Oceanografia e oceanologia a scala mediterranea

Mar Mediterraneo
Anche gli oceani si studiano in termini scientifici dalla seconda metà dell’Ottocento, oceanografia o oceanologia o scrittura dell’oceano o scienza del mare che dir si voglia. Attraverso geologia, biologia, fisica, chimica, spesso con ricerche interdisciplinari e sempre più con risvolti paleo, si è iniziato a studiare la materia interna alla superficie del globo coperta di acque, laddove noi primati umani non riuscivamo a risiedere e solo lentamente siamo stati capaci di spostarci tramite supporti galleggianti. Come è noto, l’acquosa materia terrestre non è separata, risulta tutta interconnessa, a differenza delle masse continentali; oltre il settanta per cento della superficie del pianeta; un unico grande mondiale “oceano” e il ciclo dell’acqua; tutte le acque “terrestri” un continuum interrelato, anche quelle presenti all’interno dei continenti tramite i bacini idrografici (e poi, appunto, in forma “mobile” ovunque grazie al ciclo atmosferico delle acque).
L’unico oceano è geograficamente diversificato in bacini oceanici e mari biodiversi: i bacini sono cinque Pacifico, Atlantico, Indiano, Artico e Antartico, e al loro “interno” (in vario modo) possono essere distinti e classificati i mari. Il mare Mediterraneo ha varie riconosciute specificità che ne hanno fatto da almeno ventimila anni (circa con lo stesso livello di altezza delle acque) un luogo cruciale della storia terrena della nostra specie.
È già capitato di parlarne anche su questo giornale. Ovviamente il maggioritario bacino acquifero, le minoritarie terre emerse e l’intera atmosfera terrestre hanno inscindibili nessi e fenomeni in comune.
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Un oceanografo o un oceanologo analizza le proprietà delle acque oceaniche e marine, geologiche biologiche fisiche chimiche, il più possibile insieme, e le interazioni con l'atmosfera o altre componenti del globo, avvalendosi di osservazioni tramite satelliti e strumenti avanzati, oltre alla modellizzazione numerica, in modo di comprendere e monitorare i processi, da decenni considerati cruciali anche per la valutazione storicamente determinata del clima. Potrebbe essere interessante fare qualche giro con lui o con lei, un libro recente ce lo consente, ovvero il recente volume di Sandro Carniel, Rotte mediterranee. Viaggio sull’onda del cambiamento climatico, Ediciclo Portogruaro 2025. Sfogliamo un percorso esperienziale e narrativo, quasi un diario cartaceo di viaggio scientifico.
Ci limitiamo ad alcune coste del Mediterraneo durante un recente autunno. Il nostro mare, da sempre crocevia di culture, commerci, migrazioni, non appare in gran forma. È un piccolo oceano aggredito da una serie di grandi problemi “figli” del riscaldamento globale del Pianeta Terra: aumento della temperatura delle acque, crescita generalizzata del livello del mare, lenta inesorabile erosione costiera, alterazione del regime di formazione delle acque dense, pesanti modifiche del ciclo idrologico e delle dinamiche atmosferiche, cambiamenti nel numero e nel tipo di specie animali e vegetali. Al contesto di cambiamenti climatici antropici globali che agiscono come un potente moltiplicatore dei rischi (qui, in sintesi, una rapida tropicalizzazione) si accompagnano altre minacce da fronteggiare: la pesca eccessiva ai danni di alcune specie, il multiforme traffico marittimo che mette a rischio la vita dei grandi cetacei, l’irrefrenabile invasione della plastica, fra le altre.
Lo scienziato oceanologo e divulgatore Sandro Carniel (Vittorio Veneto, 1970), direttore di ricerca CNR sul rapporto tra oceani e clima, ha pubblicato vari saggi e volumi scientifici. Questa volta racconta un ciclo di rotte percorse circa un anno fa nel Mediterraneo (da cui il titolo), toccando in sette capitoli sei emblematiche realtà costiere ventose e sensibili (da cui la copertina, che aggiunge Bonassola, nelle Cinque Terre liguri): l’Istria nella Croazia occidentale, isole greche fra lo Ionio e l’Egeo, l’italiana sarda Costa Smeralda (due capitoli), il nord della Catalogna spagnola, la spiaggia e il Bagno di Cleopatra in Egitto, la “sua” costa romagnola di foci e delta dei fiumi (diretti verso l’orientale Alto Adriatico) del nord Italia. Si tratta di istantanee avventure di mare, compiute staccando dal lavoro “vero” per rivedere e ritrovare persone e luoghi del nostro bacino, finito e stremato; in libera uscita, pochi giorni ogni volta; partecipando a escursioni o ricerche; prendendo appunti personali, geografici e “turistici”, oltre che scientifici.
Come noto, il mar Mediterraneo copre meno dell’1% (circa lo 0,7%) della superficie globale di oceani e mari, ma ospita il 10% delle tipologie di specie marine esistenti e costituisce un bacino unico dal punto di vista storico e archeologico. Nell’ultimo secolo risulta un’area di pesca fra le più intensamente sfruttate, quasi impossibile da gestire in modo condiviso ed efficace (considerato il gran numero di continenti e Stati che vi si affacciano). I rifiuti e la plastica vi si accumulano: l’acqua superficiale viene ricevuta solo in entrata, in particolare lo scarico delle plastiche in vario modo fa raggiungere livelli di concentrazione fra i più alti al mondo, con una contaminazione molto estesa. Ed è enormemente trafficato, porti e isole, merci e commerci, trasferimenti e migrazioni: pescherecci, navi mercantili, traghetti, navi militari, mezzi privati da diporto, navi da crociera; ogni anno sono più di 220.000 le imbarcazioni oltre le cento tonnellate che lo attraversano con grandi rischi di incidenti e di conflitti fra umani e di collisioni con specie animali. Il turismo è via via divenuto, inoltre, eccessivo in molte località, più o meno densamente abitate in modo stabile.
Il cambiamento causato dagli effetti dei cambiamenti climatici antropici globali sta avvenendo a una velocità impressionante e interferisce pure con ognuno degli aspetti sopra richiamati: meno acqua densa, meno flussi di nutrienti da costa, meno ossigeno in profondità, perdita (o modifica squilibrante) di biodiversità, diversità di rotta o percorso delle correnti marine profonde, inquinamenti e acidificazione, vale per ogni bacino ma nel Mediterraneo tutto risulta più rapido e intenso. Il riscaldamento è globale, quello del suolo e quello del mare non sono proprio identici, né nella quantità né nella qualità; entrambi hanno effetti sulla vita delle specie vegetali e animali, compresa la nostra. Negli ultimi trent’anni la temperatura delle acque superficiali del Mediterraneo è aumentata di oltre un grado, spiega Carniel che è un valore triplo rispetto alla media di tutti gli oceani. L’aumento delle temperature altera la stratificazione delle acque, le acque più calde rimangono a galla, si riduce il mescolamento tra strati superficiali e profondi. E inducono innumerevoli migrazioni di individui e specie (di pesci prima che di animali terrestri), che l’autore correttamente chiama “climatiche”.
Grazie al resoconto affettuoso e scientifico dello scienziato veneto, conosciamo vari vecchi e nuovi amici, colleghi e ricercatori, che lo accompagnano e gli fanno da guida: Maurizio, Gianluca, Paolo, Luca, Manel, Karim e Nour, Davide e Diana. In tutte le occasioni e le conversazioni emerge il dato strutturale incontrovertibile del riscaldamento globale e del cambiamento climatico (da cui il sottotitolo), connesso in modo articolato alla perdita o trasformazione di biodiversità, alle amplificate ingiustizia e diseguaglianza sociali, al turismo inconsapevole (forma di colonialismo moderno), alle incalzanti migrazioni delle specie e degli umani (cui spesso correttamente ci si riferisce). Emerge un quadro preciso e lucido dello stato di quella che si potrebbe definire oceanografia mediterranea, con molti dati e proiezioni, all’interno di una narrazione colloquiale, fra bicchieri di vino bianco (pure grappetta o mirto) e pesci succulenti (sostenibili), senza note o bibliografia. Un libro delicato per naturalisti e viaggiatori selettivi, da gustare con acqua intorno e spirito critico, indignati e militanti il giusto (accantonando per un attimo almeno un poco geopolitica istituzionale e regole giuridiche).
Il settimo e ultimo capitolo riguarda il tratto di costa romagnola dove l’autore da piccolo costruiva “castelli di sabbia” con l’amico Davide, divenuto geologo esperto di sedimenti e litorali, che crescono o vengono erosi, oltre che surfista, intorno alle famiglie e alle amiche, in particolare alla biondissima Diana, ora titolare della concessione demaniale proprio di quella stessa spiaggia, che ospitava gli ombrelloni e il chiosco. Per lunghi millenni e secoli quel tratto di costa bassa (a inclinazione lieve) del Nord Adriatico ha visto il mare avanzare e ritirarsi, le dune di sabbia formarsi e dissolversi, i fiumi portare vita dalle montagne fino al mare, l’evoluzione nel delta padano di spiagge sabbiose, pinete, lagune e zone umide; un continuo equilibrato scambio tra terra e acqua che ha modellato il paesaggio del litorale, attirando residenze resilienti, attività manifatturiere, cultura e turismo. Ormai almeno già settanta metri sono stati mangiati dalle onde, le dune non ci sono più, il delicato equilibrio tra apporto e distribuzione di sedimenti si è rotto. Il racconto avviene tramite la conversazione fra antichi affetti che si ritrovano e pensano a strategie strutturali visto che i palliativi temporanei non hanno funzionato, come (a valle) i ripascimenti artificiali d’emergenza o le barriere frangiflutti.
Certo, l’intero Mediterraneo continua a essere affascinante e intrigante, pur risultando scosso da una evidente crisi globale che affonda le sue radici in problematiche ambientali, politiche e sociali, persistente teatro di conflitti, tensioni internazionali, instabilità e diseguaglianze economiche, flussi migratori drammatici. Acque che dovrebbero unire troppo spesso dividono, trasformandosi in barriere o, peggio, in cimiteri. Tocca soprattutto a noi, che ne abitiamo le sponde, scegliere da che parte stare, Carniel vi insiste molto e giustamente. Possiamo agire per fare la differenza, tracciare e percorrere una nuova rotta fatta di rinnovamento, innovazione e crescita, oppure scivolare verso una traiettoria dall’esito più cupo, che segna la fine di un certo mondo e l’inizio di un altro, con nuove regole e (probabilmente) nuovi giocatori.