CULTURA

Dipingere senza regole: Helen Frankenthaler

Quasi sempre, visitando le mostre di Palazzo Strozzi, sin dalla prima sala espositiva si resta ammaliati dall’imponenza delle opere esposte, che siano le performance di Marina Abramovich o le sculture dei Jeff Koons, o le pitture alchemiche di Anselm Kiefer.

Dallo scorso settembre il visitatore viene catapultato nell’immensità delle opere di Helen Frankenthaler, una delle più importanti artiste americane del Novecento e fino al 26 gennaio 2025 ha la possibilità di conoscere la vita e le opere di questa donna, personalità fondamentale nel passaggio dall’Espressionismo astratto al Color Field Painting.

Helen Frankenthaler. Dipingere senza regole è la mostra organizzata dalla Fondazione Palazzo Strozzi e dalla Helen Frankenthaler Foundation e curata da Douglas Dreishpoon, direttore della Helen Frankenthaler Catalogue Raisonné, che mira a raccontare la sua rivoluzionaria ricerca nella pittura, attraverso connessioni, influenze e amicizie. Le sue opere sono infatti messe a confronto con dipinti e sculture di artisti a lei contemporanei, tra cui Jackson Pollock, Morris Louis, Robert Motherwell, Kenneth Noland, Mark Rothko, David Smith, Anthony Caro e Anne Truitt.

Quest’esposizione, la più grande mai realizzata in Italia, mette in scena in ordine cronologico opere della sua produzione tra il 1953 e il 2002, con prestiti dalla Frankenthaler Foundation di New York, da musei e collezioni internazionali come il Metropolitan Museum di New York, la Tate Modern di Londra, il Buffalo AKG Art Museum, la National Gallery of Art di Washington, la ASOM Collection e la Collezione Levett.

Figura fondamentale nella seconda generazione di pittori astratti americani del dopoguerra, H. F. si è imposta sulla scena artistica attraverso un approccio “senza regole”, sfidando i limiti delle tecniche pittoriche e unendo tecnica e immaginazione con il fine di cercare nuova libertà per la pittura. Questo approccio è stato reso visibile nella sua innovativa tecnica del “Soak-Stain” (imbibizione a macchia): un nuovo rapporto tra colore, spazio e forma. Introdotta nell’ottobre del 1952 a partire dal celebre dipinto Mountains and Sea, la Soak Stain consiste nell’applicare i colori diluiti direttamente sulla tela non preparata, distesa orizzontalmente. Così facendo il colore penetra nel tessuto della tela stessa, creando effetti simili a quelli dell’acquarello. Frankenthaler diluiva i colori a olio con trementina o altri solventi per ottenere una consistenza fluida e trasparente. Questo permetteva alla pittura di diffondersi facilmente sulla tela. Dal 1962 ha iniziato a sperimentare i colori acrilici, che in seguito ha adottato stabilmente. Sulla tela distesa sul pavimento, l’artista versava, spruzzava o applicava i colori, lasciando che si espandessero e venissero assorbiti dalle fibre del tessuto.

Frankethaler utilizzava svariati strumenti: “Uso tutto. Uso grandi pennelli per ferramenta. Uso spatole. Spesso vado in un buon negozio di ferramenta o in un negozio di alimentari e prendo cose a cinque e dieci centesimi. Una volta ho fatto un quadro fantastico con un cucchiaio per spaghetti. Uso molte spugne, molte spugne su bastoni, spugne per pavimenti, tergicristalli. E poi a volte, un bel pennellino di zibellino. Quindi, anche, vari materiali. Sì. A volte un guanto di camoscio e la mia mano, a seconda dell’idea e di ciò di cui il quadro sembra aver bisogno, perché impari molto guardandolo e lasciando che ti dica cosa, dove, e come stia chiedendo qualcosa in più”.

Questa tecnica ha successivamente influenzato lo sviluppo della pittura astratta, invitando molti artisti a ricercare nuove modalità di interazione con i materiali pittorici.

Nata a New York (1928-2011), studia arte al Bennington College. A Manhattan si avvicina all’arte astratta e all’inizio degli anni Cinquanta, grazie al critico Clement Greenberg, entra in contatto con gli esponenti della Scuola di New York e ad importanti figure dell’arte americana del secondo dopoguerra. Si forma così un gruppo di colleghi e amici uniti dal profondo impegno della sperimentazione. Nascono confronti e dialoghi e Frankenthaler inizia a collezionare alcune delle loro opere, che espone nella sua casa di Manhattan e che si possono ammirare nella mostra di Palazzo Strozzi: il lavoro su carta Helen's Collage (1957) di Robert Motherwell, il dipinto Aleph Series V (1960) di Morris Louis o la scultura Ascending the Stairs (1979-1983) di Anthony Caro.

Uno degli aspetti in cui l’esposizione risulta più incisiva è infatti la relazione tra l’artista di New York e i suoi colleghi e amici. La mostra mette così in scena la consolidata influenza di Jackson Pollock su Frankenthaler negli anni Cinquanta, con “Number 14” (1951), un dipinto in bianco e nero a confronto con “Mediterranean Thoughts” di Frankenthaler (1960), un colorato lavoro a olio che presenta analoghi «elementi di realismo astratto o di Surrealismo», frase che Frankenthaler usò per descrivere l’opera di Pollock dopo averla vista di persona la prima volta. “Tutti-Frutti “(1966), un dipinto a soak-stain di nuvole colorate fluttuanti, trova un analogo tridimensionale in Untitled (1964), scultura in acciaio dipinto di David Smith, composta da forme geometriche impilate l'una sull'altra, appoggiate su quattro piccole ruote. “Heart of London Map” (1972), un assemblaggio in acciaio, si pone a confronto invece con “Ascending the Stairs” di Anthony Caro (1979-1983), nella sua costruzione pezzo per pezzo. Un vero e proprio circolo artistico e amicale. Frankenthaler, dopo la relazione con Clement Greenberg, nel 1958 sposa Robert Motherwell con cui rimarrà per 13 anni. Due caratteri molto diversi tra loro: Frankenthaler estroversa e socievole, Motherwell all’apposto timido ed introverso, accomunati però dall’amore per la pittura.

Oltre a Jackson Pollock anche Mark Rothko influenzò profondamente l’artista newyorkese, che sviluppò una nuova forma di immagine astratta, nei primi anni Sessanta.

Anche per la mostra Helen Frankenthaler. Dipingere senza regole, la Fondazione Palazzo Strozzi ha organizzato una serie di eventi e incontri per approfondire le tematiche presenti e la figura di questa straordinaria artista americana.

Palazzo Strozzi prosegue altresì l’interessante offerta didattica per adulti, teenager, scuole, famiglie e con i progetti di accessibilità che tanto l’hanno fatto conoscere al pubblico come ente sempre attento all’inclusione sociale. Uno spazio di convivenza delle differenze che si divide in progetti per ragazzi autistici (“Sfumature”), persone con Alzheimer (“A più voci”), disabilità e disagio psichico (“Connessioni”), visite in LIS (“Segni e Parole”) e un percorso di danza dedicato al benessere delle persone con Parkinson (“Corpo Libero”).

La figura della Frankenthaler è inserita all’interno del nuovo podcast Senza compromessi, una serie di sei episodi ognuno dei quali racconta di grandi artiste che hanno ridefinito l’arte e sfidato ogni convenzione. Le protagoniste sono raccontate da Arturo Galansino, direttore generale della Fondazione Palazzo Strozzi e da Giada Biaggi, stand up comedian, sceneggiatrice e scrittrice e sono state esposte a Palazzo Strozzi: Helen Frankentahler, Marina Abramovic, Natalia Goncharova, Cindy Sherman, Kara Walker, Tracy Emin.

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