SOCIETÀ

Etiopia, il Paese dall'anima verde in bilico

Quando si parla di ambiente, l’Etiopia è un Paese che si può definire all’avanguardia. Un Paese che ha capito che ‘alleandosi con la natura’, le possibilità di vincere la guerra contro la fame, la povertà, i cambiamenti climatici, aumentano. Un Paese che, una volta fatto proprio questo importante principio, è passato dalle parole ai fatti investendo negli anni in progetti sempre più ‘green’.

Non solo, infatti, questo territorio dell’Africa orientale recuperando, in quasi 15 anni, 15 milioni di ettari di terra degradata, ha contribuito in modo importante a dare forma alla Grande muraglia verde africana, uno dei progetti ambientali più ambiziosi al mondo, ma si è anche impegnato di recente in nuovi imponenti progetti ‘verdi’ per il futuro. Con il programma Green Legacy Iniziative, avviato dal primo ministro Abiy Ahmed lo scorso anno, nel 2019 l’Etiopia ha piantato 4 miliardi di alberi (di cui ad oggi l’84% è riuscito a sopravvivere) e per il 2020 la prospettiva è la piantumazione di altri cinque miliardi. Obiettivo finale, è arrivare a mettere a dimora entro il 2024, 20 miliardi di alberi in tutto.

Abiy Ahmed, il più giovane leader politico africano, è stato eletto nell’aprile del 2018 ed è considerato l’uomo che ha cambiato il volto del Paese. Nobel per la Pace nel 2019 in pochi mesi al governo ha messo fine alla guerra ventennale con l’Eritrea, raccolto grandi consensi a livello internazionale e avviato una stagione di riforme senza precedenti. Riforme che ora rischiano di essere definitivamente compromesse dalla guerra civile che nelle ultime settimane sta mettendo a dura prova l'intero territorio.

Negli ultimi 50 anni, l’Etiopia ha quasi del tutto azzerato le sue aree boschive perdendo il 98% delle sue foreste native. Secondo la FAO in Africa 319 milioni di ettari di terra, a causa dell’avanzare del deserto, sono vulnerabili alla desertificazione che si sta muovendo a un ritmo annuo di cinque km nelle aree semi aride della parte occidentale del Paese. Un rischio che corre in particolare tutta l'area del Sahel, un'area geografica che si estende dalle ultime propaggini del deserto del Sahara fino alle savane dei paesi della fascia equatoriale.

Anche l'Etiopia corre i suoi rischi. Sempre secondo la FAO, infatti, in Etiopia circa 92.000 ettari di foreste e boschi, nonché due miliardi di tonnellate di terreno fertile vengono persi ogni anno a causa di un uso improprio del suolo, pratiche di gestione del terreno inadeguate, pressione demografica, pascolo eccessivo, deforestazione, cambiamento climatico e mancanza di energie rinnovabili.

L’attuale copertura forestale del Paese oggi è pari al 15,5% ma il piano nazionale prevede di ricreare un milione di ettari di foresta per raggiungere una copertura del 30% entro il 2030. In questo modo, se dovesse essere mantenuto il ritmo delle attuali piantumazioni, l’emissione di gas serra, in Etiopia pari a circa 400 milioni di tonnellate, potrebbe ridursi a 250 milioni di tonnellate.

Una prospettiva che fa ben sperare per il Paese e per l'intero continente africano, ma che oggi sembra un pensiero lontano se posto a confronto con le preoccupazioni legate all'attuale situazione di instabilità politica che sta colpendo l'Etiopia. Dal 4 novembre, infatti, dopo che il governo federale del Paese ha lanciato un'azione militare contro il Fronte di liberazione del Tigrè (Tplf), l’organizzazione separatista attiva nel nord del Paese, gli episodi di violenza si sono fatti sempre più frequenti e diffusi. Il crescere della tensione sul territorio che sta trasformando un conflitto regionale in una guerra civile, interessa particolarmente anche la comunità internazionale preoccupata per una possibile escalation dell'azione militare etiope che potrebbe destabilizzare il Corno d'Africa e il recente equilibrio raggiunto in questi ultimi anni in particolare dall'Etiopia, considerata punto di riferimento equilibrato per l'Occidente.

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