CULTURA

L'America degli estremi. L'esperienza di Moravia negli Stati Uniti ci parla anche dell'oggi

Torniamo a parlare di Alberto Moravia, di cui quest'anno ricorrono i trent'anni dalla scomparsa. Lo facciamo stavolta a partire dalla raccolta di saggi, appena pubblicata da Bompiani, dal titolo L'America degli estremi. Ne abbiamo parlato con la curatrice Alessandra Grandelis, del dipartimento di studi linguistici e letterari all'università di Padova.

L'intervista ad Alessandra Grandelis, curatrice de "L'America degli estremi" (Bompiani 2020). Servizio di Federica D'Auria, montaggio di Elisa Speronello

“Questo libro nasce dalla volontà di riunire in un volume unico e autonomo gli scritti di Moravia sugli Stati Uniti, ricostruendo un reportage postumo di grande valore letterario che ci offre uno spaccato di trent'anni della storia americana ma non solo, soprattutto se pensiamo alle esportazioni su larga scala del modello economico e culturale statunitense”, spiega Alessandra Grandelis. “Il volume raccoglie trenta articoli, tra i quali un articolo disperso e un inedito ritrovato tra le carte dell'autore.
Sono scritti nati da quattro viaggi: il primo del 1935-36, il secondo del 1955 e poi quelli compiuti nel 1968 e nel 1969. Moravia ci accompagna quindi attraverso momenti molto importanti del Novecento: ci porta infatti dentro l'America rooseveltiana, quella post-maccartista, e poi dentro l'America del trionfo dell'industria ma anche dell'informatica e della tecnologia.

In una piccola sezione epistolare inserita in questo libro si fa luce per la prima volta anche sul visto che gli venne negato nel 1951. Moravia era stato bollato come intellettuale di sinistra e aveva subito di fatto il maccartismo. Il volume contiene anche al suo interno alcuni diari, passaporti di viaggio e mappe , permettendoci così di seguire i trasferimenti di Moravia e viaggiare con lui.

Non dobbiamo dimenticare che Moravia viaggia da europeo, ma anche come scrittore libero da pregiudizi. Si muove così nello spazio e nel tempo andando a scavare nella storia e nella memoria collettiva di questo paese, scontrandosi poi con gli estremi che lo caratterizzano. Sente infatti l'America come qualcosa che lo attrae, ma allo stesso tempo lo respinge”.

Si tratta di un sentimento che ritroviamo sin dal titolo di quest'opera: “L'America degli estremi”. Come si legge nell'introduzione, infatti, “in ogni momento gli Stati Uniti gli si sono presentati come il paese del futuro e delle insanabili contraddizioni: è l'America degli estremi, tra la ricchezza e la miseria, la libertà e le sue distorsioni”.

“Sappiamo che Moravia è stato davvero un viaggiatore straordinario, era felicissimo quando doveva preparare la sua valigia”, racconta Alessandra Grandelis. “In uno degli articoli del 1955, dal titolo Perché gli Stati Uniti solo il paese del futuro, esordisce così: “Pochi Paesi al mondo destano nell'animo del viaggiatore che non sia disposto ad una paziente comprensione reazioni così vive e talvolta così ostili come gli Stati Uniti”. Per Moravia l'America è un luogo che permette di fare delle esperienze imprevedibili che però prevedono di scontrarsi con alcuni “estremi”.

Il titolo è estrapolato proprio dall'espressione “paese degli estremi” che Moravia usa spesso nella sua corrispondenza privata. I primi estremi con cui si confronta sono quelli della ricchezza e della povertà assoluta, che negli Stati Uniti sono molto più evidenti che in Europa. Questo, secondo l'autore, deriva dal fatto che quella americana è una società basata sul denaro, sulla capacità di acquisto, di produrre e di consumare.
Da qui deriva l'altra contraddizione dell'America: che nel paese più vitale del mondo ci si sente la morte addosso dalla mattina alla sera. Questo è dovuto al processo di massificazione a livello produttivo, ma anche individuale. Se infatti nella catena di montaggio fordista e taylorista si riduce l'uomo al singolo bullone di un intero processo, allora gli si nega il desiderio stesso di vivere”.

Nell'introduzione del libro leggiamo anche che “se si vuole capire l'America di Trump vicina all'elezione del prossimo presidente, il riaccendersi delle proteste razziali e l'era appena cominciata della nuova corsa allo spazio, le parole di Moravia sono un racconto al tempo presente e hanno tutta la potenza di una rivelazione letteraria sulla nostra epoca”
In che modo, allora, negli scritti di questo autore possiamo ritrovare delle chiavi di lettura per comprendere meglio l'America di oggi?

“I testi di Moravia vanno al cuore dell'America e della società americana”, commenta Alessandra Grandelis. “Ad esempio, ci spiega molto bene cosa vuole l'uomo medio americano dell'american way of life. Non a caso, proprio su questo è stato costruito lo slogan di Trump che gli ha permesso di vincere nel 2016.

Si può quindi comprendere, attraverso le sue parole, come Trump sia riuscito a far breccia nella società americana in un momento in cui il sogno americano non esiste più a causa della crisi economica e in cui la classe media si è sentita tradita e messa ai margini, usando il mezzo politico più efficace cioè quello della rabbia e della paura nei confronti dei più deboli, degli emarginati, e degli afroamericani.

Quando Moravia va in America nel 1968, osserva da vicino le proteste afroamericane e sviluppa le sue riflessioni partendo da un presupposto: che l'America è per antonomasia il paese della frontiera, nonostante cerchi sempre di costruire muri.
Ci parla anche del razzismo interiorizzato dalla classe media e che è sempre a rischio di essere istituzionalizzato: questo è proprio ciò che ha fatto Trump, continuando a difendere il suprematismo bianco. In questo senso, il soffocamento di George Floyd è anche simbolicamente il soffocamento mai interrotto dai tempi della schiavitù”.

Diciamo per caso: aggiungiamo che niente è casuale e che questa violenza apparentemente casuale costituisce la risposta a scoppio ritardato ai quattrocento anni di violenza razzista bianca Quando l'America uccide, Alberto Moravia, Giugno 1968

“Per quanto riguarda invece la corsa allo spazio, nel 1969 Moravia si reca in America per assistere in diretta alla partenza della missione Apollo 11 e all'allunaggio”, continua Alessandra Grandelis.“Questa diventa per lui anche un'occasione per riflettere sulla società tecnologica del futuro. Si chiede se un domani la società sarà formata da immense masse di persone ignare dominate da una ristretta élite di dirigenti tecnologici.
Inoltre, pur non giudicando il bisogno di conoscenza dell'uomo, essendo lui stesso estremamente curioso, si chiede perché l'uomo senta l'esigenza di abbandonare un pianeta senza pensare di curarlo. Si chiede poi se lo scopo di questi viaggi possa essere quello di esportare il capitalismo altrove e in un altra forma.
Se ci soffermiamo a osservare come è ripresa adesso la corsa allo spazio, troviamo queste riflessioni particolarmente interessanti e utili per capire anche perché i privati come Elon Musk decidano di investire enormi risorse per spingersi nel cosmo”, conclude Alessandra Grandelis.

Che la questione dello “scopo” sia importante, del resto lo dimostra il gran numero di critiche piovute sui programmi della NASA. Prima della Luna, la priorità non avrebbe dovuto essere accordata al risanamento della natura violentata e avvelenata? A chi serve la Luna, Alberto Moravia, Luglio 1969

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