CULTURA

L'Inghilterra e il suo burrascoso rapporto con l'Europa

L'indipendenza e il forte attaccamento alla sovranità nazionale sembrano essere i caratteri dominanti dell'Inghilterra sin dalla storia moderna.
Con l'aiuto della professoressa Vittoria Feola, docente di storia moderna all'università di Padova, ripercorriamo alcune tappe significative della storia dei rapporti tra l'Inghilterra e l'Europa continentale a partire dall'età moderna, cercando di sottolineare come la volontà tipicamente inglese di mantenere la sovranità nazionale attraverso il perseguimento di politiche economiche di ampio respiro abbia profonde radici storiche.

“Il processo di formazione dello stato moderno in Inghilterra, poi diventato Regno Unito nel 1707, è stato caratterizzato da un necessario spirito di sopravvivenza e quindi di combattimento anche armato contro quelle forze straniere che, a partire dal 1570, avrebbero voluto il cambiamento di dinastia e il ripristino della fede cattolica, quando il papa Pio V scomunicò Elisabetta I. Cominciarono allora una serie di attentati, perché lo Stato pontificio armava degli ecclesiastici o dei sicari laici che avrebbero dovuto uccidere Elisabetta e rimettere sul trono un cattolico.
La fazione spagnola, allora, era il braccio armato della controriforma in Europa; tuttavia, la sconfitta dell'Invincibile Armata segnò una svolta nei rapporti tra l'Inghilterra e il continente, nel senso che la sovranità era stata preservata, insieme alla fede protestante. L'Inghilterra diventò così un coacervo di interpretazioni dell'ideologia protestante e anche un luogo di rifugio per coloro che venivano da ogni parte di Europa e pensavano di poter interpretare Dio a modo proprio”, racconta la professoressa.

“Una volta risolta la questione contro la Spagna, nel corso del Seicento l'Inghilterra piombò in una serie di guerre civili, durante le quali la questione confessionale si legò nuovamente alle vicende di politica estera. Dopo il declino della Spagna, fu la Francia ad emergere come grande potenza, quindi fu contro le sue ingerenze cattoliche che l'Inghilterra si dotò di un apparato critico, ovvero di una coscienza in cui la sovranità nazionale era legata a una sua identità confessionale plurima, ma comunque inglese, cioè delle genti delle isole britanniche”.

Questo senso di indipendenza è tanto legato, quindi, all'indipendenza da ingerenze straniere. Con il tempo, la questione confessionale perse di importanza, e a metà Settecento, dopo la cacciata degli Stuart e la fondazione della monarchia costituzionale sotto gli Hannover, il sentimento di vittoria delle sovranità nazionali protestanti si liberò dalla componente confessionale, perciò rimase solo l'identità in quanto britannico e indipendente.
Come ci ricorda la professoressa Feola, infatti, “nel Settecento, l'ormai Regno Unito è nella fase di espansione dell'impero, e partecipa a una serie di guerre globali. Il sentimento di indipendenza e di attaccamento alla sovranità viene rafforzato dalla consapevolezza della propria forza militare. L'occidente e il mondo non hanno mai visto niente di l'equivalente all'impero britannico in termini di espansione e di irraggiamento culturale”.

Dopo la seconda guerra mondiale, però, l'Inghilterra perse l'impero durante la fase della decolonizzazione, processo alla fine del quale piombò in una grave crisi economica.
“Si tornò a vedere delle scene di povertà che erano note durante il periodo di urbanizzazione in età vittoriana, ma che poi erano state tutto sommato ridimensionate grazie alla prospettiva dell'impero, la perdita del quale segna quindi un periodo di grande difficoltà”, spiega la professoressa Feola. “Nel momento in cui la crisi economica cominciava a toccare il fondo, la Gran Bretagna chiese di aderire alla Comunità europea, ma il veto di de Gaulle glielo impedì. Questo venne vissuto come un tradimento, perché quanti britannici erano morti per salvare la Francia durante lo sbarco in Normandia? L'Inghilterra si ricordava molto bene di tutto ciò che ha fatto per lo stato francese durante la guerra, perciò quel “no” di de Gaulle venne vissuto molto male”.

In un secondo tentativo, nel 1967, la Gran Bretagna riuscì a entrare nella Comunità europea. “L'adesione, fin dal suo concepimento, era stata voluta per motivi economici, per uscire da quel tunnel di crisi generato dalla perdita dell'impero. La Gran Bretagna aveva perso i suoi mercati, quindi entrare nell'UE significava rimediare a questo problema, perché è attraverso il commercio che una nazione si mantiene prospera e indipendente. La volontà alla base non era quella di diluire la propria sovranità nazionale, bensì usare un grande mercato per rinforzare le strutture economiche e sociali. C'è una connessione stretta tra la potenza economica, l'indipendenza e la sovranità nazionale, e questo è concetto ben chiaro alle élite britanniche.
Il Regno Unito ha tratto molti benefici dall'adesione all'Unione europea, ma poi la sua struttura sociale, come in ogni paese, è cambiata con il tempo. Alcune delle innovazioni istituzionali volute dalle élite europee non hanno trovato favore presso i loro omologhi britannici. Si tratta di quelle innovazioni che vanno nel senso di una più stretta integrazione politica degli stati europei. È chiaro che il crollo dei salari e l'arrivo di tanti immigrati dall'Unione europea hanno fatto comodo a quelle famiglie di ceto medio-alto che ne hanno beneficiato, però questo flusso di immigrazione tanto elevato è andato a fare concorrenza a un mercato locale già parecchio toccato dalla crisi che era stata generata negli anni Settanta.

Questa è la situazione della brexit. Il primo ministro Boris Johnson ha un altissimo livello di cultura ed è perfettamente in grado di navigare il suo paese al di fuori dell'Unione europea. La questione può essere inquadrata come la volontà di abbandonare un mercato che tutto sommato stagna per l'apertura verso i mercati globali. La Gran Bretagna si è ripresa grazie all'Unione europea, ma adesso riscopre la sua vocazione imperiale, in un contesto di economia globalizzata. Con il Commonwealth, che esiste ed è vivo, la Gran Bretagna ha una porta in Asia con la nuova Zelanda e con l'Australia, che è il primo paese di investimento cinese. Poi si aprono davanti a lei il Canada e il nord America. Nel Commonwealth, inoltre, c'è anche il Sudafrica, che è la prima economia dell'Africa e che nei prossimi 30 anni avrà una grande crescita economica”.

L'uscita del Regno Unito dall'Unione europea, insomma, è in linea con le sue politiche economiche di ampio respiro e di ricerca di mercati con il fine di mantenere l'indipendenza. I tentativi di integrazione politica cozzano contro uno spirito di compiuta sovranità nazionale e l'andamento dell'economia europea non sembra tanto attraente com'era durante la crisi economica. Come ci ricorda la professoressa, infine, “dire che si comprende non significa dire che si è d'accordo o meno, anche perché questa è una questione che riguarda chi è chiamato al voto”.

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