Giuseppe Remuzzi, direttore dell'istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, già in un articolo pubblicato sulla Lettura del Corriere il 12 giugno 2016 intitolato Un altro futuro per l'umanità, discuteva della questione etica e scientifica dell'editing genetico, la biotecnologia che permette di rimuovere o sostituire porzioni di DNA di un organismo vivente, anche umano. Oggi, di fronte alla notizia della nascita di due gemelline in Cina il cui DNA è stato modificato allo scopo di renderle immuni all'Hiv, difende la linea già espressa due anni fa.
“Lì scrivevo, e lo sostengo ancora, che non c'è alcuna ragione per non ricorrere a gene editing se questo è in grado di eliminare tante malattie dalla faccia della Terra” sostiene Giuseppe Remuzzi intervistato da Il Bo Live. “Quelli che sono contro però dicono: dove poniamo il confine? Ad esempio l'obesità potrebbe essere considerata una malattia e noi potremmo modificare l'embrione per evitare che il bambino, o l'adulto, sviluppi l'obesità. Oppure potremmo togliere il gene che ha a che fare con la predisposizione a drogarsi (che non è uno solo ma potrebbero essere tanti) o ad abusare di alcolici. A chi dice che così finiamo per creare un 'uomo perfetto' rispondo che questi sono tutti meccanismi molto complessi e quindi si procederà molto piano”.
Il professor Remuzzi, nella sua difesa dell'editing genetico, di fronte allla "questione del libero arbitrio” (come la definisce) sostiene che certe decisioni non spettino alla scienza, che deve invece proseguire nella sua attività di ricerca. “Vogliamo fare gene editing per evitare che un ragazzo si droghi? Così lo priviamo della libertà di drogarsi o meno anche se ha magari una predisposizione o una familiarità? Tutte queste cose a me onestamente non riguardano, esulano dalle competenze della scienza. La scienza deve mettere a disposizione delle conoscenze che poi la società civile e chi legifera deciderà se e come utilizzare. L'importante è che la scienza vada avanti e che metta a disposizione anche questa attività di gene editing per far nascere dei bambini sani che se no sarebbero destinati a essere malati”.
Né la scienza secondo Remuzzi deve occuparsi di cosa sia etico, perché “il concetto di etico o non etico è molto flessibile. Tanti anni fa consideravamo l'autopsia una cosa non etica, tanto che Leonardo doveva trafugare i cadaveri”. In più dobbiamo considerare che questa operazione di chirurgia genetica è stata fatta in Cina, sostiene Remuzzi: “Il senso morale in Cina è molto diverso dal nostro, per esempio loro considerano che sacrificare, tra virgolette, un individuo per risolvere un grande problema della popolazione, che vorrebbe dire risolvere il problema dell'Aids, sia tollerabile”.
Il problema centrale è piuttosto di ordine più pragmatico: “Il vero problema da porsi è: questa cosa qui funziona o non funziona?”.
La tecnica di gene editing (o come più spesso viene chiamata genome editing) non è esente da pericoli, di cui Remuzzi è consapevole: “È sempre possibile che quando modifichiamo un gene succedano delle cose che noi non ci aspettiamo; noi abbiamo un bersaglio, cerchiamo di colpirlo, ma varie volte andiamo fuori bersaglio. Questo però succede di più quando si toglie un gene e lo si rimpiazza con un altro, quando si toglie un gene e basta (come nel caso delle gemelline cinesi, ndr) è difficile andare fuori bersaglio perché la tecnica è relativamente semplice”.
Dovendo pensare a situazioni simili in cui l'umanità si è già trovata a discutere dell'opportunità o meno di impiegare determinate biotecnologie sull'uomo, Remuzzi pensa alla fecondazione in vitro. “Questa storia mi ricorda moltissimo Louise Brown, la bambina nata nel 25 luglio 1978 tramite fecondazione in vitro. Quando è nata avevamo gli stessi problemi che abbiamo oggi: gli stessi scienziati che si scandalizzavano, le stesse persone che dicevano che abbiamo trasgredito i confini dell'etica, giochiamo a fare Dio, eccetera. In realtà è stato un cambio nella storia della medicina a cui dobbiamo essere grati perché adesso tantissimi bambini nascono con la fecondazione assistita”.
“ Io non dico che i cinesi abbiano fatto bene, dico che hanno aperto una strada e che questa strada è più interessante di quello che pensiamo Giuseppe Remuzzi
In definitiva l'atteggiamento del direttore dell'Istituto Mario Negri è ottimista, con poche riserve: “Io penso che sia bellissima la frase che ha detto Dan MacArthur, genetista di Harvard: 'previsione: i miei nipoti verranno da embrioni selezionati e modificati geneticamente e per l'umanità non cambierà nulla, sarà come vaccinarsi'. Io non dico che i cinesi abbiano fatto bene, dico che hanno aperto una strada e che questa strada è più interessante di quello che pensiamo. Che sia stata fatta bene? Speriamo, certo bisogna fare le cose bene. Una società come quella della Cina che privilegia l'interesse della società a quella dell'individuo non mi meraviglia che possa andare in questa direzione”.
Al Second International Summit on Human Genome Editing che si è tenuto in questi giorni a Hong Kong, il ricercatore cinese He Jiankui ha rivelato che i suoi lavori sono al momento sotto la revisione di una rivista scientifica e che quindi potrebbero essere resi pubblici presto.
“Se ci sia bisogno di un sistema internazionale di norme condivise che regolamentino l'utilizzo di queste biotecnologie? Certo che sì, noi scienziati possiamo fare ragionamenti, incontri, possiamo dire come la pensiamo, l'International Summit che si sta svolgendo in questi giorni è certamente utile. Ma a un certo punto è una questione di Nazioni Unite che devono prendere in mano il problema e fare una discussione planetaria come lo fanno sulla povertà, sulla gravidanza nei Paesi svantaggiati, sulla salute dei bambini, come lo fanno sempre. È in quella sede che si deve fare. Poi lei sa benissimo che l'Onu decide una cosa e in un altro Paese se ne fa un altra”.
E aggiunge: “Però se ci fosse una guida almeno sarebbe un punto di riferimento. Lì ci sono i rappresentanti di tutti i governi del mondo che dovrebbero riflettere la sensibilità della gente, perché poi è la sensibilità della gente che deve guidare queste cose, non sono gli scienziati. Gli scienziati devono essere sicuri di quello che sanno fare perché altrimenti tutti i discorsi cadono. Il vero problema etico che riguarda noi scienziati è conoscere tutto quello che c'è da conoscere per essere certi di poterlo fare nelle migliori condizioni. E siccome conoscere tutto quello che c'è da conoscere è al limite dell'impossibile, questa deve essere la nostra sfida e la nostra etica”.