SCIENZA E RICERCA

Incendi in Australia: facciamo chiarezza in 5 punti

L’Australia occidentale brucia da settimane. La pioggia è arrivata a dare manforte ai vigili del fuoco ma da quando gli incendi sono cominciati, sono andati in fumo oltre 1 milione e 650.000 ettari, sei persone hanno perso la vita e quasi 700 edifici sono stati distrutti solo nel Nuovo Galles del Sud. Secondo le autorità locali la situazione ha raggiunto livelli catastrofici mentre sul web sono rimbalzati video, immagini e notizie del disastro, spesso accompagnate da annunci che darebbero i koala per spacciati, “funzionalmente estinti”.

Dopo l’Artico, l’Amazzonia e l’Africa, gli incendi non sembrano volersi arrestare. E con loro, purtroppo, avanzano anche toni apocalittici e informazioni sbagliate. Proviamo a fare chiarezza.

Cosa sta succedendo?

I primi incendi sono scoppiati il 6 settembre, nel Nuovo Galles del Sud, tra Drake e Tenterfield, mietendo già da subito le prime vittime e danneggiando le prime abitazioni. Poi agli inizi di novembre hanno preso fuoco quasi 190.000 ettari nelle Gospers Mountain, nel Wollemi National Park, vicino alle più famose Blue Mountains. Ed è in questo momento che la notizia ha iniziato a diffondersi al di là del mare che circonda l’Australia. Presto, poi, si sono aggiunti nuovi incendi nel Queensland e nello stato di Victoria. 

A oggi, il Nuovo Galles del Sud è sicuramente lo Stato più duramente colpito, con un bilancio di 1,65 milioni di ettari rasi al suolo, sei morti e circa 700 abitazioni distrutte. Il Queensland ha perso altri 180.000 ettari e nello stato di Victoria, a complicare il tutto, ci si sono messi di mezzo venti a più di 100 km/h, che hanno alzato le fiamme, diffuso gli incendi e reso più difficili i soccorsi. Infine diversi focolai si sono verificati in Tasmania e nella penisola di Yorke dove sono stati persi altri 5.000 ettari.

È davvero un episodio senza precedenti?

No, non lo è se consideriamo solo l’estensione. L’Australia ha una lunga e dolorosa storia di incendi disastrosi che hanno coinvolto milioni di ettari. Il più devastante che il paese ricordi è quello sviluppatosi il 6 febbraio 1851 nello stato di Victoria dove in un solo giorno, il famoso “giovedì nero” – a causa di terribili venti forti e bollenti, e una siccità spaventosa – presero fuoco oltre 5 milioni di ettari, decretando al contempo la morte di oltre un milione di pecore e di migliaia di bovini.

E no, non è un incendio senza precedenti neanche se guardiamo solo la storia del Nuovo Galles del Sud. Qui i momenti peggiori sono stati l’estate australe del 1974-75 e quella del 1984-85. Tra la metà di dicembre del 1974 e i primi mesi del 1975, infatti, andarono a fuoco quasi 4,5 milioni di ettari. E di nuovo, dieci anni dopo, tra il giorno di Natale del 1984 e la fine dell’estate del 1985, vennero distrutti altri 3,5 milioni di ettari, secondo i dati governativi.

Perciò no, almeno fino ad ora, non siamo davanti a un record. Quello che possiamo dire è che incendi di questa estensione non si vedevano in Australia dal 2003: da quando sono diventati cenere oltre 3,3 milioni di ettari tra l’Australia occidentale e lo stato di Victoria. E se guardiamo al solo Nuovo Galles del Sud, un evento così disastroso non si presentava da 34 anni. L’estate però deve ancora arrivare e il bilancio è destinato a crescere. 

Ci sono differenze con gli incendi passati?

Sì, qualcuna c’è. Se nel 1974 bruciava l’area ovest del Nuovo Galles del Sud, per lo più praterie e piante erbacee, oggi stanno bruciando soprattutto aree percorse raramente dal fuoco: si tratta della fascia costiera interna. Gli incendi hanno divorato migliaia di ettari di foreste pluviali e foreste umide di eucalipti, nel cuore di parchi nazionali come il Guy Fawkes River National Park e soprattutto il Wollemi National Park e lo Yengo National Park, entrambi alle porte di Sydney e annessi all’area delle Greater Blue Mountains, patrimonio mondiale dell’Unesco.

Il cambiamento climatico c’entra?

Sì. Certo, se pensiamo solo alle precise cause di innesco, nessuno degli oltre 160 incendi sviluppatisi in Australia in questi ultimi mesi è stato direttamente provocato dal cambiamento climatico. Ci sono incendi scoppiati per tralicci della corrente caduti per i venti che soffiavano a oltre 100 km/h, incendi dovuti a estrema siccità e venti caldi (come avviene stagionalmente in Australia). Persino incendi attribuibili a errori umani evitabili, come un’esercitazione militare con artiglieria, o voluti: un volontario dei vigili del fuoco sarà processato per aver appiccato più incendi. 

Ma la verità è che qualsiasi sia stata la miccia, a fare da sottofondo a questa catastrofe ci sono proprio i primi segni palpabili del cambiamento climatico globale in atto.

L’Australia sta vivendo primavere ed estati sempre più bollenti, e neanche l’inverno porta il freddo e le piogge sperate. Oramai le ondate di calore anomalo e di siccità estrema sono sempre più frequenti, basta guardare i dati. In particolare le cartine elaborate dall’Australian Boreau of Meteorology sono lampanti. Si vede bene come a soffrire di tremenda siccità, perché bagnate troppo poco dalle piogge negli ultimi 34 mesi (dal gennaio 2017 all’ottobre 2019), siano proprio le aree oggi devastate dagli incendi. 

Non è un mistero, poi, che le ultime due estati australiane siano state le più calde di sempre, con temperature di molto sopra la media. Secondo i dati dell’Australian Boreau of Meteorology, nell’estate 2018-2019 le temperature sono arrivate a sfiorare i 50°C per diversi giorni in diverse località, battendo l’ultimo record registrato nell’estate 2012-2013.

E gennaio 2019 è stato così registrato come il più caldo di sempre in Australia: con una temperatura media di tutto il paese di 30,8°C, contro i 27,9°C considerati normali. Quasi tre gradi sopra la media mensile. Basta sfogliare il rapporto State of the Climate 2018 per accorgersi della siccità che avanza, delle precipitazioni che diminuiscono sempre più, mentre la colonnina di mercurio sale inesorabilmente. E quindi sì, i cambiamenti climatici creato le condizioni perfette per gli incendi: siccità e caldo estremo. Il vento forte e secco, ha fatto il resto, fornendo il comburente. 

I koala sono estinti? Sono funzionalmente estinti o si estingueranno a causa di quest’incendio?

No, no e no. Le stime attuali parlano di 350 koala morti e forse per questo molti giornali sono tornati alla carica con immagini strazianti e con i titoli sui koala “funzionalmente estinti”: una bufala. O quantomeno un comunicato molto gonfiato, messo in giro a maggio dall’Australian Koala Foundation che parlava di 80.000 koala rimasti. Con il termine “funzionalmente estinti”, però, si indica una specie di cui sono rimasti pochissimi individui, talmente pochi – magari vecchi o malati – che non si riproducono più e non svolgono più il ruolo nell’ecosistema. E 80.000 è un numero ragguardevole: basti pensare che di tigri ne rimangono circa 2.500. Insomma fortunatamente i koala non sono funzionalmente estinti. Inoltre, secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN), ci sarebbero almeno 100.000 koala in Australia, se non 300.000. Avere una stima più precisa è difficile, ma tanto basta per dire che non si estingueranno a causa di quest’incendio.

Eppure i koala se la passano male, questo bisogna ammetterlo. La stessa IUCN li classifica come “vulnerabili”: stanno subendo un costante declino e in 20 anni (1990-2010) la popolazione nazionale è diminuita del 28%. I koala sono infatti minacciati dalla massiccia deforestazione, dalle ondate di calore sempre più frequenti, dagli incendi e dalla siccità estrema, ma anche dalle specie aliene e da quelle domestiche (cani e gatti randagi). Insomma, senza inutili allarmismi, hanno bisogno di azioni concrete se non vogliamo portarli davvero sull’orlo dell’estinzione.

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