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L’export di armi per l’Italia vale circa 4,6 miliardi di euro all’anno

L’export di armi per l’Italia vale circa 4,6 miliardi di euro all’anno. Bisogna partire da questo dato per capire come l’obiettivo del disarmo ad oggi possa essere visto come una richiesta un po’ naif che giunge da associazioni e cittadini impegnati sul tema. Quando si parla di armi però, si parla di oggetti volti ad uccidere altri esseri umani ed avere il proprio marchio o la propria bandiera su una bomba che abbatte una casa con all’interno civili non è certo motivo di vanto.

L’economia però in questo caso è sempre stata più forte dell’etica, dando la priorità alla locuzione latina mors tua vita mea. Quando qualcuno spara c’è sempre qualcun altro che gli ha permesso di farlo, che ha costruito l’armamentario. Vale per le bombe in Arabia Saudita, come per i proiettili che in questi giorni stanno reprimendo le proteste in Kazakistan. Un discorso, questo, che non vuol essere pacifismo spiccio, siamo consapevoli che la complessità quando si parla di armi è tale da dover affrontare in modo approfondito l’argomento. L’export vale tanto, tantissimo e questo non è argomento che si può tralasciare se si vuol avere un’idea precisa di come funziona. In un mondo ideale l’industria bellica sarebbe riconvertita, mantenendo i posti di lavoro, il fatturato e smettendo di produrre strumenti di morte.

Anche in questo caso però è utile capire cosa si intende con industria bellica ed export di armi. Come abbiamo detto prima il valore delle esportazioni nel 2020 è stato di 4,647 miliardi di euro. Parliamo del 2020 perché è l’ultimo anno del quale ci sono i dati. La pubblicazione di questi è regolata da una legge, la 185/90, sulle “Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, che all’articolo 5 rende obbligatoria una relazione da parte del presidente del Consiglio dei ministri verso il Parlamento entro il “31 marzo di ciascun anno in ordine alle operazioni autorizzate e svolte entro il 31 dicembre dell'anno precedente. Tra qualche mese quindi potremo analizzare i dati del 2021, consapevoli che negli ultimi anni questa relazione è spesso giunta in ritardo.

L'export italiano

L’Italia nel 2020 ha esportato armi in 87 diversi Paesi. Un numero che è secondo solamente ai 90 del 2015, mentre rispetto al 2019, il 2020 ha fatto registrare un moderato calo delle autorizzazioni di esportazione, con 2.054 provvedimenti rilasciati a fronte delle 2.186 dell’anno precedente.

Ma tutte queste armi dove vanno a finire. Il primo Paese destinatario dei “nostri” armamenti è l’Egitto, con un valore di esportazione di 991,2 milioni di euro. Al secondo posto ci sono gli Stati Uniti con 456,4 mln, seguiti dal regno Unito con 350 e dal Qatar con 212,2 milioni. Anche le esportazioni intra-Eu hanno un valore non di poco conto in quanto la Germania acquista 197,6 milioni di euro di armi.

Parlando invece per area geografica vediamo come l’Africa settentrionale ed il Medio Oriente raccolgano il 38,57% delle esportazioni (all’interno ricordiamo esserci l’Egitto), i Paesi UE e membri europei della NATO il 32,1%, l’America settentrionale, quindi di fatto gli Stati Uniti l’11,77% mentre l’intera Asia solo il 9,48%.

 

Armi italiane in Egitto

Negli anni abbiamo visto una grande crescita delle esportazioni militari nei confronti dell’Egitto, un Paese che sappiamo bene avere una scarsa considerazione dei diritti umani. Verso l’Egitto l’Italia esporta commesse per quasi un miliardo di euro. Precisamente sono 991,2 i milioni pagati, una crescita vertiginosa rispetto agli anni passati. In barba alla richiesta costante di verità e giustizia per Giulio Regeni, il nostro Paese è passato dall’esportare 7,4 milioni di euro in armi nel 2017 ai quasi due miliardi degli ultimi due anni.

Verso l’Egitto noi esportiamo armi e munizioni di diversa tipologia. Nella relazione inviata alla Camera dei deputati si può leggere come nel Paese di Al-Sisi arrivino armi di calibro superiore ai 12,7 mm, munizioni, bombe, siluri, razzi, missili con relativi accessori, esplosivi, navi da guerra, aeromobili, apparecchiature elettroniche e specializzate per l’addestramento, software e apparecchiature utili per la produzione stessa di armi. Un armamentario completo venduto ad un Paese che ha ucciso barbaramente un nostro connazionale.


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I soldi però si sa che non hanno anima, e quasi un miliardo di euro è passato dall’Egitto alle aziende italiane. I primi quattro operatori totali del settore, cioè le aziende che hanno esportato di più sono: LEONARDO (31,58%), FINCANTIERI (25,27%), IVECO DEFENCE VEHICLES (8,66%) e CALZONI (5,81%). Queste società da sole rappresentano circa il 71,32% del valore monetario degli scambi.

Le armi italiane in Kazakistan

Il 2022 è iniziato con una crisi, per certi versi inaspettata, che ha coinvolto il Kazakistan. Riprendendo un articolo di Andrea Gaiardoni intitolato "I giorni di follia del Kazakistan" su Il Bo Live, “è la rapidità che lascia perplessi. Quel concatenarsi ravvicinatissimo di eventi (eccezionalmente drammatici) che ha travolto nelle ultime ore il Kazakistan: una crisi dai diversi volti, esplosa senza alcuna avvisaglia, in un Paese che appariva immobile e impenetrabile, guidato per oltre trent’anni, dall’indipendenza conquistata nel 1991, dall’ex presidente (ma ancora kingmaker della politica kazaka) Nursultan Nazarbayev, un fedelissimo di Putin”.

In poche ore il Paese si è trasformato in un’arena atta di manifestazioni e scontri, repressioni e spari da parte delle forze dell’ordine. Proiettili che presumibilmente hanno anche un’anima italiana. L’export nei confronti del Kazakistan infatti nel 2020 è stato di 85.967 euro. Cifre ben diverse da quelle viste precedentemente ma in questo caso l’armamentario è stato di piccola taglia. In Kazakistan infatti sono arrivate armi e armi automatiche di calibro uguale o inferiore ai 12,7 mm e relative munizioni. Esportazioni che sono state effettuate principalmente da due aziende italiane: la Fiocchi e la Beretta.

La prima è una società di armi e munizioni fondata da Giulio Fiocchi nel 1876 a Lecco. Ha un fatturato di 131 milioni di euro circa e nel 2020, secondo la relazione consegnata alla Camera dei deputati, ha avuto tre commesse verso il Kazakistan, due da 9.600 euro e una da 18.067 euro, per un totale di 37.267 euro. In tutto la Fiocchi Munizioni S.p.A. ha esportato verso il Kazakistan 32mila cartucce calibro 5.56 (riferiti alle due transizioni da 9.600 euro) e 4.015 cartucce calibro 12 per canna liscia, con riferimento alla transizione da 18.067,50 euro.

La seconda azienda che ha esportato armi o munizioni in Kazakistan nel 2020 è la Beretta. La fabbrica d’armi che nel 2018 aveva un fatturato di circa 214 milioni di euro, ha esportato in Kazakistan armi per un valore totale di 35.500 euro. Le commesse più grandi, cioè quelle da 22.050 e 10.700 euro, sono state effettuate il 16 settembre 2020 ed hanno riguardato complessivamente l’export di 28 pistole mitragliatrici PMX calibro 9×19 e 110 parti di ricambio o caricatori per la stessa arma. Lo stesso giorno poi è stato venduto anche un fucile automatico d’assalto mod. Arx 160 calibro 7,6x39mm ed un similare fucile d’assalto calibro 5,6 Nato modello Arx-160.

Tutte queste armi sono state vendute anche in seguito all’accordo di cooperazione militare col Kazakhstan firmato dal nostro paese il 7 giugno 2012 e ratificato con la legge 94 del 16 giugno 2015. Tale accordo si basa, come espresso all’articolo 2 su una cooperazione militare nei campi della politica di difesa, dell’istruzione militare e, come abbiamo visto, dell’importazione ed esportazione di armamento e materiali  militari.

Le commesse del 2020 verso il Kazakistan abbiamo visto essere di entità economica non estremamente rilevante per aziende che fatturano milioni di euro. L’articolo 7 dell’accordo poi, dice chiaramente che “gli Organi delegati dalle Parti, annualmente, elaboreranno  il piano di cooperazione militare per  l'anno successivo,  che  dovrà essere concordato ed accettato entro il 15 novembre dell'anno precedente”. Sarà quindi interessante vedere come evolverà l’export in questo 2022.

Come abbiamo detto all’inizio, il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento è disciplinato dalla Legge 9 luglio 1990, n.185. una legge che agli articoli 1.5 e 1.6 parla chiaro. Il primo dice che “L'esportazione ed il transito di materiali di armamento, nonché la cessione delle relative licenze di produzione, sono vietati quando siano in contrasto con la Costituzione, con gli impegni internazionali dell'Italia e con i fondamentali interessi della sicurezza dello Stato, della lotta contro il terrorismo e del mantenimento di buone relazioni con altri Paesi, nonché quando manchino adeguate garanzie sulla definitiva destinazione dei materiali”.

Il secondo è ancora più esplicativo, in quanto vieta l’esportazione “verso i Paesi in stato di conflitto armato [...], verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione, verso i Paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l'embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell'Unione europea (UE) oppure verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell'UE o del Consiglio d'Europa. Non si possono vendere armi a quei Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani. Non rimane che capire se il denaro superi anche la legge.

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