SCIENZA E RICERCA

Cosa c'è di "vivo" nello spazio?

Da sempre la volta stellata esercita sugli umani un certo fascino. Da quando abbiamo smesso di percepirla come un qualcosa di divino e abbiamo invece iniziato a esplorarla, si sono susseguite un enorme numero di missioni. Con prove ed errori, razzi senza equipaggio, con i primi animali, e poi i satelliti, l'allunaggio, e così via, fino ad arrivare a ciò che sentiamo nominare più spesso oggi, ovvero rover, lander e orbiter. Il genere umano è riuscito, in meno di un secolo, a lanciare così tante missioni spaziali che si fa davvero fatica a contarle. Di alcune non si può nemmeno stabilire con certezza alla loro fine; si tratta chiaramente di missioni che hanno raggiunto il loro obiettivo, ma continuano ad esplorare lo spazio e le sue profondità, e soprattutto a inviare dati ai ricercatori che si trovano qui, sulla Terra. Quindi, cosa c'è di ancora attivo, che forse possiamo definire "vivo", nello spazio?

Sono passati più di quarant’anni dal lancio delle due sonde Voyager 1 e Voyager 2 da parte della Nasa, e ancora oggi trovano il modo di far parlare di loro. Come? Facendo ancora scienza e infrangendo, secondo dopo secondo, il record degli oggetti più lontani dalla Terra di sempre. Con l’obiettivo di raggiungere Giove e Saturno e la loro corte di anelli e di lune, spiega il professor Roberto Ragazzoni, direttore dell’Osservatorio Astronomico di Padova, Voyager 2 e Voyager 1 sono state lanciate nel 1977 a pochi giorni di distanza e ci hanno regalato per anni immagini favolose dei pianeti più lontani del sistema solare. Una volta raggiunto l’obiettivo le sonde hanno continuato il loro viaggio fino ad uscire dal sistema solare. “Sono di per sé in esperimento di fisica ai confini del nostro sistema solare” afferma il professor Ragazzoni “Il solo tempo di misura di segnale, quando li interroghiamo e ritorna, dà un’idea della loro posizione e quindi, per esempio, della gravità: siamo in gradi di misurare la gravità del Sole a questa distanza”.

Non solo, i dati che arrivano dalle sonde vanno ad alimentare la controversia, già in atto da anni, sulla forma dell’eliosfera, ovvero il dominio magnetico del Sole. Per alcuni scienziati ha la forma di una cometa, per altri è più sferica. Le due sonde, essendo arrivate nello spazio interstellare, ovvero fuori dall’eliosfera, possono dare qualche indizio, ma molto rimane da studiare dato che si parla di un luogo in cui nessun oggetto umano è mai arrivato prima e, probabilmente, ci vorranno decenni prima che altri lo faranno.
Un’altra missione attiva che è nel sistema solare esterno è la statunitense New Horizons, lanciata all’inizio del 2006 verso Plutone e il suo satellite Caronte. La fine della missione è prevista per il 2026, anche se la sonda verrà mantenuta attiva, similmente a quanto successo con le Voyager e le Pioneer 10 e 11 in precedenza, anche dopo il raggiungimento del loro scopo. 

Intervista al professor Ragazzoni, al dottor Cremonese e al dottor Pajola dell'Osservatorio astronomico di Padova. Servizio e montaggio di Elisa Speronello

Dalle due Voyager, in rotta verso lo spazio profondo e recondito, alle altre opere di ingegno umano che si trovano all’interno del sistema solare. Una in particolare si trova esattamente dalla parte opposta, ovvero molto più vicina al Sole: si tratta di BepiColombo, la missione dell’Agenzia Spaziale Europea e di quella giapponese in rotta verso Mercurio. “La missione sta funzionando e sta viaggiando molto bene” dice il dottor Gabriele Cremonese dell’Osservatorio Astronomico di Padova, che è anche responsabile dello strumento a bordo della sonda, Symbiosis, un oggetto che ha il compito di fornire le immagini e gli spettri della superficie di Mercurio. La missione dovrebbe arrivare a conclusione verso la fine del 2025, “nel frattempo, ad agosto di quest’anno”, continua Cremonese, “passeremo vicino a Venere, mentre a ottobre ci sarà il primo passaggio vicino a Mercurio”. Un’altra missione che, invece, non è più in viaggio ma è già attiva, ci dobbiamo spostare su Marte. Sono due le missioni attorno a Marte da citare: ExoMars Trace Gas Orbiter e Mars Reconnaissance Orbiter. La prima è stata lanciata nel 2016 dall’Esa insieme all’agenzia russa e sta orbitando dal 2018 attorno al pianeta rosso, di cui invia molti dati: a bordo c’è una stereocamera che rende disponibili delle immagini tridimensionali della superficie di Padova; poi possiamo contare su degli spettrometri.

Per quanto riguarda invece Mars Reconnaissance Orbiter, missione lanciata nel 2005 dalla Nasa, possiamo dire che sta orbitando da 15 anni attorno a Marte. Anche qui abbiamo alcuni strumenti interessanti: Sharad, per esempio, il radar che l’Asi (Agenzia spaziale Italiana) ha realizzato per la missione, e anche Hirise. Hirise è il telescopio più grande mai montato a bordo di una missione planetaria ed è talmente potente che fornisce immagini della superficie marziana con una risoluzione talmente alta che gli scienziati possono distinguere i sassi che giacciono su un letto di un vecchio fiume, oppure su un cratere d’impatto.

Marte è attualmente l’unico pianeta, all’interno del sistema solare, interamente abitato da dai rover e dai lander” afferma il dottor Maurizio Pajola dell’osservatorio astronomico di Padova. Ci sono state molte missioni in passato, a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, che hanno avuto l’obiettivo di raggiungere Marte, alcune con successo, altre con meno fortuna. Le più celebri possono essere state le missioni Viking degli anni Settanta, appunto, oppure Pathfinder del 1997, o anche i due rover Spirit e Opportunity del 2004. Queste missioni sono rimaste attive per più di un decennio ma attualmente non comunicano più con la Terra. Attualmente i rover che esplorano la superficie marziana sono tre. Curiosity, che è grande “come una Fiat Multipla” dice Pajola, è atterrato nell’agosto del 2012 nel Gale Crater, un sito molto interessante da studiare e si tratta di un cratere che contiene una montagna, con dei fiumi sui lati. Un altro rover, lanciato sempre dalla Nasa e infatti è molto simile a Curiosity, è atterrato a febbraio, nel 2021. Perseverance, questo è il nome del rover, è in esplorazione sul Jezero Crater, un sito che contiene ben contiene addirittura i delta di due fiumi. Perseverance non è proprio il gemello identico di Curiosity, è dotato di strumenti diversi, per esempio, ad aprile è stato sganciato dalla “pancia” un piccolo elicotterino, più simile a un drone in realtà, Ingenuity, che è riuscito a fare il suo primo, brevissimo, volo nella particolare atmosfera così rarefatta di Marte. Ingenuity poi ha effettuato altri voli, aumentando un po’ alla volta la durata.

Il primo volo di Ingenuity - fonte Youtube channel NASA Jet Propulsion Laboratory

Sempre restando in tema di rover, l’ultimo arrivato su Marte è Zhurong, dell’agenzia spaziale cinese, atterrato a maggio 2021 su Utopia Planitia, l’antico fondale dell’oceano marziano del nord.

C’è anche un lander, però, che per il dottor Pajola è degno di essere ricordato. Si tratta di Insight, atterrato nel 2018 un po’ più a nord di Curiosity. Insight ha aperto i suoi pannelli fotovoltaici e poi ha disposto sulla superficie di Marte un sismometro, con cui gli scienziati studiano la struttura interna del pianeta, gli spessori di crosta, mantello e nucleo. Lasciando Marte alle spalle, c’è un altro oggetto creato dagli umani che è in viaggio per tornare sulla Terra dopo essere stato su asteroide vicino alla Terra chiamato Bennu. Si tratta della missione Osiris Rex e in questo caso non parliamo di un rover, né di un lander, ma di una sorta di ibrido che nell’ottobre 2020 è atterrato per soli sei secondi su Bennu, ha aspirato della regolite dalla superficie e, trattenendola in una capsula, ha compiuto un ultimo sorvolo sul sito di atterraggio per osservare se l’azione avesse provocato alcune modifiche sul suolo, e poi si è rimesso sulla rotta per la Terra. Nel 2023 la missione Osiris Rex si concluderà con il ritorno dei campioni sulla Terra.

Il touchdown di Osirix Rex su Bennu. Fonte YouTube channel NASA

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