SOCIETÀ

Dieci anni di alta velocità, tra luci e ombre

Fino a qualche tempo fa, quando si parlava di “alta velocità” si intendeva quella linea ferroviaria che collegava due paesi molto diversi, lo Stato Pontificio e la Napoli dei Borboni. Ma siccome, quando si parla di velocità, tutto è relativo e di acqua sotto le rotaie ne è passata molta, adesso parliamo di treni che procedono ad almeno 250 km/h: quest’alta velocità dei nostri giorni ha compiuto 10 anni, trascorsi tra progresso tecnologico, entusiasmi e polemiche.

Dopo le prime avvisaglie del 2008 con la linea Milano – Bologna, il sogno si è coronato il 5 dicembre 2009 con i 997 km della Torino – Salerno, su cui treni raggiungevano una velocità massima di 250 km/h e che permettevano di compiere tutto il tragitto in poco più di sei ore. L’alta velocità ferroviaria si inserisce in un percorso europeo che risponde all’esigenza di accelerare lo spostamento di cose e persone sul territorio, con una serie di corridoi che compongono la TENtec, la rete transeuropea dei trasporti. Ce ne parla Paolo Giardullo professore di Sociologia dell'ambiente e del territorio al corso di laurea in Scienze sociologiche di Padova: “Si tratta di una grande infrastruttura tecnologica realizzata a valle di una strategia complessiva che prevede cospicui investimenti sulla mobilità. A giudicare dai dati dell’Union internationale des chemins de fer (UIC) si tratta di una tendenza globale: diverse aree del mondo si stanno dotando di linee che permettono una velocità dei treni di almeno 250 Km/h”.

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Sicuramente questo sistema riduce le emissioni di CO2, eppure in Italia non sembriamo così interessati all’ambiente da questo punto di vista: “Ci siamo abituati solo di recente ad utilizzare di più il treno", conferma Giardullo. “I dati sulla ripartizione modale dei viaggiatori ci mostrano chiaramente che il principale mezzo di trasporto nel nostro Paese, e non solo, rimane l’automobile, utilizzata da otto persone su 10. Ciononostante, il numero di persone che scelgono il treno per muoversi sul terreno nazionale è in costante aumento, di quasi il 60% dal 2004 al 2017 secondo dati Istat, con una riduzione altrettanto costante dei chilometri medi percorsi di circa un terzo. Combinando questi dati è possibile interpretare non solo un aumento nella frequenza dell’uso del treno ma un suo utilizzo per tratte medie anziché prevalentemente lunghe: si tratta quindi di distanze congruenti con i collegamenti tra le città del nord che si trovano lungo gli assi dell’alta velocità Milano – Torino, Milano – Bologna, Venezia – Milano”.

Da una parte il dato è confortante: anche se l’auto rimane il mezzo prevalente, l’utilizzo del treno è in aumento. Ma da parte di chi?
“Molti degli utilizzatori – prosegue Giardullo – sono turisti: soprattutto quelli che dall’estero vengono a visitare le nostre città d’arte che sono ben collegate da Venezia a Torino così come da Venezia a Bologna per poi proseguire verso Firenze, Roma e poi in direzione Napoli, con numerose corse lungo tutto l’arco della giornata. E poi c’è l’utenza business: i servizi premium garantiscono spazi consoni non solo per lavorare in mobilità, ma anche per godere di optional come piccole sale riunioni e reti wi-fi”

Tutto bene quindi? Assolutamente no. È vero, l’alta velocità può avere un impatto positivo sia sull’ambiente che sull’economia del turismo, ma ci sono altre variabili da considerare, e i dibattiti scaturiti ne sono la prova: “Una grossa fetta della popolazione è trascurata da questo progresso – conferma Giardullo – in primo luogo chi non ha accesso all’infrastruttura. Ci sono tratti interi della penisola che non sono serviti allo stesso modo di altri. Ancora una volta l’estremo sud, della penisola: in particolare le fasce adriatiche e tirreniche meridionali in cui il treno non rappresenta un’alternativa così vantaggiosa rispetto all’auto su distanze medie e men che meno su distanze lunghe. Si tratta di aree popolose, densamente abitate, dunque non senza un potenziale bacino di utenza, ma penalizzate da un’assenza di infrastruttura”.

Su questo è d’accordo anche il premier Giuseppe Conte, che dalla Fiera del Levante di Bari ha rassicurato il Sud dicendo che ora sarà al centro dell’agenda politica europea. Il gap infrastrutturale, infatti, è sotto gli occhi di tutti anche per quanto riguarda l’alta velocità: certo, ci sono alcune linee in costruzione, la Napoli – Bari e la Palermo – Messina, ma il completamento è previsto solo, rispettivamente, nel 2026 e nel 2023. Inoltre rimarrebbero comunque troppe tratte scoperte, e Conte non è stato chiarissimo in proposito: cosa ne sarà dei progetti che devono ancora prendere il via effettivo? La Salerno – Reggio Calabria non è solo l’autostrada delle polemiche, ma anche una linea ad alta velocità per cui sono in corso gli studi di fattibilità e che comunque non vedrà la luce a breve.

Nel frattempo, però, si potrebbe lavorare con ciò che già c’è: a Pasqua dell’anno scorso, un disguido ha portato un Frecciarossa Etr 500 fino a Reggio Calabria, ovviamente non a 300 km/h. Questi treni, quindi, potrebbero viaggiare ad alta velocità dove le linee ferroviarie lo consentono, e rallentare sul resto della rete. Il beneficio, però, non sarebbe trascurabile: i passeggeri non dovrebbero più cambiare treno a Napoli passando dal Frecciarossa al Frecciabianca, tanto più che da Milano a Reggio Calabria il 70% del percorso sarebbe comunque ad alta velocità.

Eppure anche il Nord ha i suoi esclusi: “Tutta l’area del Friuli e del Veneto orientale – prosegue Giardullo – non gode delle stesse infrastrutture e del numero di collegamenti della pianura padana, ma non è prevista una compensazione con investimenti sul trasporto regionale per quelle aree che non è possibile servire con tratte ad alta velocità. Anzi, quel settore ha visto recentemente tagli ulteriori, come evidenzia il rapporto di Legambiente Pendolaria 2019, con altre tratte soppresse. Questo costringe molti lavoratori a bassa specializzazione o comunque a basso reddito a muoversi con altri mezzi, verosimilmente autonomi su gomma. Continuando il discorso sull’esclusione, bisogna anche ragionare in termini di costi: i servizi standard sui treni ad alta velocità, una volta esaurite le offerte, costano quasi il doppio del trasporto regionale. Possiamo rendercene conto anche solo osservando la composizione dei passeggeri di una vettura ad alta velocità: turisti, italiani o stranieri, e professionisti diretti verso gli uffici di grandi aziende ma non verso le realtà produttive. Anche senza entrare nelle vetture premium o business, la vecchia prima classe, il trasporto viaggiatori ad alta velocità non è per tutti, se non nelle intenzioni sicuramente negli esiti”.

Lasciamo quindi l’alta velocità a festeggiare il compleanno, ma speriamo che una volta smaltite le bollicine ci si possa dare da fare per migliorare un servizio che evidenzia ancora molte criticità.

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