Uomini che odiano le donne, ma anche donne che odiano gli uomini e che su questi esercitano violenza, in ambito familiare e domestico, in forme diverse. Parliamo di ‘violenza di genere’, espressione con cui si indicano tutte quelle tipologie di maltrattamento (da quella psicologico e fisico, agli atti persecutori, alla violenza carnale fino all’omicidio) che coinvolgono persone discriminate in base al sesso, uomini e donne. I numeri – drammatici – che raccontano con quanta brutalità questo fenomeno colpisca soprattutto il cosiddetto ‘sesso debole’, sono quotidianamente (e tristemente) sotto gli occhi di tutti. Secondo i dati forniti dal Ministero dell’interno tra marzo del 2017 e lo stesso periodo del 2018, sono state uccise da mariti, partner, ex o familiari, 119 donne; una ogni tre giorni. Negli ultimi 5 anni, invece, sono stati 774 i casi di ‘femminicidio’. Numeri in calo rispetto agli scorsi anni, ma ancora troppo alti.
“ Esiste, tuttavia, un altro fenomeno di cui ancora si parla poco, o per niente, e riguarda gli abusi subiti dagli uomini da parte di partner, mogli, ex o familiari.
Una dimensione che esiste, anche se ancora nascosta dietro timide e rare denunce. Molto spesso, infatti, per un uomo, essere o essere stati vittime di violenza, soprattutto da parte di una donna, è ancora forte motivo di vergogna, imbarazzo, disagio. In Italia, in merito, non esiste una statistica precisa ed è difficile anche trovare centri di aiuto e assistenza rivolti nello specifico a questi ultimi. Alcuni numeri vengono dallo studio condotto da Pasquale Giuseppe Macrì, docente di Medicina legale all’Università di Siena, che nel 2012 ha raccolto la voce di 1.058 uomini tra i 18 e i 70 anni. Dalla ricerca emerge una percentuale molto alta, circa il 60%, di uomini che hanno dichiarato di aver subito violenza fisica (dai graffi ai morsi, calci e pugni). Basso è invece il numero di coloro che hanno affermato di aver subito un’aggressione che avrebbe potuto portare alla morte (8,4%) o di essere stati minacciati con armi (23,5%). A prevalere sono le voci di uomini ripetutamente disprezzati e derisi per il proprio lavoro, per lo stipendio, l’ aspetto fisico o per la gestione della casa e dei figli e, sempre nell’ambito della violenza psicologica, è alta la percentuale di coloro che hanno dichiarato di essere stati continuamente minacciati, di separazione o della privazione della casa e di risorse economiche (68,4%) o di vedersi portare via i figli (58,2%). Il 30% ammette invece di essere stato vittima di stalking e il 48,7% di aver subito almeno un episodio di violenza sessuale ad opera di una donna nel corso della propria vita.
A conferma di questi numeri, arriva anche la ricerca When the woman gets violent: The construction of domestic abuse experience from heterosexual men’s perspective condotta tra il 2014 e il 2015 da Sabrina Cippolletta docente del dipartimento di Psicologia generale dell’università di Padova e dalla ricercatrice Lorenza Entilli. Lo studio ha coinvolto 20 uomini provenienti da tutta Italia tra i 20 e i 60 anni chiamati a rispondere ad alcune domande sul tema in base alla loro esperienza personale.
Si comincia a parlare in maniera sistematica e scientifica di donne che esercitano violenza sugli uomini a partire dagli anni ’90 e se di recente all’estero alcuni studi e ricerche iniziano a fornire i primi numeri, in Italia ancora, non esistono dati ufficiali. “Nel nostro Paese – spiega la docente - la resistenza a parlare di questo problema è ancora molto forte e la ragione è fondamentalmente culturale. È inammissibile che sia la donna a esercitare violenza su di un uomo e che questo possa subirla. La figura della donna violenta esce dagli stereotipi comuni. Ecco perché è proprio l’uomo il primo a non denunciare. Di conseguenza, come dimostra la nostra ricerca, a causa di questo retaggio culturale anche un’eventuale denuncia fatica ad essere compresa ed accettata (numerosi intervistati hanno ammesso di aver affrontato, quando coinvolti, i pregiudizi di forze dell’ordine e di operatori sanitari)”.
“ Negli abusi della donna contro l’uomo sono diverse le armi.
Prevale la violenza di tipo psicologico che si manifesta nelle forme più varie. Minacce, ricatti, offese, persecuzione, strumentalizzazione dei figli e violenza fisica, anche se i casi sono più rari; violenze fortissime, subdole e più difficili da riconoscere.
Sul tema, non sono solo i numeri e i dati a mancare; è difficile anche trovare strutture dedicate e specializzate a cui gli uomini abusati possano rivolgersi. “Purtroppo essendo un fenomeno sommerso non viene rilevato e quindi viene ignorato, continua Cipolletta. Per questo, credo, siamo lontanissimi dall’attuazione di politiche specifiche in merito. Dagli studi emerge come la violenza delle donne sugli uomini ricopra una proporzione di uno a quattro rispetto a quella dell’uomo perpetrata su una donna; è normale quindi che le risorse vadano indirizzate ai fenomeni maggioritari”.
Dalla ricerca padovana emerge come gli intervistati in generale si sentano, nonostante le violenze, comunque responsabili nei confronti della loro partner e mostrino grande tolleranza anche di fronte a gravi attacchi, portando avanti relazioni lunghe decenni. Accettando, confessano di sentirsi un ‘buon partner’. “La nostra non è una ricerca statistica-quantitativo ma dalle rilevazioni che abbiamo fatto è emerso che il fattore economico, che di solito si immagina la causa principale dei dissapori in ambito domestico, nella maggior parte dei casi non c’entra. È una questione di ruoli, una dinamica molto simile a quella che si genera in alcuni casi di violenza sulle donne. Quando il ruolo del partner vittima è quello di colui che sostiene comunque la sua compagna alla quale riconosce difficoltà o sofferenze – chiarisce la professoressa - le relazioni possono durare molti anni. Sia la ‘vittima’ che il ‘carnefice’, infatti, sentono bisogno di stare dentro questa relazione in cui torna ‘il ciclo della violenza’ che alterna fasi di violenza più intensa a fasi di calma e riconoscimento dell’altro, sentimenti positivi a odio e indifferenza”.
“Credo che oggi – conclude la docente – sarebbe importante spiegare attraverso la prevenzione che la violenza si gioca anche nel silenzio, senza occhi neri a volte, e che le vittime sono anche gli uomini. Se si accende l’attenzione su questo fenomeno, si possono rilevare i primi segnali e iniziare ad immaginare un sistema capace di offrire sostegno e aiuto reale a chi vive con sofferenza questo problema”.