CULTURA

Il cuore aperto della Spagna

Confesso subito che A cuore aperto, l’ultimo libro della spagnola Elvira Lindo (Guanda, 338 pagine, traduzione di Roberta Bovaia), mi ha incantato, emozionato, commosso, stupito, appassionato, come non mi succedeva da tempo. Si vede che l’autrice deve esserselo portato dentro per anni. E alla fine, con tutta la maturità e la sapienza della donna e della scrittrice ormai adulta, compiendo la scelta di parlare di sé senza (quasi) il velo della fiction, ha scritto certamente il suo testo più bello e intenso, un memoir con la forza, la scrittura e la passione del romanzo.

Quella che Lindo racconta è la storia di una famiglia dalla fine della guerra civile spagnola ai giorni nostri, con quattro fratelli, di cui Elvira è la minore, un padre apparentemente estroverso e dal carattere autoritario, con sfumature chisciottesche, e una madre schiva, riservata, malata di cuore, che, dopo un’operazione chirurgica a Madrid, morirà giovane nonostante le cure prestatele dalla piccola Elvira. Il padre, invece, spedito a nove anni dalla madre presso una zia a Madrid, appena dopo la guerra civile, riesce a sopravvivere e a diventare contabile di una grande azienda di costruzioni. Trascinerà così la famiglia in una vita nomade di cantiere in cantiere, da Maiorca a una diga sperduta sulle montagne, fino al trasferimento a Madrid a causa della malattia della moglie. Con salti temporali che fluiscono in modo naturale e felice, aprendo pian piano finestre sulla storia come in una matrioska, assistiamo così all’infanzia della bambina nei pressi della diga dell’Atazar, il trasferimento a Maiorca e il suo adattamento alla nuova scuola e alle nuove amiche, siamo testimoni della sua adolescenza ribelle e comunista a Madrid, percepiamo nei suoi occhi la tristezza e il senso di colpa per la malattia, la depressione e la morte della madre, torniamo al presente e al rapporto con il marito, lo scrittore Antonio Muñoz Molina…

È indubbio, però, che al centro del libro c’è la storia d’amore tra i suoi genitori prima che lei nascesse, e c’è Manolo Lindo, il padre. E, con lui, la generazione di spagnoli che, dopo la guerra civile, sono rimasti in quel regime grigio e opprimente cercando semplicemente di sopravvivere. E se Manolo Lindo viene descritto con tutti i suoi difetti, i colpi di testa, l’autoritarismo, l’egocentrismo, gli abbandoni, Elvira Lindo è bravissima a presentarcelo anche nei suoi momenti di fragilità, in un’emozionante riconciliazione di una figlia ormai adulta con tutti gli aspetti di un genitore: non a caso il libro si apre con le figlie di fronte al padre anziano, ricoverato in ospedale per la malattia ai polmoni che lo porterà alla morte, e si chiude sempre su quel padre, quando è un bambino di nove anni, solo e sperduto nella Madrid postbellica, che lotta per tirare avanti con tutte le sue forze e le sue paure (che poi è l’immagine, o la storia, che è il motore del libro).

L’ennesimo romanzo famigliare? Per nulla. È stupefacente, infatti, il modo in cui Elvira Lindo si è immersa nel territorio paludoso dei rapporti famigliari, trasformando in letteratura ogni lampo della propria memoria, per rendere un commovente omaggio ai suoi genitori: malinconico, spesso doloroso, sì, ma capace perfino di sacrosanti guizzi di ironia e di humour. Non bisogna dimenticare, infatti, che la Lindo è anche una fine umorista, come dimostrano i suoi articoli sui quotidiani spagnoli e i suoi romanzi di successo della serie che ha per protagonista Manolito Quattrocchi. Si muove, perciò, con abilità tra i diversi registri, grazie al fatto che la voce narrante oscilla tra la Elvira bambina, ingenua e spregiudicata, e quella adulta, più consapevole e analitica. E poi c’è la scrittura: affilata, spesso commovente, in grado di scavare senza una parola di troppo e senza alcun sentimentalismo non necessario nelle personalità sia dei protagonisti (il padre, la madre, Elvira stessa) sia dei personaggi minori (la nonna cattiva, il suo pensionante, eccetera).

E così, attraverso il racconto intimo di quella storia famigliare, anche l’Elvira attuale scopre o comprende cose che riguardano i suoi genitori, i suoi fratelli, la Spagna e sé stessa. E con lei lo fa il lettore, a bocca aperta di fronte a tanta intelligenza del mondo e a tanta abilità di scrittura.

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