SOCIETÀ

È l’ora della cittadinanza comune dell’UE

Nel discorso tenuto il 12 settembre 2018 dal presidente della Commissione europea “sullo stato dell’Unione”, davanti al Parlamento europeo, l’una e l’altro giunti a scadenza nel prossimo anno, si legge: “La geopolitica ci insegna che è definitivamente scoccata l'ora della sovranità europea. […] L'Europa deve svolgere sempre di più un ruolo di protagonista nelle relazioni internazionali. La sovranità europea proviene dalla sovranità nazionale degli Stati membri. Non sostituisce quella propria delle nazioni.”

Nello stesso giorno, il Parlamento europeo (PE) approvava una proposta di risoluzione sulla “esistenza di un evidente rischio di violazione grave da parte dell'Ungheria dei valori su cui si fonda l'Unione”, aprendo la via all'applicazione dell'art. 7 del Trattato sull’Unione (TUE), con una larga maggioranza (favorevoli 448, contrari 197, astenuti 48). Nella risoluzione si legge che l’esistenza di un rischio di violazione dei valori su cui poggia la stessa legittimità democratica di uno Stato, “non riguarda soltanto il singolo Stato membro in cui si manifesta il rischio, ma ha un impatto sugli altri Stati membri… e sulla natura stessa dell'Unione, nonché sui diritti fondamentali dei suoi cittadini [dell'Unione]”; e che, pertanto laviolazione grave dei valori comuni” può essere valutata dall’Unione anche in “settori che rientrano nelle competenze degli Stati membri”.

L'Europa deve svolgere sempre di più un ruolo di protagonista nelle relazioni internazionali

Mettere a confronto questi due testi (con l’aggiunta di alcuni corsivi) può aiutare a capire qualcosa di più, a proposito della situazione oramai cronica di crisi ideale e politico-istituzionale dell’Europa, in tema, appunto, di “sovranità” dell’Unione.

Concetto che viene apertamente invocato nel testo del discorso (a cui dà il titolo: “L’ora della sovranità europea”), peraltro sul piano delle relazioni esterne; precisandosene la natura “posticcia” di sovranità semplicemente mutuata dalle sovranità nazionali, senza radici proprie. Mentre nel testo di risoluzione affiora un concetto di sovranità tutto interno all’Unione, che vuol essere “proprio” della sua natura: quello di una “sovranità dei valori”, sui cui l’Unione stessa si fonda, e che trova la sua massima espressione nell’istituzione (PE) dove i “cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell'Unione” (art. 10, 2, TUE).

In questa crepa di ambivalenza-ambiguità che sta alla base della legittimazione democratica e, quindi, della costruzione in chiave “costituzionale” dell’Unione, delle sue competenze e politiche, è cresciuto negli anni e si è venuto rafforzando un senso di sfiducia da parte dei cittadini, riguardo alla credibilità e capacità di un effettivo governo europeo delle questioni di politica interna ed estera.

Così avviene che la notizia dell’approvazione della risoluzione del PE di denuncia della situazione ungherese per l’esistenza di un evidente rischio di violazione grave dei valori fondamentali dell'Unione, trovi riscontro sulla stampa quotidiana con la puntualizzazione che si tratta piuttosto di un “gesto simbolico”: per quanto sia la prima volta, vale aggiungere, che il PE abbia finalmente trovato la volontà di farlo, questo importante gesto. Dato che ogni effettiva decisione su eventuali sanzioni (sospensione dei diritti dello Stato membro) potrà essere presa solo dal Consiglio europeo, composto dai capi di Stato o di governo, e all’unanimità; rendendola così quasi impossibile, alla luce dei veti assai probabili.

Di questa ambivalenza-ambiguità l’Europa soffre da sempre, come vizio d’origine di un progetto (nato e dichiaratamente orientato per la realizzazione della “Fédération européenne”, come scritto nel testo originale della Dichiarazione Schuman) che è rimasto e rimane sulla carta: dissociato, nei fatti, da un processo di integrazione che si è venuto invece sviluppando sempre più in direzione intergovernativa: accentuandone, anzi, gli aspetti verticistici di concentrazione della “sovranità europea” nelle mani dei capi di Stato o di governo, e di alcuni in particolare (almeno, di volta in volta).

Di sovranità europea, dunque, c’è bisogno

Di sovranità europea, dunque, c’è bisogno: sia pure volgendo lo sguardo altrove nel mondo, e verso il ruolo di attore globale che, da parte di molti anche al di là dei confini europei, ci si attende che l’Unione possa e debba svolgere, a pieno titolo; se solo potesse parlare con “una voce sola”, la sua.

Ma, ugualmente, c’è bisogno di senso di realismo, come lascia bene intendere il discorso di Juncker: evocando una forma sui generis di sovranità dell’Unione, che non si sostituisce a quella degli Stati nazionali, ma vi si aggiunge. Alla stessa maniera per cui pure la cittadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale, e non la sostituisce.

In questo ossimoro di una cittadinanza così come di una sovranità europea, senza Stato, senza popolo e senza una volontà politica davvero basata sull’interesse generale europeo, sta la contraddizione di questa Europa ancora incompiuta, rispetto al progetto originale. Sta, inoltre, una narrazione stanca e ripetitiva, che ancora ricorre, ad esempio, ai dati dell’Eurobarometro per trovare conforto nell’idea “statistica” di un’opinione pubblica in maggioranza (relativa) europeista. È il caso dei dati 17-18 marzo 2018, così come riportati in un comunicato stampa della Commissione dal titolo “Primavera 2018: a un anno dalle prossime elezioni europee, la fiducia nell'Unione e l'ottimismo per il futuro sono in crescita”, dove si sottolinea che “il 40% degli europei ha un'immagine positiva dell'UE (il 37% neutra e solo il 21% negativa)”, e che l'immagine “è positiva in 15 Stati membri, con le percentuali più elevate in Irlanda (64%), Bulgaria e Portogallo (entrambi 56%) e Lussemburgo (54%)”. Così trascurando il dettaglio dell’uscita del Regno Unito, e tanto più il fatto che, a ben guardare, gli stessi dati indicano nel 58% la percentuale di coloro che nutrono sentimenti, se non negativi assai poco interessati, ovvero ”neutri” (sic!) nei confronti delle sorti dell’Europa.

In definitiva, se l’Europa continuerà a farsi con troppo senso di realismo, alla fine ne morirà. E forse già a partire dalle prossime elezioni del maggio 2019. Dove, se non l’ora di una sovranità pasticciata e malintesa, è bene e sperabile che scocchi l’ora di una vera cittadinanza comune europea, che trovi espressione in un Parlamento capace di farsene interprete, insieme con la Commissione come vero organo di governo, in attuazione del principio affermato nei tratti, secondo cui “il funzionamento dell’Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa”.

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