. I risultati suggeriscono che questi siano associati all’attività della corteccia prefrontale mediale.

Tuttavia, come scrivono le autrici dello studio, non era mai stato indagato, finora, se anche l’effetto autoreferenziale futuro fosse associato all’attività di quest’area del cervello. Hanno perciò svolto una serie di esperimenti per confermare, in primo luogo, che la corteccia prefrontale mediale – e, in particolare, la regione ventrale – abbia un ruolo cruciale nell’effetto autoreferenziale; inoltre, volevano scoprire se anche l’effetto autoreferenziale futuro fosse legato a questa zona del cervello, poiché alcuni studi precedenti avevano mostrato che i pazienti con dei danni a quest’area incontravano maggiori difficoltà nel visualizzare alcuni tipi di eventi futuri.

Le autrici hanno quindi coinvolto nel loro esperimento 23 persone senza lesioni cerebrali, 7 persone con dei danni alla corteccia prefrontale ventromediale e 8 persone che presentavano danni ad altre parti del cervello. Mentre i partecipanti venivano sottoposti all’fMRI dovevano valutare se gli aggettivi presenti in un elenco si riferissero al proprio sé presente, al proprio sé futuro, o a un personaggio famoso nel presente e nel futuro.

Inizialmente i partecipanti all’esperimento hanno ricevuto una lista di 90 aggettivi, di cui la metà avevano una connotazione positiva e l’altra metà una connotazione negativi. Dovevano indicare se e quanto ognuno di questi aggettivi descrivesse loro stessi nel presente, loro stessi tra dieci anni, il presentatore Gerry Scotti nel presente e la versione che immaginavano di Gerry Scotti tra dieci anni.

Dopo circa 15 minuti passati a svolgere attività non correlate all’esperimento, ai volontari è stato sottoposto un elenco che comprendeva sia i 90 aggettivi con cui si erano confrontati durante la fase di valutazione sia altri 90 nuovi aggettivi, che non avevano valutato nella fase precedente dell’esperimento. Per ognuno di questi 180 tratti psicologici e caratteriali, i soggetti hanno dovuto dichiarare se lo ricordavano oppure no dalla sessione precedente. Infine, hanno rivisto i 90 aggettivi iniziali e hanno dovuto dichiarare nuovamente se ognuno di essi appartenesse al proprio sé presente, al sé futuro o a Gerry Scotti nel presente e nel futuro.

Le autrici dello studio hanno constatato che, in generale, le persone ricordavano meglio gli aggettivi che associavano a loro, sia nel presente sia nel futuro, rispetto a quelli che descrivevano Gerry Scotti, scoprendo quindi che l’effetto autoreferenziale si manifesta sia per lo stato di cose presente, sia per il futuro. Hanno inoltre osservato che le persone con lesioni alla corteccia prefrontale ventromediale facevano fatica a ricordare le informazioni sul proprio conto sia nel presente, sia nel futuro.

Questi risultati confermano quindi che la corteccia prefrontale ventromediale giochi un ruolo chiave nel modo si formano e si conservano le informazioni che associamo non solo a noi stessi qui e ora, ma anche a quelle che immaginiamo per il nostro futuro.

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