CULTURA

Dalla storia del giallo classico “alla” Agatha Christie fino allo scientifico Bussi/1

Da ormai quasi quarant’anni in Italia il noir ha soppiantato il giallo, non bisogna certo dispiacersene, La generazione di scrittori e scrittrici che da Bologna, Milano e Roma hanno imposto con le proprie opere letterarie di ripensare quel genere tanto amato hanno fatto del bene alla nostra letteratura. Del resto, in altri paesi il fenomeno era iniziato prima e, ben presto, si è esteso poi un po’ ovunque nel mondo. Dopo i secoli delle scienze esatte e delle guerre ideologico-militari sono arrivate le turbolenze della modernità: il noir è decisamente più realistico nel trattare contraddizioni e conflitti del mondo contemporaneo e nel rappresentare le biodiversità e le specificità sociali delle città e delle campagne dove viviamo. Lo stile noir e le atmosfere noir sono fertili. Ciò non significa che i gialli del passato e del presente siano necessariamente libri brutti e, comunque, illeggibili ora.

Né il noir, né il giallo, né gli altri generi o sottogeneri sono per definizione e sempre alta letteratura o puro intrattenimento. Ciò vale anche per le scelte fortunatamente diverse che motivano alla lettura. In treno non per tutti è facile studiare o concentrarsi, si può leggere il giornale o un certo tipo di romanzo. Nel silenzio della propria abitazione, in bagno o a letto prima di addormentarsi; nel proprio studio o al computer; in attesa dal parrucchiere o dal medico; in metropolitana o in autobus (chi riesce); per affrontare l’esame di un periodo storico o la visita di un luogo specifico; per documentarsi su una materia culturale o un argomento meno conosciuto; fiction soprattutto per qualità dell’intrattenimento, no fiction diversamente attenta alla qualità letteraria; dipende! E dipende in particolare da noi lettori, non c’è qualcosa di puramente oggettivo e assoluto nelle scelte e nelle gerarchie fra gli scrittori o fra i testi, nemmeno fra quelli di gialli e noir).

Resta abbastanza valida la distinzione (ormai classica) fra giallo e noir, almeno in Italia e in Francia. Il giallo “a enigma” o deduttivo (whodunit, Who has done it?, Chi l'ha fatto?) rappresenta il tipo più tradizionale del genere giallo: un investigatore scopre l'autore di un delitto in base a indizi più o meno nascosti e fuorvianti, generalmente all'interno di una ristretta cerchia di personaggi. “I racconti polizieschi razionalistici possono essere rappresentati come edifici a tre piani. La ragione, al primo piano, pone un problema o enigma; al secondo piano, propende a trasformare l'enigma incomprensibile in enigma incredibile e di conseguenza, in Mistero; poiché l'enigma appare senza soluzione, al terzo piano, dissolve il mistero e risolve il problema” (uno studioso francese, Maxime Chastaing, “La casa del delitto”, in La trama del delitto, a cura di R. Cremante e L. Rambelli, Pratiche Editrice, 1980). Il giallo classico, appunto a enigma, prevede che per il lettore sia possibile arrivare alle medesime conclusioni logiche dell'indagatore, e quindi individuare il colpevole, analizzando gli stessi indizi sui quali l'investigatore costruisce le proprie deduzioni.

Il “giallo” è un termine italiano (1929), in quegli anni il genere (nominato sempre diversamente nelle varie lingue: mistery, policier, Kriminal, crime, ecc.) prendeva altre strade (hard-boiled negli Usa) ed è evoluto in modo articolatissimo, soprattutto con il “noir” nell’ultimo mezzo secolo. Nel giallo classico la narrazione si presenta come una "sfida al lettore" che, per essere equa, deve rispettare il famoso decalogo di Ronald Knox (1929). Il capostipite di questo genere letterario è senza dubbio Edgar Allan Poe con il racconto "I delitti della Rue Morgue", dove il protagonista, Auguste Dupin, risolve un caso apparentemente inspiegabile. Tra gli autori di gialli classici si possono citare Arthur Conan Doyle, Edgar Wallace, Agatha Christie, Adler James Stark, S. S. Van Dine, Dorothy L. Sayers, Ellery Queen, Mignon G. Eberhart, Freeman Wills Crofts, Mary Roberts Rinehart, Margery Allingham, Patrick Quentin, R. Austin Freeman, Rufus King e Patricia Wentworth, tutti da leggere con godimento (in corsivo gli imprescindibili).

Il periodo d'oro del giallo classico va grosso modo dal 1920 (l'anno della pubblicazione del primo romanzo di Agatha Christie, Poirot a Styles Court e de I tre segugi di Freeman Wills Crofts) al 1940. Un classico sotto-genere è il cosiddetto enigma della camera chiusa, cioè un giallo in cui la vittima viene trovata uccisa in un contesto "impossibile", ad esempio all'interno di un ambiente apparentemente sigillato dall'interno. Autori classici, per la camera chiusa, sono Ann Radcliffe, John Dickson Carr, Hake Talbot, Clayton Rawson, Anthony Boucher, C. Daly King e Edmund Crispin. Ovviamente, non si tratta di elenchi completi, parzialmente meditati forse ma sicuramente parziali e discutibili: sarebbero opportuni distinzioni per Stato e lingua di scrittura, per contesto geopolitico della scrittura o per quantità e impatto della lettura, per biobibliografia degli autori, per limiti e gusti del recensore o dello storico. La discriminante risulta quella dell’eventuale piacere contemporaneo di scorrere i loro Testi.

Pure in tempi recenti continua ad avere successo il giallo enigmatico (e talora deduttivo), non sempre (ma spesso) anche con ambientazione storica, come dimostrano le storie pubblicate da Paul Halter, Elizabeth George, Harold Schechter, Cynthia Peale, Paul Doherty, Anne Perry, Dorothy Simpson, Margaret Doody, Lilian J. Brown, Gosho Aoyama, P. D. James e Michel Bussi (e da altri in quasi tutti i paesi del mondo). Molti autori italiani si sono cimentati di continuo con il giallo classico, anche contemporanei. Per il noir, invece, la definizione dovrebbe partire da cosa non è, argomenti e ambienti che non gli sono propri: il noir è più l’irrisolta contraddizione mentale e pratica di vari individui in un ecosistema sociale criminale, uno stato d’animo, un’atmosfera che resta nel confine urbano dell’ambiguo e del chiaroscuro, con trame e personaggi estranei o volutamente opposti al giallo classico. Si parla del “resto” della società, spesso residuale e sconosciuta ai più, e non vi è redenzione, spesso nemmeno soluzione. Le scienze raramente aiutano.

Nel giallo classico abbondano invece gli scienziati, dilettanti o professionisti, fisici, chimici e soprattutto matematici fin dall’Ottocento, ormai sempre più genetisti e biologi con le loro aggiornate tecniche di laboratorio, antropologi e psicologi in parallelo all’evoluzione delle rispettive discipline. Lo sviluppo storicamente determinato del genere è anzi proprio associato (oltre che all’inurbamento massiccio e al pervasivo capitalismo industriale) alla rivoluzione scientifica di circa due secoli fa e allo scientismo. Quisquilie quando si tratta di fiction? Dettagli quando si ama comunque leggere qualcosa di bello? In parte sì, teniamone conto. Molti autori ci piacciono ancora anche se intuiamo o riconosciamo un certo numero di “errori”, senza voler qui entrare nel merito della fertilità dell’errare. Evitiamo troppa accademia letteraria, teorie e formalismi, proviamo a fare un esempio concreto di un autore recentissimo che scrive belle storie contemporanee di “enigmi” criminali.

Il professore di geografia all’università di Rouen e direttore di ricerca al Cnrs francese Michel Bussi (Louviers, 1965) pubblica ottimi gialli di successo da oltre una quindicina d’anni (avendoli cominciati a scrivere ben prima). I primi due non sono stati ancora tradotti in italiano: Code Lupin è del 2006, Omaha crimes del 2007.  Mourir sur Seine è del 2008 ed è stato tradotto in italiano dodici anni dopo: “Usciti di Senna”, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, Edizioni e/o 2020, pag. 473 euro 17. Siamo in Normandia a Rouen, tra il 4 e il 14 luglio del 2008 anche se l’avventura inizia prima. Una mattina dell’ottobre 1983 Muriel era nel fuoristrada con marito e figlia lungo la valle e l’estuario della Senna, li stava accompagnando a immergersi nei misteri del fiume, lui sub esperto e parecchio ossessionato. Lei, nell’attesa di vederli riemergere, era solita passeggiare nei piccoli paradisi verdi. Quella volta la caletta era vicina al marais, a un terreno paludoso pieno di uccelli, una meraviglia! Il fatto fu che da una settimana si era aperta la caccia e Muriel non lo sapeva. La trovarono cadavere in una pozza di fango e sangue. In un attimo la figlia Marine fece in tempo a fissare l’orrore della spaventosa tragedia; quel giorno il suo sconvolto padre iniziò una lenta inesorabile discesa nella follia, che sarebbe diventata omicida col precipitare degli eventi.

Cambio di scena nel medesimo romanzo. Venticinque anni dopo nella stessa magnifica area della Normandia, da Rouen verso l’oceano, si svolge la quinta edizione dell’Armada, la seconda più importante manifestazione popolare di Francia (dopo il Tour), esperienza avviata nel 1989 e ripetuta in genere ogni cinque anni (ma talora anche quattro o sei). Magnifici originali velieri ed equipaggi da tutto il mondo, otto milioni di visitatori (tantissimi ogni giorno in fila per salire a bordo), eccezionale copertura mediatica, trecento volontari permanenti che diventano migliaia nei dieci giorni della manifestazione, mille ricevimenti ufficiali e milioni di bagordi informali, parate gioiose dei marinai in divisa sul ponte e in città, trenta battelli per mini crociere e gite, serate danzanti, fuochi d’artificio, amori. La mattina del 10 luglio avvisano il commissario Gustave Paturel che uno splendido ricco marinaio messicano è stato trovato morto, pugnalato sul lungosenna. Sulla scena arriva anche Maline Abruzze, la giornalista del più importante settimanale regionale. Dettagli e indizi sono molto confusi, la maledetta scia di sangue sembra non arrestarsi. L’enigma giallo ci intrattiene a lungo, collega passato e presente.

Considerata la professione, fin dalle prime opere Bussi non si limita a narrare la Normandia, vaga per le terre francesi e i vari continenti, per i mari e le isole di tutti i bacini oceanici (soprattutto legate alla colonizzazione francesi), luoghi noti e reali ma pure inventati o adattati, raccontati con cura professionale, sempre abitati da identità meticce (come nella nostra dinamica quotidiana da millenni). Nel 2009 l’autore pubblica Sang famille, da noi uscito dieci anni dopo, nel 2019 (“La Follia Mazzarino”, Edizioni e/o, pag. 179 euro 16), tradotto ancora Alberto Bracci Testasecca sulla base della riedizione curata dallo stesso Bussi nel 2018, che opera qualche rara correzione di forma e l’aggiunta del personaggio di Madiha.

Siamo nell’agosto 2000 sull’immaginaria isola di Mornesey. Colin, Armand e Simon sono i giovani protagonisti maschili cui si aggiunge appunto una ragazza utile all’allegra squadra. Partono alla ricerca di un tesoro, dispongono di una mappa cifrata, si perdono in gallerie sotterranee e incappano nella fuga di alcuni detenuti del penitenziario Mazzarino; non manca mai un carcere in un’isola! Né mancano gli altri temi dello scrittore: sempre personaggi non seriali ma affascinanti, la cura della geografia (fantasiosa), le cartografie avventurose (i testi sono sempre accompagnati da mappe e riferimenti cartografici), la ricerca spasmodica dell’identità, il rapporto genitori-figli, i plurimi riferimenti temporali, un impasto avvincente “manipolato” di irrazionalità e di logica (anche per i lettori).

Sta arrivando il successo per Bussi e l’attenzione fuori dai confini patri. Questa volta ambienta ancora in Normandia e parla di un grandissimo pittore, noto e ammirato ovunque. Scritto nel 2011, non è stato il primo tradotto ma il primo che ha avuto successo in Italia, forse grazie proprio ai continui riferimenti alla casa, al giardino e ai mitici fiori acquatici legati a Claude Monet, (una passione per tanti di noi), capace di aprire una lunga linea di lettori entusiasti anche verso i romanzi successivi. Ecco Nymphéas noirs (“Ninfee nere”, traduzione di Alberto Bracci Testasecca, Edizioni e/o 2016, pag. 398 euro 16). Tutto si svolge appunto a Giverny tra il 13 e il 25 maggio 2010. Nessuno sembra conoscere quella vecchia strega isolata, nata nel 1926 (anno della morte di Claude), che abita in cima al torrione (quadrato a graticcio) del grande mulino delle Chennevières, in riva al ruscello dell’Epte, accanto ai celebri giardini delle ninfee, del ponte giapponese, delle serre, fino all’isola delle Ortiche e al suo Chemin du Roy; dalla finestrella del quarto piano tiene d’occhio tutta la pianura abitata del paesino addossato sulla collina.

Quando la “strega” esce, il pastore tedesco Neptune le corre sempre non distante. Il marito Jacques è molto malato, il 13 maggio sembra in fin di vita, parla a lungo con la moglie, le mostra vecchie cose, arriva il medico, poi l’ambulanza per l’ospedale di Vernon. Un paio di giorni dopo, lei va a trovarlo e vede che soffre tanto, stacca le flebo, il 17 maggio viene sepolto, lei si trova sola. Contemporaneamente, dall’altro capo del cimitero, tutto il paese è intorno alla tomba di Jérôme Morval, un centinaio di persone a capo scoperto o sotto gli ombrelli accanto alla moglie Patricia. Il famoso chirurgo oftalmologo, con studio a Parigi, originario di e spesso residente a Giverny, era stato ucciso proprio all’alba del 13 maggio, accoltellato e affogato, pure col cranio fracassato. Segue il caso il giovane affascinante biondo ispettore Laurenç Sérénac, meno che trentenne, uscito dalla scuola di polizia di Tolosa, da poco in servizio a Vernon, forte accento occitano. Elegge a proprio vice il collega Sylvio Bénavides. Individuano le possibili piste: pare che la vittima fosse un donnaiolo, invaghito della bella sposata Stéphanie Dupain, unica maestra dell’unica classe, dove ben dipinge la piccola Fanette di undici anni, che corre e scherza con i compagni. Si rivelerà un guazzabuglio, bisognerà scavare nella follia omicida anche del 1937 e del 1963.

Ormai Bussi è uno scrittore famoso. Il sesto romanzo esce nel 2012. Un avion sans elle, viene tradotto in diciotto lingue,l’autore per la prima volta pubblicato anche in lingua italiana: “Un aereo senza di lei”, Mondadori Milano 2014, traduzione di Vittoria Vassallo, pagine 404 euro 12,50. Siamo nel 1980 su un volo notturno poco prima di Natale. L’aereo diretto a Parigi (da Istanbul) si schianta contro il Mont Terrible, nel Giura. Fra i rottami vicino alla carlinga viene ritrovata una bambina di tre mesi, sbalzata fuori al momento della collisione. È l'unica sopravvissuta, ma a bordo le neonate erano due insieme ai rispettivi genitori morti: si tratta di Lyse-Rose de Carville (nata il precedente 27 settembre nella regione parigina) o di Emilie Vitral (il 30 settembre in Normandia)? Sono coinvolte (almeno) due famiglie (i nonni): una ricca e potente di industriali, l'altra povera e sfortunata di ristoratori ambulanti. Entrambe lottano perché venga riconosciuta loro la paternità di quella che viene soprannominata dalla stampa francese la "Libellula", a quell’epoca il test del DNA non esisteva ancora.

La prima sentenza dà sorprendentemente ragione ai più poveri, ma i ricchi non si danno per vinti e assoldano l’eccentrico Crédule Grand-Duc, che per diciotto anni cerca di capire come stanno le cose. Cambio di scena, quasi un ventennio dopo. Quando finalmente l’investigatore crede di aver trovato la verità, consegna riservatamente il segreto nelle mani della ragazza stessa, ormai maggiorenne. Subito dopo, però, viene ritrovato cadavere nel suo studio. E lei scompare. Dai quartieri parigini a Dieppe, da Marne-la-Vallée al Giura, veniamo trascinati in una corsa affannosa, ricca di continui colpi di scena, fino al finale, “incredibile”. Era stato solo un episodico destino, una sliding door, oppure qualcuno (a parte l’autore) aveva manovra fin dall'inizio tutti i personaggi della storia? Questa domanda ricorre in tutta la letteratura di Bussi, “gialla” perciò più che noir. Anche le trame dei successivi undici romanzi percorreranno questa stessa via maestra senza mai abbandonare la plausibilità scientifica, ingrediente che invece talora può mancare nel noir.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012