SCIENZA E RICERCA

Etica e sperimentazione. Testare il vaccino tramite l'infezione controllata di soggetti sani

Infettare deliberatamente con il virus Sars-Cov-2 volontari sani, per testare il vaccino contro il Covid-19, potrebbe ridurre notevolmente i tempi di sviluppo del farmaco. Ma quali sono i problemi etici di cui tenere conto se si decidesse di condurre questo genere di test?

L'OMS, nel valutare la possibilità di ricorrere ai cosiddetti Human Challenge Trials per testare i vaccini più velocemente, ha stillato un documento in cui individua 8 criteri chiave a cui è necessario attenersi. Tali criteri riguardano il valore scientifico degli studi in questione, che i benefici attesi superino i rischi, una proficua e attiva collaborazione e coordinazione tra le diverse parti coinvolte nello studio, un'accurata selezione dei partecipanti, il consenso informato ottenuto da parte di questi ultimi, e la valutazione dello studio stesso da parte di una commissione indipendente di esperti.

Per evidenziare il valore sociale che avrebbero questi studi e chiarire quali siano gli interrogativi da affrontare per condurli in modo eticamente corretto, abbiamo parlato con il professor Giovanni Boniolo, docente di etica della scienza all'università di Ferrara.

I test su soggetti sani sono regolati da alcune linee guida definite dal WHO nel 2016”, spiega il professor Boniolo. “La loro liceità in ambito etico viene discussa a livello internazionale da circa una ventina d'anni, e sono stati implementati per testare vaccini soprattutto in casi di malattie contagiose di bassa intensità, come, ad esempio, l'influenza.
Per molti anni, si è trattato di un argomento tabù, perché riportava alla memoria le sperimentazioni condotte sugli esseri umani durante il nazismo, oppure lo studio sulla sifilide di Tuskegee, negli Stati Uniti d'America, durante il quale è stato seguito un gruppo di afroamericani, inconsapevoli di essere contagiati e deliberatamente non curati, per osservare il decorso della malattia. In questi casi, quindi, erano stati utilizzati esseri umani inconsapevoli e non c'era stata vaccinazione.

Per questo motivo, la cosa importante quando si parla di esseri umani volontari è che questi siano veramente volontari, e che non siano perciò soggetti ad alcun tipo di minaccia o di ritorsione (come, ad esempio, nel caso di studenti reclutati dal capo del laboratorio). Non devono neppure essere “soggetti fragili”, il che significa che non devono far parte di minoranze, anche dal punto di vista della costruzione sociale (come, ad esempio, dei carcerati a cui vengono dati dei benefit in cambio della loro partecipazione).

Sono considerati soggetti fragili, e quindi scartati a priori, inoltre, coloro che non hanno la capacità di intendere e di volere. Il volontario, infatti, deve firmare un consenso informato per la sperimentazione del vaccino e per l'esposizione al virus.
L'informazione è ovviamente essenziale, e deve specificare i rischi che la somministrazione del vaccino e l'esposizione al contagio possono comportare. In ogni caso, c'è da considerare sempre che il problema del consenso informato è che l'informazione non è mai completa. Questo accade non tanto perché da parte dell'esecutore non vi è la volontà di informare, ma perché molto spesso l'informazione non viene recepita nella sua totalità dal paziente. Sul consenso informato, che riguarda le operazioni più semplici, fino ai clinical trials, c'è una discussione in corso in ambito internazionale che cerca di verificarne l'impostazione ed eventualmente cambiare il tipo di consenso che viene richiesto ai pazienti o ai volontari.
La maggior criticità, da un punto di vista etico, quindi è proprio la volontarietà. Dev'essere quindi ben chiaro che gli individui selezionati non siano stati costretti, non appartengono a fasce deboli o fragili della società, che non subiscono minacce, e non ottengano dei benefit”.

Un articolo recentemente pubblicato sulla rivista Science, propone un quadro di riferimento in cui sono evidenziate le condizioni etiche per lo svolgimento degli Human Challenge Trials per il virus Sars-Cov-2 e mette in luce il fatto che, per giustificare questo tipo di studi, è necessario che questi abbiano un alto valore sociale, cioè che i benefici attesi superino i rischi per i partecipanti.

In questo caso, quindi, qual è l'alto valore sociale atteso e in che modo possono essere arginati i rischi? Secondo l'articolo di Science, questi studi potrebbero essere molto utili per aiutare a “stabilire le priorità tra i quasi 100 vaccini sperimentali e oltre 100 trattamenti sperimentali per Covid-19 attualmente in fase di sviluppo”. In questo modo, i risultati di questi studi potrebbero orientare le future decisioni in merito alla produzione del farmaco, accelerandone lo sviluppo.

Come spiega il professor Boniolo: “è sempre necessario fare un calcolo costi–benefici. Di solito, i clinical trials si fanno nella fase 3 della sperimentazione di un vaccino, testandolo su soggetti sani non infettati. Questo comporta l'utilizzo di un numero altissimo di persone, con un costo notevole e un'enorme quantità di tempo.
Nel caso degli Human Challenge Trials, al contrario, basterebbe un numero molto più ristretto di volontari (circa 15-20 persone), per ottenere un beneficio per l'intera società. Di fronte a migliaia di morti, come nel caso di Covid-19, quello per una decina di persone è valutabile come un rischio che si può correre".

In ogni caso, a prescindere dal valore sociale, va sempre stabilito un limite di rischio assoluto che non può essere superato.

Nel caso del virus SARS-Cov-2, si pensa di utilizzare volontari tra i 25 e i 40 anni, perché si è visto che la significatività della malattia in quella fascia d'età è ridotta”, spiega il professor Boniolo. "La mortalità, infatti, riguarda soprattutto soggetti appartenenti a fasce d'età più alte, dove spesso c'è anche comorbidità. Al contrario, si pensa che il contagio, in volontari più giovani, sia meno pericoloso.
Il grande limite di questa selezione, però, è che il campione utilizzato non rappresenta la popolazione intera. Non è detto, infatti, che ciò che funziona per un individuo tra i 25 e i 40 anni funzioni anche per qualcuno che ne ha 60, 65, o 70”.

Infine, un'ulteriore criticità dal punto di vista etico riguarda l'eventualità di pagare o meno i volontari che si sottopongano al test. Potrebbe infatti sembrare giusto ricompensarli per aver messo a disposizione il loro tempo. Tuttavia, ciò che preoccupa è che le motivazioni finanziarie diventino la motivazione principale dei volontari, oltre alla possibilità che alcuni di questi decidano di mentire riguardo ai criteri di idoneità, pur di partecipare.

“Teoricamente, i volontari non dovrebbero ricevere uno stipendio, o comunque un compenso significativo, perché altrimenti si andrebbe incontro all'utilizzo di soggetti che hanno bisogno di denaro, e che in cambio sono disposti a correre dei pericoli per la propria vita”, conferma il professor Boniolo.
“Si discute molto anche su questo. L'accordo basilare è quello di dare, al limite, un gettone per le spese. Promettere un compenso elevato, al contrario, significa andare a interessare fasce che hanno bisogno di quel compenso, ovvero, ancora una volta, le fasce più deboli e più fragili della società. E questo, ovviamente, non è lodevole da un punto di vista etico”.

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