CULTURA

Fuori dalla dozzina dello Strega: Il Duca di Matteo Melchiorre

La selezione dei semifinalisti al Premio Strega di quest’anno esclude romanzi forse più meritevoli di quelli che, invece, concorrono per la vittoria. Tra questi, senz’altro, c’è Il Duca di Matteo Melchiorre (Einaudi, 2023), che il premio massimo avrebbe pure potuto, per chi scrive, decisamente portarlo a casa. Ma, si sa, i premi letterari seguono traiettorie imponderabili.

Perché Il Duca?

Perché non ammicca mai, ma è un romanzo che con grande onestà, e umiltà, torna a una forma antica, in cui la trama ruota attorno a un fatto (o più di un fatto) e alle conseguenze che questo comporta o minaccia di comportare: l’interiorità dei personaggi è, in definitiva, in certa misura, accessoria. E, a questo, i lettori di letteratura italiana contemporanea non di genere, sono oramai quasi del tutto disabituati.

Per quanto la voce narrante dica “io” – il romanzo è scritto in prima persona (anche se l’autore ha, inutilmente, tentato di tradurlo in terza per poi appunto tornare alla prima) – l’io del Duca (che in realtà è  un conte) non prevarica l’equilibrio di una storia che sulla scena vede una collezione di personaggi, diversi dei quali comprimari (tra cui spicca l’antagonista e parallelamente l’innamorata impossibile), e altri di contorno, che restituiscono a chi legge un affresco sociale di un luogo e un tempo che collocazione precisa sembrano non averla

Anche quest’ultimo tratto, invero, è quasi obsoleto per chi legge, oggi. Siamo nel presente (il romanzo si chiude dopo l’avvento di Vaia, la tempesta che nel novembre del 2018 ha funestato le montagne di mezz’Europa Orientale, senza che venga però esplicitamente citata) ma potremmo essere in un passato anche lontano: non vediamo automobili, né telefoni, tantomeno connessioni internet o chat.

E l’autore sceglie poi di affidare alla Natura il compito di introdurci, di volta in volta, nella storia: ubertose sono le descrizioni del volo delle cornacchie, a lungo i protagonisti disquisiscono sul ritorno del lupo – che tanto ricorda, per una impalpabile coincidenza, la storia dell’orso JJ4 che di recente ha ucciso il runner –, la quaestio che origina il conflitto e muove la trama è l’attribuzione legale di una porzione di bosco, l’amore tra il protagonista e la nipote del suo nemico nasce mentre i due annusano l’aria, guardano un muro, e il Duca stesso è un uomo fuori dal tempo: un osservatore che abita lo spazio lungo delle stagioni, i ritmi del paese, la solitudine dell’uomo della montagna residuale.

Melchiorre, inoltre, non teme di sfidare il lettore con una scrittura voluttuosa che indugia sulle descrizioni e le emozioni le fa intuire con misura, senza gridarle.

Infine la presenza incombente e rassicurante insieme della Storia, quella che lega presente, passato e futuro, è la chiave del disvelamento finale: quel momento in cui il lettore si raccapezza e sente che “tutto torna”.

La storia dei luoghi sovrasta e supera quelle delle persone e un capoverso sarà anche un capoverso, cioè un brandello, ma dopo di esso si va pur sempre a capo Matteo Melchiorre

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012