SCIENZA E RICERCA

L'aumento di CO2 può favorire le foreste ma non è detto che riescano a rinfrescare il pianeta

Le foreste nel mondo viaggiano su binari decisamente diversi: da un lato quello, drammatico, della perdita di superfici che interessa la fascia tropicale ed equatoriale del sud del mondo, dall’altro lato quello, meno noto, dell’espansione che sta invece caratterizzando le foreste temperate e boreali.

I fattori che sono alla base di questi scenari così differenti sono numerosi. Alcuni sono direttamente collegati all’azione dell’uomo che disbosca per fare spazio a coltivazioni redditizie o, al contrario, abbandona (come accaduto in Europa) le aree rurali permettendo al bosco di tornare ad occupare il suo habitat originario. Altri meccanismi di perdita o di guadagno forestale sono invece legati al clima, un ambito comunque fortemente influenzato dalle attività antropiche come ricorda anche l’Ipcc parlando di correlazione quasi diretta tra emissioni di gas serra e riscaldamento globale.

Proprio le crescenti concentrazioni di anidride carbonica (CO2), il principale gas che riscalda il pianeta, stanno favorendo l’espansione delle foreste all’estremo nord del Terra, dove la tundra sta cedendo il passo a betulle ed abeti e gli abeti rossi prendono il posto di muschi e licheni. Lo stesso sta accadendo in alcune regioni aride alle basse latitudini dove le piante riescono a usare in modo più efficiente la poca acqua disponibile e le foreste già esistenti traggono beneficio dagli effetti fertilizzanti della CO2 che, spingendo la crescita fogliare e legnosa degli alberi, ne aumentano la biomassa.

L’espansione delle foreste in aree del mondo caratterizzate da condizioni difficili, per aridità dei terreni o per temperature che restano estremamente basse per lunghi periodi dell’anno, può sembrare una notizia sorprendente e, soprattutto, positiva.

La questione è però molto più complessa di quanto possa sembrare: ad analizzarla nel dettaglio è stato di recente anche un articolo pubblicato su Science che osserva come il calcolo degli effetti climatici delle foreste sia tutt'altro che semplice e come la ricerca emergente suggerisca che un mondo più boscoso non sarà necessariamente un mondo più fresco.

E' senz'altro vero che gli alberi a crescita rapida sono particolarmente efficienti nel catturare carbonio atmosferico e bloccarlo nel legno, così come i processi di evapotraspirazione delle foreste favoriscono la formazione di nuvole e hanno dunque un effetto rinfrescante. Tuttavia quando si ragiona su come le foreste influenzeranno il clima futuro occorre non solo tenere conto delle tendenze attuali, come il tasso di deforestazione, ma anche prevedere l'impatto di tutti quei fattori, come ondate di incendi e temperature più calde, che potrebbero influenzare le foreste, a volte aiutando e talvolta danneggiando la loro capacità di assorbire il carbonio atmosferico.

Il nodo centrale della questione è però che le foreste interagiscono con il clima attraverso diversi meccanismi, molti dei quali non ricevono sufficiente attenzione.

Il motivo, come ha spiegato a Il Bo Live, il professor Giorgio Vacchiano, docente di gestione e pianificazione forestale all’università Statale di Milano e divulgatore scientifico, è che noi siamo abituati a pensare al contributo climatico da parte delle foreste esclusivamente in termini di ciclo del carbonio, ma bisogna tener conto anche di tutti quegli effetti bio-fisici, dunque non chimici, che possono addirittura contrastare la capacità degli alberi di rinfrescare il clima. Una riflessione che ci mostra anche come spesso, forse troppo ingenuamente, deleghiamo agli alberi il compito di "proteggerci" da quelle stesse emissioni che facciamo fatica a ridurre. 

Il professor Giorgio Vacchiano spiega perché l'espansione delle foreste potrebbe non favorire la mitigazione del riscaldamento globale. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

Le foreste della Terra: dove sono in difficoltà e dove invece si espandono

Cominciamo analizzando come sta cambiando la distribuzione delle foreste a livello globale. Nonostante i dati dell'ultimo Global Forest Resources Assessment della Fao confermino che nel decennio 2010-2020 la deforestazione stia frenando, la situazione in Africa e in Sudamerica resta preoccupante. Le foreste tropicali sono, in particolare, uno dei più consistenti pozzi di carbonio del pianeta ma le perdite in corso (dovute non solo alle attività di disboscamento ma anche al degrado forestale che porta alla morte degli alberi più grandi) hanno già trasformato alcune parti dell'Amazzonia in fonti di anidride carbonica. In altre parole emettono più CO2 di quanta non riescano ad assorbire. Uno studio di recente pubblicato su Nature ha confermato la perdita di resilienza che sta minacciando la più grande foresta pluviale del mondo e il rischio a cui potrebbe andare incontro: trasformarsi in savana in un futuro neanche troppo lontano con conseguenze disastrose non solo per il Sudamerica. 

Anche nelle foreste tropicali dell'Africa centrale, le seconde più grandi del mondo dopo l'Amazzonia, lo scenario non è roseo. La loro capacità per ettaro di assorbire CO2 è maggiore rispetto a quella della foresta amazzonica ma sono anch'esse fortemente minacciate dall'azione combinata di stress climatici e impatto antropico.

Ma anche alcune foreste tropicali che godono di migliore salute sembrano aver rallentato la loro capacità di sequestrare carbonio e si stanno susseguendo ricerche che osservano come nei prossimi decenni la capacità di assorbimento di anidride carbonica da parte delle foreste potrebbe essere inferiore rispetto a quanto ritenuto in precedenza.

Completamente diversa è la situazione nel nord del mondo dove le foreste temperate e quelle boreali si stanno ampiamente espandendo. Nel distretto di Nenets, un'area grande come la Florida e situata nella parte settentrionale della Siberia, oggi gli alberi sono quattro volte più rispetto alle cifre presenti inventari ufficiali registrati negli anni '80. La nuda tundra si sta sciogliendo, i cespugli stanno germogliando e i salici che una generazione fa hanno lottato per raggiungere l'altezza del ginocchio ora crescono di 3 metri di altezza, come riporta Fred Pearce su Science.

Questi consistenti guadagni forestali sono comuni a tutta l'area del Circolo Polare Artico ma non sono limitati alle latitudini settentrionali più estreme, dove  stagioni di crescita più lunghe e il disgelo del permafrost aiutano gli alberi a guadagnare terreno. L'incremento delle superfici forestali si sta infatti registrando anche in alcune aree calde e aride, in alcuni casi guidato da specifici programmi di rimboschimento (come quello della Cina, su cui torneremo più avanti).

Diversi studi dimostrano che livelli di CO2 più elevati stanno già aiutando le foreste ad aggiungere biomassa e ci sono modelli su scala planetaria che indicano come l'aumento di anidride carbonica in atmosfera sarà alla base dell'espansione degli alberi in nuove aree. Alcuni ricercatori mettono però in dubbio previsioni ottimistiche sul futuro ampliamento delle foreste e avvertono che gli scenari delineati potrebbero essere alterati da diversi fattori: la deforestazione, ad esempio, potrebbe accelerare per soddisfare la crescente domanda globale di cibo e risorse, spazzando via ogni guadagno globale. Un'altra domanda rilevante è come un clima più caldo e più secco influenzerà gli incendi. E poi non può essere trascurata la possibilità che l'effetto fertilizzante della CO2, specialmente nelle foreste tropicali, possa essere neutralizzato da una carenza di nutrienti chiave del suolo come il fosforo, come approfondito da uno studio sull'Amazzonia pubblicato nel 2019 su Nature Geoscience.

Le foreste e gli effetti sul clima (l'assorbimento di carbonio non è l'unico processo da analizzare)

Ma anche se l'espansione delle foreste dovesse davvero essere così dirompente non è ancora chiaro il contributo che quegli alberi possono offrire per frenare il riscaldamento globale.

Il professor Giorgio Vacchiano spiega nel dettaglio i due principali modi, oltre all'assorbimento di carbonio, in cui le foreste interagiscono con il clima: "il primo è l’evaporazione di acqua. Le foreste non emettono solo ossigeno come sottoprodotto della fotosintesi ma evaporano, anzi evapotraspirano, anche enormi quantità di acqua. In alcune zone del mondo si formano dei veri e propri fiumi atmosferici che viaggiano per migliaia di chilometri e contribuiscono a portare pioggia e umidità anche a campi coltivati e a grandi città. Questo ha di per sé anche un altro effetto rinfrescante perché agisce regolando l’umidità atmosferica e aumentando le nuvole, che sono direttamente formate dagli alberi".

Un altro effetto però va in senso contrario. "E' quello che chiamiamo albedo, cioè la capacità della superficie terrestre di riflettere o assorbire la luce solare. E’ l’effetto che fa sì che quando entriamo in una macchina scura in una calda giornata estiva sentiamo un caldo pazzesco. Le foreste sono normalmente di colore verde scuro e quindi dove le foreste si espandono, pensiamo soprattutto alle zone a nord del pianeta, se gli alberi prendono il posto, ad esempio, del terreno gelato che già riceve meno neve a causa del riscaldamento climatico, cambierà il colore della superficie terrestre: da chiaro diventerà scuro e quindi aumenterà l’assorbimento di calore, con un effetto di riscaldamento locale", spiega Vacchiano.

"L’espansione delle foreste in questi territori - continua il docente dell'università Statale di Milano - è giudicata addirittura deleteria: l’effetto riscaldante di un colore più scuro può essere addirittura più forte rispetto a quello rinfrescante dovuto all’assorbimento dell’anidride carbonica".

Le superfici luccicanti come la neve fresca, puntualizza l'articolo di Science, hanno un'albedo da 0,8 a 0,9 (su una scala da zero a uno), il che significa che rimbalzano molta energia solare nello spazio. Al contrario, una chioma continua di latifoglie può avere un albedo di appena 0,15 e una chioma di conifere può avere un albedo ancora più basso: 0,08. Valori che portano gli alberi ad irradiare sotto forma di calore l'energia solare assorbita. 

"Sempre più articoli tentano di quantificare questi effetti a livello locale e non planetario: ci sono delle circostanze in cui in effetti ci dovremmo pensare due volte prima di piantare alberi a tutto spiano a causa di questi aspetti bio-fisici, non chimici", osserva Giorgio Vacchiano.

E nelle zone aride cosa sta accadendo? Vacchiano cita un esempio significativo che riguarda la Cina. "Da tempo sta portando avanti un ambiziosissimo programma di rimboschimento: si chiama Grain for Green e ha l’obiettivo principale di fermare la desertificazione, sfruttando proprio la capacità degli alberi di evaporare acqua tirandola via dal suolo con le radici e immettendola nell’atmosfera per generare nuvole e quindi pioggia".

Peccato, fa notare Vacchiano, che non sono stati scelti gli alberi giusti. "La stragrande maggioranza degli alberi scelti sono varie specie di pioppo,  molto esigenti dal punto di vista dell’acqua. L’effetto è stato quello di prosciugare ulteriormente le falde acquifere perché gli alberi per vivere hanno risucchiato enormi quantità di acqua. Certo, le hanno immesse in atmosfera. Ma poi questa umidità se ne è andata da un’altra parte: altre regioni, soprattutto quelle centrali della Russia, hanno beneficiato di questo trasporto di umidità ma localmente, dove questi alberi erano stati piantati, c’è stato un ulteriore inaridimento, fino a diminuire del 40% la portata del Fiume Giallo. Oggi l’amministrazione cinese sta cercando di correre ai ripari scegliendo altri alberi o scegliendo di non riforestare o di riforestare con arbusti perché sta capendo che questo trasporto di umidità è un po’ più complicato di quanto di pensasse", spiega Vacchiano.

Le iniziative di inverdimento, osserva Chris Williams della Clark University nell'articolo di Science, "potrebbero davvero ritorcersi contro se finissero per portare al posizionamento di alberi in luoghi controproducenti per il raffreddamento del clima". La preoccupazione di Williams, condivisa da molti scienziati, è che "poniamo troppa enfasi sulle foreste come soluzione climatica, quando ciò di cui abbiamo veramente bisogno è una profonda decarbonizzazione della società".

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