CULTURA

Il lato oscuro di Internet

Ransomware, phishing, cryptojacking, darknet… parole che fino a pochi anni fa non esistevano e che ancora oggi disorientano: indicano però minacce sempre più insidiose, che corrono invisibili nei nostri cavi di collegamento e sono processate ogni frazione di secondo nei chip dei computer di tutto il mondo. Crimini che secondo l’Interpol “non conoscono confini, fisici o virtuali”, e che negli ultimi anni “stanno crescendo a un ritmo incredibilmente veloce”. È un mondo quasi sconosciuto ma per molti versi affascinante quello raccontato da Carola Frediani nel libro #CYBERCRIME. Attacchi globali, conseguenze locali (Ulrico Hoepli Editore 2019), nella cinquina dei finalisti al Premio Galileo 2020 per la divulgazione scientifica.

Un volume agile e avvincente in cui l’autrice, giornalista e social media editor, nonché cybersecurity awareness manager in un’azienda tech internazionale, piuttosto che affrontare in maniera astratta l’argomento preferisce soffermarsi su tre storie, ciascuna delle quali mette in evidenza un aspetto e una criticità della rete. La prima è quella di WannaCry, un virus che nel 2017 ha messo in ginocchio aziende e interi Paesi. Tecnicamente si trattava di un ransomware, letteralmente un “virus del riscatto”, di quelli che si insinuano nei computer e criptano i file rendendoli inaccessibili, per poi chiedere alla vittima di pagare una somma – in genere in bitcoin — per riaverli indietro. O meglio, per avere la chiave con cui decifrarli.

La vicenda di WannaCry è particolare perché nasconde una serie di retroscena inquietanti. Innanzitutto il nuovo virus utilizzava strumenti di pirateria informatica messi a punto segretamente dalla NSA, la potente National Security Agency americana, e questo lo rendeva estremamente pericoloso. Questi exploit, come vengono definiti nella terminologia informatica, erano stati creati dall’ente governativo statunitense per spiare aziende e governi stranieri, ma erano in qualche modo usciti dai suoi laboratori per essere messi sul mercato nero da un misterioso gruppo di hackers anonimi, gli Shadow Brokers. Il virus si manifesta il 12 luglio 2017 bloccando i computer del sistema sanitario britannico e di centinaia di aziende sparse in tutto il mondo come Renault, Telecom Portugal e Telefonica, FedEx, Hitachi, Bank of China e le ferrovie tedesche: centinaia di migliaia, forse milioni di ordini e biglietti cancellati, appuntamenti rinviati, file e mail sparite.

Le domande sollevate sono per certi versi analoghe a quelle di una pandemia vera e propria: chi e come ha creato il mostro, e perché lo avrebbe fatto fuggire? Si tratta di criminali che vogliono far soldi, rivoluzionari che mirano a sovvertire il sistema o servizi segreti di qualche governo? Intanto un giovane inglese di 22 anni, Marcus Hutchins, esaminando il codice riesce a trovare l’interruttore virtuale che disabilita l’infezione in tutto il mondo. Per questa volta insomma siamo salvi, non perderemo in un colpo i dati dell’anagrafe o dei conti in banca. Tutto bene allora? Non proprio, dato che l’anno successivo Marcus – nel frattempo diventato famoso in tutto il mondo come “l’eroe di WannaCry” – viene arrestato durante un giro di conferenze negli Stati Uniti. L’accusa? Avere in passato creato e venduto sul Dark Web un altro software malevolo chiamato Kronos, utilizzato per rubare password e credenziali.

Al di là di un immaginario diffuso a livello mediatico, che dipinge gli hacker come pirati e cavalieri romantici un po’ nerd, casi come questi sollevano una serie infinita di questioni sulla rete, sul suo presente e soprattutto sul suo futuro: da quella del controllo al confine tra tracciabilità e anonimato. Problemi che si ripropongono anche nell’altra storia raccontata da Frediani: quella dell’intrusione, molto probabilmente ad opera dei servizi russi, nei sistemi informatici del Partito Democratico americano durante la campagna per le elezioni presidenziali del 2016. Una vicenda che proprio in questi giorni torna di straordinaria attualità, e che una volta di più mette in evidenza come il dominio sulle informazioni possa influenzare pesantemente le società democratiche. L’ultimo capitolo riguarda infine il cosiddetto Dark Web, dove oggi è possibile svolgere in maniera quasi anonima ogni sorta di traffici, dalla droga ai software illegali, dalle armi alla pedopornografia.

Frediani struttura le vicende che sceglie di narrare come veri e propri gialli, in cui però alla fine non si sa mai con certezza il colpevole. Ci ricorda che in quanto comunicazione internet è comunità, ma anche potere. Un sistema nervoso che oggi collega l’umanità in un unico organismo, ma che proprio per questo senza le necessarie contromisure rischia anche di renderla ancora più fragile e manipolabile. Guai a scordarlo.

PREMIO GALILEO 2020

La cinquina finalista

A Giulio Cossu con “La trama della vita” il Premio Galileo 2020

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