SCIENZA E RICERCA

Laguna di Venezia: la difesa dalle acque alte e il fragile equilibrio delle barene

L'entrata in funzione del Mose, con il primo sollevamento delle paratoie che è avvenuta il 3 ottobre del 2020, sta permettendo a Venezia di restare all'asciutto durante gli eventi di alta marea, ma la probabilità che nell'immediato futuro l'opera debba essere azionata sempre più spesso rischia di avere un impatto negativo sull'ecosistema lagunare e in particolare sulle barene, le strutture morfologiche più caratteristiche dell'area e dotate di un'importante valenza ambientale.

Queste suggestive formazioni pianeggianti, periodicamente ricoperte dalle maree e percorse da una rete di piccoli canali circondati da acque salmastre, sembrano isolette basse ricoperte dall'erba ma se ci si sofferma ad osservarle meglio rappresentano un contesto difficile e al tempo stesso unico per le piante alofile che vi si sono adattate e per tutte quelle specie di insetti, uccelli, pesci e molluschi che popolano questi piatti lembi di terra. Le barene offrono anche altri importanti servizi ecosistemici che comprendono il miglioramento della qualità delle acque, lo stoccaggio di carbonio e la protezione delle coste dalla mareggiate ma su di esse, nel corso del tempo, si sono riversati gli effetti del cambiamento climatico e dell'impatto antropico con il risultato che la loro presenza si è progressivamente ridotta, passando dai 270 chilometri quadrati nel 1600 ai circa 40 chilometri quadrati di oggi. 

L'evoluzione morfologica della laguna e delle sue barene, un ambiente dinamico e in cerca di un suo equilibrio, è strettamente legata ai processi di sedimentazione che consentono di non soccombere all'innalzamento del livello medio del mare. Circa il 70% dell'apporto di sedimenti avviene durante gli eventi di acqua alta ed è per questo motivo che la chiusura delle barriere del Mose alle attuali soglie di sicurezza (l'opera viene azionata quando la marea supera i 110 cm sul riferimento di punta della Salute), potrebbe mettere in discussione la sopravvivenza delle barene già nel breve-medio termine.

Ad aver indagato il rapporto tra la difesa di Venezia dalle acque alte e il futuro delle barene è lo studio condotto da un team di ricercatori dell'università di Padova, in particolare del dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale, del dipartimento di Geoscienze e del centro interdipartimentale di Idrodinamica e morfodinamica lagunare, che ha monitorato diverse barene della laguna tra il 2018 e il 2021, integrando misure di campo e strumenti modellistici. La ricerca, pubblicata nei giorni scorsi su Nature Geoscience, è stata realizzata nell’ambito del Progetto Venezia 2021, finanziato dal Provveditorato alle Acque di Venezia attraverso il Consorzio per il coordinamento delle ricerche inerenti al sistema lagunare di Venezia e offre una prospettiva di studio che può applicata anche ad altre città costiere che sorgono nei pressi di aree umide e per le quali si è intervenuto, o si sta progettando di farlo, con sistemi di protezione dagli allagamenti.

La durata dello studio, cominciato prima dell'inaugurazione del Mose e proseguito dopo la sua attivazione, ha consentito di analizzare i tassi di sedimentazione con campionamenti periodici. Queste misure, unite agli strumenti modellistici che hanno "anticipato" l'entrata in funzione delle barriere simulandone l'attività in tutti gli eventi di acqua alta avvenuti durante l'intero triennio coperto della ricerca, hanno permesso di comprendere che il sollevamento delle paratoie comporterà una riduzione di circa il 25% dell'apporto annuale di sedimenti sulle barene.

Insieme ad Andrea D'Alpaos, professore del dipartimento di Geoscienze, Luca Carniello, professore del dipartimento Icea e Davide Tognin, che ha condotto la ricerca durante il suo dottorato all’università di Padova abbiamo approfondito i risultati dello studio e le prospettive che apre. Il lavoro, intitolato Marsh resilience to sea-level rise reduced by storm-surge barriers in the Venice Lagoon firmato anche da Marco Marani, direttore del CIMoLa, implica infatti anche la necessità di una riflessione sugli scenari di innalzamento del livello medio del mare forniti dall'IPCC che, come D'Alpaos ha sottolineato già in passato al nostro giornale, si traducono nella concreta possibilità che il numero delle chiusure e i tempi di chiusura delle barriere del Mose aumentino in modo drammatico. 

Andrea D'Alpaos, Luca Carniello e Davide Tognin illustrano lo studio che ha indagato il rapporto tra il Mose e il futuro delle barene nella Laguna di Venezia. Servizio, riprese e montaggio di Barbara Paknazar

Il ruolo ecosistemico delle barene e la fragilità di queste formazioni caratteristiche della Laguna

"Gli ecosistemi di barena - introduce Andrea D'Alpaos, docente del dipartimento di Geoscienze dell'università di Padova - stanno scomparendo con tassi allarmanti in tutto il mondo. Preservarne la struttura e le caratteristiche è particolarmente importante perché essi forniscono vari servizi ecosistemici di elevato rilievo: filtrano nutrienti e inquinanti, attenuano i livelli di marea e gli effetti delle onde da vento, forniscono habitat fondamentali per diverse specie animali e vegetali e sono in grado di sottrarre anidride carbonica dall’atmosfera immagazzinando carbonio organico nei loro suoli con una scala temporale che va da centinaia a migliaia di anni. Ecco perché questi sistemi sono studiati in tutto il mondo e si sta cercando di preservarne caratteristiche e funzionalità".

Se si considera anche l'impatto della subsidenza il livello medio del mare a Venezia è circa 30 centimetri più alto di quello che si registrava all'inizio del secolo scorso e a partire dagli anni '60 la frequenza degli eventi di alta marea superiori a 110 centimetri si è innalzata da uno a 5-6 all'anno. 

"Per poter sopravvivere le barene devono crescere verticalmente con un tasso che sia almeno equivalente a quello del livello medio del mare: per questo motivo l’aumento del livello medio del mare mette in pericolo il futuro di questi sistemi. Il contributo degli eventi di acqua alta e delle condizioni di marea ordinarie all’apporto di sedimenti alle barene è tuttora oggetto di dibattito scientifico e l’intera ricerca si è sviluppata con l’obiettivo di dare una risposta a questa domanda", spiega D'Alpaos.

Tre anni di misure e 2500 campioni raccolti

"Per poter comprendere qual è l’importanza relativa degli eventi di acqua alta e della marea di tutti i giorni sul tasso di sedimentazione sulle barene abbiamo iniziato una campagna di misura nella Laguna di Venezia", continua Davide Tognin, che ha condotto la ricerca durante il suo dottorato in Scienze dell'Ingegneria civile, ambientale e dell'architettura all’università di Padova. "Abbiamo installato delle trappole per sedimenti in 27 punti distribuiti in tutta la Laguna e nel corso degli ultimi tre anni abbiamo condotto misurazioni, con frequenza mensile o a seguito di ogni evento di acqua alta molto importante, della sedimentazione sulle barene".

In questo modo sono stati raccolti oltre 2500 campioni che sono poi stati analizzati in laboratorio per determinare l’accumulo di sedimenti e il contenuto di sostanza organica. "Durante questi tre anni abbiamo osservato che in corrispondenza degli eventi di acqua alta particolarmente intensi la sedimentazione aumenta in modo molto rilevante. Le analisi realizzate in questo periodo ci hanno permesso di comprendere come il 70% della sedimentazione si concentri durante gli eventi di acqua alta che però rappresentano meno del 30% dell’intero periodo di osservazione", approfondisce Tognin.

Il ruolo del Mose nella diminuzione del tasso di sedimentazione delle barene

"Dopo aver risposto alla prima domanda sull’importanza relativa delle maree ordinarie e degli eventi meteo più intensi sull’accrescimento delle barene e aver dimostrato che sono questi ultimi a ricoprire il ruolo principale nella capacità delle barene stesse di tenere il passo con l’innalzamento del medio mare, ci è sorta automaticamente un’altra domanda collegata al fatto che in questi anni è entrato finalmente in funzione il Mose", aggiunge il professor Luca Carniello del dipartimento di Ingegneria civile, edile e ambientale.

"Questo sistema di barriere mobili, costruito per proteggere la città di Venezia e gli altri centri abitati della Laguna proprio dalle acque alte, è attivo dall’ottobre del 2020 e da quel momento in poi continua a svolgere il suo compito che è quello di decapitare le maree molto sostenute inibendone le conseguenze all’interno della Laguna. Ci siamo chiesti quale fosse l’effetto di questa regolazione sulla capacità di accrescimento delle barene e abbiamo immaginato di ripercorrere l’intero periodo da noi misurato andando a correggere i tassi di accrescimento sulla base della relazione che abbiamo trovato tra il tasso di deposizione dei sedimenti sulle barene e il livello di marea sulle stesse. In questo modo abbiamo simulato un’ipotetica entrata in funzione del Mose estendendola all’intero periodo di tempo considerato dallo studio e abbiamo stimato che il tasso di sedimentazione sulle barene stesse sarebbe diminuito del 25%", spiega Carniello illustrando il principale risultato della ricerca.

"La fortuna è stata anche che siamo riusciti a fare le misure durante l’effettiva entrata in funzione del Mose e questo ci ha consentito di confermare il nostro risultato. Purtroppo questo effetto di regolazione, indispensabile per la protezione della città dalle acque alte, ha delle conseguenze collaterali sulla capacità dell’ecosistema lagunare di preservarsi e continuare a sopravvivere, soprattutto ai tassi attuali e previsti di incremento del medio mare".

Alla ricerca di un equilibrio tra i pilastri di uno sviluppo sostenibile

"Il Mose - precisa il professor Carniello - è l’unico sistema che abbiamo per salvaguardare Venezia e la conclusione del nostro studio non è che sia preferibile evitare di usarlo. Il messaggio che si può trarre dalla ricerca è che è fondamentale aver compreso un processo e sulla base di questo sarà importante guidare le decisioni future anche per quanto riguarda la gestione del Mose stesso. In particolare abbiamo provato a immaginare cosa succederebbe se al posto dell’attuale standard, che prevede l’entrata in funzione del Mose nel caso di maree che superano il livello di 110 cm a Punta della Salute, si potesse innalzare la soglia a 120 o 130 cm. Abbiamo così dimostrato che un semplice aumento della soglia di allerta di una decina di centimetri permetterebbe di contenere la riduzione della sedimentazione intorno al 10%".

"Venezia e la sua Laguna - conclude il professor D'Alpaos - possono rappresentare un paradigma dei conflitti tra i tre pilastri fondamentali di uno sviluppo sostenibile: l’economia, la società e l’ambiente. Rappresentano anche un’indicazione di che cosa il clima avrà in serbo in futuro per le città e gli ecosistemi che le circondano".

La sfida per Venezia, come per molti altri centri urbani che rischiano frequenti inondazioni, è dunque quella di coniugare un'imprescindibile esigenza di sicurezza alla necessità di non mettere a repentaglio delicati equilibri ambientali ed ecosistemici. E per una realtà come quella della Laguna, già provata dallo sviluppo industriale di Porto Marghera, dall'impatto della circolazione delle grandi navi e da un turismo in continua crescita, è auspicabile che si riesca a trovare un bilanciamento. 

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