SCIENZA E RICERCA

Gli incendi, emergenza socio-ecologica dell'Italia

Gli incendi sono una delle principali emergenze socio-ecologiche della nazione. Dal 1970 al 2020 si sono verificati circa 430.000 incendi su superfici boscate e non boscate, con una media di circa 8.500 eventi l’anno e una media di 12 ettari per evento.  Osservando le statistiche degli incendi sulle aree boscate, dal 1970 al 2020 mediamente sono stati percorsi dal fuoco circa 47 mila ettari l’anno, per un totale, nell’intero arco temporale, di circa di 2,7 milioni di ettari. Va detto che frequentemente gli incendi si ripresentano sulla stessa superficie bruciata in anni precedenti.  Negli ultimi 50 anni gli incendi, in aree boscate e non boscate, hanno avuto un andamento altalenante, con anni di picco alternati da anni di attenuazione.  Per i soli incendi forestali, gli anni peggiori sono stati il 1993, 2007 e 2017, avendo ciascuno di essi superato la soglia dei 100 mila ettari di bosco bruciati.

A questi, quando manca ancora almeno un mese alla fine della stagione degli incendi, si è aggiunto il 2021. Secondo l’European Forest Fire Information System (EFFIS), la piattaforma sviluppata dal Centro Europeo di Ricerca dell’UE, che elabora osservazioni raccolte da sensori montati sui satelliti, dal 1° gennaio al 19 agosto di quest’anno 631 incendi con estensione superiore a 30 ettari (1.520 in tutta l’UE) hanno colpito le aree rurali del Paese, per una estensione di 148.105 mila ettari (440.028 ettari in tutta l’UE). Il numero di eventi registrati in Italia nello stesso lasso di tempo è 4 volte maggiore rispetto alla media del numero di incendi (159) verificatisi nel periodo 2008-2020. Il dato delle aree rurali percorse dal fuoco, sempre per lo stesso intervallo di tempo, è stato 4,7 volte maggiore della media delle aree rurali bruciate nel periodo 2008-2020 (31.502 ettari).

Il dato sulle estensioni degli incendi fornito da EFFIS, che non registra gli incendi di dimensioni inferiori a 30 ettari, è ritenuto dallo stesso EFFIS sottostimato del 20%. Ciò significa che la stima degli incendi in Italia in aree agricole, forestali e naturali, dal 1° gennaio al 19 agosto, potrebbe aver superato 180 mila ettari. Questi incendi hanno causato morti, distrutto proprietà e devastato imprese agricole, zootecniche, commerciali. In più, hanno causato impatti rovinosi sull’ambiente, sulle specie animali e vegetali e sugli habitat. E sul clima. Le foreste attraversate dal fuoco nel corso dell’anno, stimate in circa 120 mila ettari, hanno causato l’emissione in atmosfera di una quantità di gas-serra equivalenti a quasi 5 milioni di tonnellate di CO2, pari all’1,4% delle emissioni nazionali dell’intero anno 2020.

L’entità del numero e dell’estensione degli incendi forestali registrati quest’anno deve far riflettere i decisori politici sulla necessità di affrontare in maniera unitaria e coordinata il problema, non separando la prevenzione dagli interventi di monitoraggio, pronto spegnimento e repressione. 

La prima sfida sarà quella di intensificare gli sforzi verso le misure preventive, dall’educazione al rispetto dei beni comuni alle politiche di rivitalizzazione dell’economia delle aree rurali e del bosco che produce valori tangibili (legname, funghi, tartufi, castagne) e servizi turistici, ricreativi, culturali, di regimazione delle acque e di regolazione del clima locale e globale. Quest’ultimo servizio rimanda alla seconda sfida emersa in tutta la sua urgenza dopo la pubblicazione del primo volume, dal titolo The Physical Science Basis of Climate Changedel sesto rapporto di valutazione, dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC): inserire la lotta agli incendi forestali nelle politiche di tutela ambientale e di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici ed evitare che le foreste diventino, con il rischio crescente di incendi, esse stesse parte del problema invece che parte della soluzione al global warming.

Secondo l’IPCC le attività umane stanno alterando il clima della Terra “a un ritmo che non ha precedenti” negli ultimi 125 mila anni. A causa della combustione di fonti fossili di energia, della produzione di cemento e acciaio e della distruzione di ecosistemi ricchi di sostanza organica come foreste e torbiere, la concentrazione di anidride carbonica (CO2) è aumentata quasi del 50% rispetto all’inizio dell’era preindustriale. Anche la concentrazione di altri gas-serra, come il metano, il protossido di azoto e altri inquinanti di origine industriale sono cresciuti in maniera significativa. Gli scienziati dell’IPCC sostengono che sia questo, “inequivocabilmente”, il motivo per cui il pianeta si è riscaldato di circa 1,1 °C e che questo global warming sia stato sufficiente per produrre effetti percepiti in tutto il mondo: scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari, riduzione della produzione agricola e maggiore frequenza, intensità ed estensione dei cosiddetti eventi meteo-climatici estremi, come ondate di caldo, siccità prolungate, piogge torrenziali, uragani, alluvioni e mareggiate. Nel gergo dell’IPCC, gli eventi meteo-climatici estremi (o estremi climatici) sono quegli eventi che si presentano col valore di una variabile (per esempio: millimetri di pioggia, temperatura, giorni senza pioggia, intensità di una mareggiata) al di sopra o al di sotto di un valore di soglia, prossimo alle estremità superiori (o inferiori) dell'intervallo di valori osservati per quella variabile.

Nelle cinque edizioni precedenti dello stesso rapporto, gli scienziati dell’IPCC erano stati molto prudenti nell'associare i cambiamenti climatici agli estremi climatici. Ma non in questa ultima. Gli scienziati, grazie a nuovi materiali e metodi di indagine, hanno potuto perfezionare le stime basate su dati glaciologici, geologici, biologici provenienti dagli archivi paleoclimatici e di avere una visione completa di molte variabili del sistema climatico e dei loro cambiamenti nel corso del tempo. Secondo il rapporto dell’IPCC alcuni recenti estremi climatici, come le ondate di caldo in nord America e nord Europa, con temperature superiori a 45 °C, o le inondazioni devastanti in India, Cina, Nebraska, Turchia, Germania e Belgio, sarebbero stati estremamente improbabili senza l'influenza umana sul sistema climatico globale.

Tra gli impatti degli estremi climatici o meglio dei compound climate extremes (ossia gli estremi climatici che dipendono da una serie multipla di variabili o eventi statisticamente interdipendenti) rientrano gli incendi forestali e in genere in ambiti naturali e semi-naturali. Secondo l’IPCC a causa dei cambiamenti climatici antropogenici il rischio di incendi forestali è diventato e diventerà sempre più probabile nel nord dell’Eurasia, negli USA, in Australia e nel Sud dell’Europa, inclusa l’Italia.  Come hanno osservato Pettenella e Corradini (https://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/52/il-bosco-brucia-unoccasione-riflettere-sulla-politica-forestale-italia), gli incendi forestali sono per in larga misura (oltre il 60% secondo le statistiche nazionali) volontari, commessi da una varietà di soggetti con interessi diversi e favoriti dallo spopolamento e non-gestione delle aree rurali. Tuttavia, di fronte ai novi scenari presentati dall’IPCC, è molto probabile che gli incendi saranno sempre più rinforzati dalle condizioni favorevoli generate dall’aumento medio della temperatura e il concomitante aumento di eventi meteo-climatici estremi caldi, secchi e ventosi. In più, le mutate condizioni meteo-climatiche potranno acuire il rischio di incendi, specialmente nel centro, nel sud e nelle isole, attraverso due fattori:  l’allungamento della stagione degli incendi n quanto la stagione dei roghi, fino a 35-40 giorni, e la maggiore intensità degli attacchi di insetti e patogeni, che renderanno le piante più vulnerabili: i rami secchi, le piante morte e il terreno arido fanno aumentare il materiale comburente e dunque il rischio degli incendi.

Di fronte a questo scenario, il nostro Paese è chiamato a una doppia sfida agli incendi forestali. La prima sfida sarà quella di intensificare gli sforzi verso le misure preventive, dall’educazione al rispetto dei beni comuni alle politiche di rivitalizzazione dell’economia delle aree rurali e del bosco che produce valori tangibili (legname, funghi, tartufi, castagne) e servizi turistici, ricreativi, culturali e di regolazione del clima locale e globale. Quest’ultimo servizio rimanda alla seconda sfida, divenuta urgente dopo il rapporto dell’IPCC: inserire la lotta agli incendi forestali nelle politiche di tutela ambientale e di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici ed evitare che le foreste diventino, con il rischio crescente di incendi, esse stesse parte del problema (liberando in atmosfera anidride carbonica e altri gas-serra) invece che parte della soluzione (cessando di assorbire anidride carbonica e immagazzinare carbonio).

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012