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Covid-19 e immunità, Crisanti: “Serve prudenza, sappiamo ancora troppo poco"

“Da circa una settimana i ricoveri sia in reparto che in rianimazione sono in calo, ma è ancora presto per fare qualsiasi pronostico. Questo virus ha dimostrato una capacità di diffondersi al di là di ogni ragionevole previsione. Molto dipende anche dalle strategie che hanno adottato i singoli Stati ed è frustrante che l’Europa non abbia dato delle indicazioni univoche. Senza contare poi che la linea adottata da un Paese, ha un impatto anche su quelli vicini”. Andrea Crisanti, direttore del dipartimento di Medicina molecolare dell’università di Padova e dell’unità operativa complessa di Microbiologia e virologia dell’Azienda ospedaliera, raccomanda cautela nel fare previsioni. E rigore nel metodo, sottolineando l’importanza di ragionare solo sui dati sperimentali.

In Veneto (ma anche in altre Regioni d’Italia), ad esempio, sono in fase di valutazione alcuni test sierologici utili a individuare chi ha sviluppato anticorpi al virus Sars-CoV-2. Tema ampiamente dibattuto in questi giorni. Sul mercato mondiale, infatti, sarebbero più di 100 le aziende che rendono disponibili i test, e per molte di queste sembra difficile identificare produttore e distributore. Inoltre, spesso non sono note le performance analitiche dei singoli kit diagnostici disponibili in commercio, che dunque sono da valutare. “In questo momento non mi pronuncio ancora in merito ai test sierologici – dichiara Crisanti – li stiamo valutando. Non ci si può sbilanciare su ciò che poi ha un impatto epidemiologico tanto importante. Stiamo valutando i test in chemiluminescenza, insieme a molte altre tecnologie. I test in chemiluminescenza, ad esempio, hanno una sensibilità e una specificità superiore al 95%, ma questi sono dati analitici che nulla hanno a che vedere con le prestazioni diagnostiche. I test sierologici, in questo momento, non hanno valore diagnostico”. A sottolinearlo anche la circolare ministeriale del 3 aprile scorso: pur essendo molto importanti nella ricerca e nella valutazione epidemiologica della circolazione virale, si legge, per il loro uso nell'attività diagnostica d’infezione in atto da Sars-CoV-2, servono ulteriori evidenze sulla loro performance e utilità operativa. E non possono sostituire il test molecolare basato sull’identificazione di RNA virale dai tamponi nasofaringei.

C’è chi vede tuttavia in questo tipo di esame uno strumento utile per la graduale “riapertura” del Paese, poiché consentirebbe di individuare chi ha contratto il virus (oltre ai casi diagnosticati): avendo gli anticorpi queste persone risulterebbero dunque immunizzate. In proposito Crisanti dimostra cautela. La domanda è diretta: “Se un individuo sviluppa gli anticorpi a Sars-CoV 2 è immune alla malattia o può essere contagiato di nuovo?” E la risposta è altrettanto chiara: “Non lo sa nessuno”. Continua il virologo: “Non sappiamo se questi anticorpi siano protettivi o addirittura se siano la causa della patologia. Ci sono molte malattie infettive in cui gli anticorpi aggravano la malattia”. Uno studio scientifico tratta, ad esempio, il caso della Sars. “La verità è che non si può dire nulla. Non sappiamo nemmeno se questi anticorpi siano neutralizzanti, non sappiamo quanto durino, non sappiamo se siano parte del problema e se siano specifici. Ciò che stiamo facendo è un esercizio di proiezione per analogia: poiché in altre malattie avvengono determinati processi, si ritiene che lo stesso debba accadere anche in questa infezione. Ma di questa patologia non conosciamo nulla e dunque la prudenza è d’obbligo”.

Proprio per cercare di rispondere a queste domande, Andrea Crisanti e Antonella Viola, direttrice scientifica dell’Istituto di ricerca pediatrica-Fondazione città della Speranza e docente di patologia generale all’università di Padova, hanno avviato in questi giorni un progetto di ricerca che ha l’obiettivo di verificare la risposta immunitaria al Sars-CoV-2 nella popolazione veneta.

“Stiamo cercando di indagare se gli anticorpi prodotti siano neutralizzanti – spiega la docente – cioè se blocchino l’ingresso del virus nelle cellule. Nel caso lo fossero, bisognerebbe capire qual è il titolo di anticorpo sufficiente per proteggere e soprattutto quanto dura l’immunità. Gli altri coronavirus hanno delle risposte molto transienti, l’anticorpo si produce ma poi sparisce immediatamente. Se ci ammaliamo di continuo di raffreddore, ad esempio, è perché i coronavirus che ne sono responsabili non danno l’immunità. Lo stesso potrebbe valere anche per Sars-CoV-2: non è detto che dia l’immunità. Oppure questa potrebbe durare uno, due mesi e poi sparire. Non lo sappiamo ancora”.

I ricercatori andranno ad analizzare campioni di sangue di pazienti asintomatici, pauci-sintomatici e sintomatici (questi ultimi suddivisi tra chi guarisce, chi viene ricoverato in terapia intensiva ed eventualmente chi non supera la malattia), sia pediatrici che adulti, per giungere alla caratterizzazione della risposta immunitaria a SARS-CoV-2. Le indagini saranno condotte utilizzando la tecnologia della trascrittomica a singola cellula.

Il progetto di ricerca, finanziato da Fondazione Città della Speranza, vede la partecipazione anche di Annamaria Cattelan, direttrice dell’unità operativa complessa Malattie Infettive e Tropicali dell'Azienda ospedaliera di Padova, di Giorgio Perilongo, direttore del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino, e di Liviana Da Dalt della stessa struttura. Lo studio, infatti, mira a comprendere anche perché lo stesso virus abbia effetti così diversi negli adulti e tendenzialmente lievi nei bambini.

Viola conclude con una osservazione: “La scienza sta procedendo a una velocità incredibile, forse anche troppo velocemente. La gravità del momento spinge a non rispettare i tempi classici della ricerca, le pubblicazioni vengono rese disponibili senza peer review: questo è giusto, perché in tal modo le informazioni sono a disposizione di tutti, ma tra queste ve ne sono anche di non verificate che magari vengono riprese dai media, dando origine a notizie non realmente confermate. Nonostante la gravità della situazione, è importante procedere con il metodo scientifico giusto, altrimenti rischiamo solo di produrre un grande caos: serve tempo e servono esperimenti verificati”.

E in merito ai test sierologici la docente sostiene la necessità di un coordinamento nazionale. “I test sarebbero utili sia dal punto di vista epidemiologico (per capire quanti sono i contagiati) che immunologico (per capire che tipo di anticorpi si sviluppano). Non c’è discussione sul fatto che è importante identificare un test sierologico valido, il problema è che al momento i risultati sono estremamente dubbiosi. Sono sicura, tuttavia, che nel giro di un paio settimane si riuscirà a identificare quello migliore. Ciò che spero è che sia il Ministero della Salute a farlo, a scegliere un test unico per tutta l’Italia. In questo momento, invece, ogni Regione si sta organizzando in maniera autonoma. Altra cosa, poi, parlare di ‘patente di immunità’: il fatto che un soggetto abbia sviluppato gli anticorpi non indica che la persona sarà immune, né per quanto tempo eventualmente potrà esserlo”.

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