SCIENZA E RICERCA

Declino della natura e della biodiversità: alla FAO il summit mondiale

Si è svolto a Roma, nella sede della FAO (l’Agenzia ONU per la fame e l’alimentazione), il summit mondiale per giungere a un accordo storico per arrestare e invertire il declino della Natura e della Biodiversità.

Nel 2010, la decima sessione della Conferenza delle Parti (Conference of the Parties - COP), ossia il summit dei Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione per la Diversità Biologica (Convention on Biological Diversity - CBD), aveva approvato il Piano strategico mondiale per la biodiversità (Global Strategic Plan) per il periodo 2011-2020. Il Piano, che concluderà il suo mandato alla fine dell’anno, prevedeva 20 obiettivi, articolati in 56 indicatori, nel complesso noti come Aichi Biodiversity Targets (https://www.cbd.int/sp/targets/). Il Piano e i relativi Aichi Biodiversity Targets hanno costituito in questo decennio il quadro di riferimento per la definizione di traguardi nazionali, regionali e globali per promuovere e adottare misure urgenti ed efficaci per arrestare la perdita di biodiversità e garantire ecosistemi resilienti entro il 2020.

Una valutazione completa dello stato raggiungimento dei target di Aichi sarà possibile con la pubblicazione del quinto Global Biodiversity Outlook (GBO5) dell’ONU , prevista per il 18 maggio 2020. Come ha affermato la segretaria generale della CBD, nel complesso sono state sviluppate numerose azioni e politiche per affrontare la perdita di biodiversità in ogni parte del mondo, purtroppo però, cumulativamente,  non sono state sufficienti a raggiungere i traguardi concordati dalla comunità globale.

Della stessa opinione sono l’edizione precedente del GBO e una lunga serie di studi indipendenti. Dei 56 indicatori, solo 5 stanno avendo successo per raggiungere gli obiettivi prefissati per il 2020; 33 segnalano qualche progresso, ma con una progressione insoddisfacente per raggiungere l’obiettivo previsto, 10 non mostrano alcun progresso, mentre 5 evidenziano addirittura un peggioramento e 3 non sono stati nemmeno valutati. Fortunatamente è probabile il raggiungimento dell’obiettivo 11 di Aichi, che prevede il 17% di aree protette rispetto alla superficie terrestre totale, entro la fine dell’anno. Indubbiamente è un risultato importante, considerato il diffuso riconoscimento del ruolo chiave che le aree protette, se adeguatamente gestite, svolgono nella conservazione della biodiversità. Nel maggio 2019, l'Intergovernmental Platform on Biodiversity and Ecosystem Services (IPBES), la massima autorità scientifica sulla biodiversità, ha ricordato che la natura viene distrutta a un ritmo da cento a mille volte più veloce della media degli ultimi 10 milioni di anni, sostanzialmente a causa dell'attività umana. La distruzione delle barriere coralline, delle foreste pluviali, delle mangrovie e di altri ecosistemi vitali per il pianeta sta mettendo a rischio la società umana. Gli autori del rapporto hanno lanciato caveat sul rischio che—a meno di una trasformazione radicale dei modi di estrarre risorse naturali e di usare il territorio e di una integrazione del valore della Natura nelle politiche settoriali (agricoltura e turismo in primis)—si può arrivare a conseguenze estreme ed "inquietanti", come la carenza di acqua potabile per soddisfare le esigenze dell’umanità e l'instabilità climatica. Ora, questa perdita di biodiversità minaccia la capacità degli ecosistemi planetari di fornire i servizi da cui l’umanità dipende.

Di fronte a questo insuccesso, la CBD ha cercato di correre ai ripari. Nel 2017, i delegati dell'organismo sussidiario di consulenza scientifica, tecnica e tecnologica (SBSTTA) della CBD adottarono un documento con una serie di raccomandazioni che hanno posto le basi per (i) stimolare i Paesi verso il raggiungimento degli obiettivi di Aichi e (ii) preparare un nuovo quadro globale sulla biodiversità (Global Biodiversity Framework, GBF) per il post-2020. 

In questo documento viene affermato che, tra i possibili scenari futuri, quello che porta alla conservazione della biodiversità e alla costruzione d'un futuro in cui sarà possibile "vivere in armonia con la natura" è ancora raggiungibile. A patto, però,  che si mettano in campo le più avanzate e solide acquisizioni scientifiche, le politiche e le misure appropriate e le più efficaci tecnologie disponibili, per sfruttare le possibilità offerte da quel cambiamento “trasformazionale” (che include un mutamento del comportamento di produttori e consumatori, governi e imprese), necessario per evitare conseguenze pericolose per la sicurezza alimentare e la prosperità delle società.

Il documento del SBSSTA sottolinea la necessità di un approccio coerente su biodiversità e cambiamenti climatici, per garantire che gli impatti dei cambiamenti climatici sulla biodiversità siano limitati, che la biodiversità e gli ecosistemi possano contribuire a soluzioni per l'adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici e che le misure di mitigazione e adattamento non influiscano negativamente sulla biodiversità stessa. Inoltre, il testo afferma che la selvaggina rappresenta un'importante fonte di nutrimento per milioni di persone in molte regioni del mondo, ma questo servizio che la natura offre è minacciato dallo sfruttamento non sostenibile della risorsa, aggravato dalla crescita delle popolazioni umane e dall'emergere di un fiorente commercio di selvaggina.

Nel 2018, la COP14 ha avviato formalmente il processo di approvazione del GBF per il post-2020. In quell’occasione i Paesi hanno approvato gli elementi e i principi specifici per sviluppare un processo globale e partecipativo che dovrà portare all’approvazione del GBF per il post-2020 in occasione della COP15, che si svolgerà a Kunming in Cina (https://www.cbd.int/conferences/2020), nella seconda metà di ottobre 2020, un mese prima di un’altro evento cruciale per l’ambiente globale, la COP sul clima di Glasgow. 

Nelle intenzioni della CBD, la costruzione del GBF doveva coinvolgere tutte le parti interessate (popoli indigeni e comunità locali, società civile e imprese), in un processo consultivo, inclusivo e trasparente, condotto dal Segretariato della CBD, al fine di:

  1. sviluppare una strategia post-2020 ambiziosa, in linea con la Visione 2050 della Convenzione ”Vivere in Armonia con la Natura”), giuridicamente vincolante in termini di reporting, revisione e strumenti per l’attuazione;
  2. contribuire al tempo stesso al raggiungimento dei 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU;
  3. sostenere la convenzione di Rio e gli altri trattati e accordi internazionali che hanno un nesso con la biodiversità, incluso l'Accordo di Parigi approvato nell'ambito della Convenzione ONU sui Cambiamenti Climatici e il Sendai Framework per la riduzione dei rischi legati ai disastri naturali.

Il nuovo quadro globale per la conservazione della biodiversità intende puntare, riproponendo lo stile dell’Accordo di Parigi sul clima, su una serie ristretta di obiettivi e target, che siano SMART, acronimo per specificmeasurable,ambitiousrealistic e time-bound, che siano cioè espliciti, misurabili, ambiziosi, realistici e circoscritti nel tempo. Nella definizione degli Obiettivi generali si vuole cercare di indirizzare le politiche dei governi su quei fattori che agiscono direttamente sul declino della biodiversità e della Natura: distruzione e degradazione degli habitat, sovra-sfruttamento delle risorse, inquinamento, cambiamenti climatici, diffusione di specie aliene invasive.  

Secondo molti analisti il mancato raggiungimento di gran parte degli obiettivi è dovuto in parte al fatto che gli obiettivi stessi erano generici e vaghi, difficili da attuare e dei quali era difficile o impossibile misurare i progressi.

In questo percorso di avvicinamento alla COP15 di Kunming, una tappa importante è quella che è passata per Roma, dove, presso la sede della FAO, dal 24 al 29 febbraio 2020 era in programma la seconda delle tre riunioni dell'Open-Ended Working Group per lo sviluppo del GBF per il post-2020.

Nella riunione di Roma è stato analizzato e discusso lo zero draft del GBF per il post-2020, prodotta dal Segretariato della CBD a seguito della discussione e del contributo delle Parti avvenute nel corso della prima riunione dell'Open-Ended Working Group, svoltasi a fine agosto a Nairobi.

La bozza zero dell’accordo conta cinque Obiettivi (goals, nel testo) principali da raggiungere entro il 2050, ad ognuno dei quali corrispondono dei traguardi  (targets) concreti e misurabili da raggiungere. Ogni Obiettivo ha un risultato associato per il 2030, sintetizzabili in:

  1. nessuna perdita netta (bilancio netto positivo tra ecosistemi acquisiti e persi) entro il 2030 per estensione e integrità degli ecosistemi di acqua dolce, marina e terrestre e aumenti di almeno il 20% entro il 2050, garantendo la resilienza degli ecosistemi;
  2. la percentuale di specie minacciate di estinzione è ridotta del [X%] e l'abbondanza delle specie è aumentata in media del [X%] entro il 2030 e del [X%] entro il 2050;
  3. la diversità genetica è mantenuta o potenziata in media entro il 2030 e per il [90%] delle specie entro il 2050;
  4. la natura offre benefici alle persone contribuendo a:
    1. un miglioramento della nutrizione per almeno [X milioni] di persone entro il 2030 e [Y milioni] entro il 2050;
    2. un miglioramento nell'accesso sostenibile all'acqua potabile e sicura per almeno [X milioni] di persone, entro il 2030 e [Y milioni] entro il 2050;
    3. un miglioramento della resilienza alle catastrofi naturali per almeno [X milioni] di persone entro il 2030 e [Y milioni] entro il 2050;
    4. il raggiungimento di almeno il [30%] degli impegni di mitigazione per raggiungere gli obiettivi dell'accordo di Parigi nel 2030 e nel 2050.
  5. I benefici, condivisi equamente e giustamente, derivanti dall'uso delle risorse genetiche e dalle conoscenze tradizionali associate siano aumentati di [X] entro il 2030 e abbiano raggiunto [X] entro il 2050.

I cinque Obiettivi del GBF si articolano in 20 target (action-oriented targets), che saranno funzionali al raggiungimento dei 5 Obiettivi  per il 2030 e successivamente per il 2050.  Questi 20 target sono raggruppati nelle seguenti tre categorie:

  1. "riduzione delle minacce" (reducing threats to biodiversity), dove per minacce si intendono quelle indicate dall’IPBES: distruzione e degradazione degli habitat, inquinamento, sovra-sfruttamento delle risorse naturali, diffusione di specie aliene invasive, cambiamenti climatici (6 target)
  2. "uso sostenibile e condivisione dei benefici" (Meeting peoples needs through sustainable use and benefit-sharing) (5 target)
  3. "strumenti" (Tools and solutions for implementation and mainstreaming) (9 target)

In sintesi, gli obiettivi principali dell’accordo su cui si i Paesi devono trovare un accordo sono:

  • La protezione di un terzo degli oceani e degli ecosistemi terrestri del pianeta entro il 2030 (adesso siamo al 17%);
  • una riduzione significativa (quanto significativa è da negoziare tra le parti) del numero di specie a rischio di estinzione (attualmente sono circa 1 milione) e un aumento delle popolazioni delle specie native sopra i livelli che ne garantiscano sicurezza. 
  • il controllo sulle specie invasive, riducendo del 50% il tasso di nuove introduzioni e eradicando o controllando le specie aliene invasive fino ad eliminarle o ridurle entro il 2030 di almeno il 50% dai siti prioritari per la natura;
  • la realizzazione di interventi e progetti Nature-based Solutions (NbS), vale a dire di nuove foreste, restauro di ecosistemi degradati, ecc., in grado di generare benefici per la biodiversità e le società, contemporaneamente “sequestrando” una quantità di anidride carbonica dall’atmosfera pari al 30% (o 100 miliardi di tonnellate di CO2 al 2030) degli impegni di mitigazione necessari per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi;
  • entro il 2030 rendere il commercio di specie selvatiche totalmente legale e sostenibile, anche promuovendo la partecipazione piena ed efficace delle popolazioni indigene e delle comunità locali ai processi decisionali sulla biodiversità.

Il testo negoziale è stato accolto con un certo favore da gran parte dei Paesi, ritenendolo un buon punto di partenza per un accordo realistico, ma ambizioso. La bozza discussa a Roma dimostra che gran parte dei governi sono più attenti al monito della scienza e riconoscono il ruolo sempre più importante che la protezione della biosfera, dell’idrosfera e della geosfera deve svolgere per affrontare il cambiamento climatico, prevenire le estinzioni della fauna selvatica e sostenere il benessere delle comunità locali e mondiali. 

Purtroppo, molto resta da fare e l’approvazione di un nuovo accordo molto dipende dalla volontà dei Paesi. Gli obiettivi di Aichi sono falliti non solo perché la scelta dei target era sbagliata, ma anche perché, oggettivamente, esistono ostacoli di diversa natura alla conservazione della Natura. Da quando ha cominciato a crescere la consapevolezza del degrado ambientale e del declino della integrità della natura, vi è stato un crescendo delle tensioni tra sviluppo e protezione dell’ambiente.  Vi è una diffusa percezione che i nuovi standard ambientali finiscano per ostacolare la crescita e lo sviluppo. E, in questo secolo, ciò vale per paesi in via di sviluppo, dove negli ultimi anni sono aumentate le aspettative per raggiungere standard di vita e un benessere più elevati. Non è un caso che, nei colloqui di Roma, diversi paesi dell'Africa e dell'America Latina abbiano espresso la necessità di inserire nell’accordo che verrà un sostegno finanziario ai Paesi poveri di risorse finanziare ma ricchi di biodiversità per proteggere gli ecosistemi e le specie e sviluppare meccanismi per condividere i profitti derivanti dalle scoperte legate alle loro risorse genetiche, come i nuovi farmaci o i profumi. Siamo abituati a vedere che, in qualsiasi contesa tra crescita industriale e conservazione di specie ed ecosistemi, la crescita viene prima. Raramente, in nome della conservazione della biodiversità o di tutela del territorio o de suolo, i progetti di sviluppo e di realizzazione di infrastrutture, di piccola o di grande scala, sono fermati o differiti.  Sfortunatamente, in un sistema economico e finanziario che attribuisce scarso valore alla sfera naturale e dove il valore della natura e della biodiversità non è integrato nelle politiche settoriali e inter-settoriali (quali ad esempio le politiche per contrastare i cambiamenti climatici o la cooperazione internazionale), il raggiungimento degli obiettivi di tutela della biodiversità e di sviluppo sostenibile è tutt’altro che semplice e immediato. Il cambio trasformazionale che viene invocato per contrastare il caos climatico, la perdita di integrità del pianeta deve passare attraverso il riconoscimento del valore della biodiversità e della natura.  È evidente, anche dai colloqui di Roma, che questo riconoscimento è ancora lontano dal concretarsi.  

La strada per la conferenza di Kunming si preannuncia lunga e accidentata. Ma non ne abbiamo un’altra. Il futuro dell'umanità dipende dalla nostra capacità di proteggere la natura. Aumentando l’estensione delle aree protette, restaurando le aree degradate, integrando la conservazione e il valore della natura nei settori produttivi, riducendo le perdite e lo spreco alimentare, modificando le nostre diete. Abbiamo a disposizione gli strumenti legislativi, le tecnologie, le conoscenze per poter procedere. Questo è quello che afferma la sesta edizione del Global Earth Outlook dell’Agenzia ambientale dell’ONU. Dal titolo molto eloquente: Healthy planet, healthy people.

 

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