SCIENZA E RICERCA
Tra Luna e Sole: l’India cerca il suo futuro nello spazio
Immagine: Indian Space Research Organisation (Isro)
Con l’atterraggio della navicella Chandrayaan-3 vicino al polo Sud della Luna il 23 agosto scorso l’India è entrata a pieno titolo nella storia spaziale, diventando la quarta potenza ad atterrare sul suolo lunare dopo Unione Sovietica, Usa e Cina.
Nel frattempo, dallo spazioporto indiano Satish Dhawan di Sriharikota, nel sud del Paese, il gigante asiatico ha appena assestato un altro colpo lanciando sabato 2 settembre il satellite Aditya-L1, la prima missione dell’Isro (l’Organizzazione indiana per la ricerca spaziale) dedicata all'osservazione solare. Tra poco meno di quattro mesi la sonda raggiungerà l’orbita attorno al punto lagrangiano L1 del sistema Sole-Terra, a circa un milione e mezzo di chilometri da noi, con l'obiettivo di rimanervi per oltre cinque anni. Alla missione di Aditya-L1 contribuisce in modo rilevante anche l’Agenzia spaziale europea (Esa), principalmente con il software di dinamica di volo e con servizi di comunicazione, grazie alla rete globale di stazioni di tracciamento dello spazio profondo.
Questi risultati rappresentano due asset importanti nel medio-lungo termine ma hanno anche effetti quasi immediati: rispettivamente nel posizionamento geopolitico indiano e per quanto riguarda il consenso interno del primo ministro Narendra Modi, pronto per le elezioni del 2024. “L'India è ora sulla Luna, il cielo non è il limite” ha dichiarato alla stampa il leader del partito nazionalista-hindu Bjp, il cui consenso popolare oscilla attorno al 70%. Il governo di Modi incoraggia da tempo gli investimenti nel settore spaziale privato e in annesse attività satellitari.
Immagine: Esa
Mentre in India la folla sventolava il tricolore in attesa dell’atterraggio lunare Modi assisteva all’evento dal Sudafrica, dove si trovava in occasione del summit Brics alla presenza di altri 43 capi di Stato (assente Putin, intervenuto da remoto). Il consesso di cinque nazioni, nato nel 2009 con l’intento di coordinarsi con accordi specifici sulla falsariga del G7, ha ricevuto proposte di adesione da oltre 20 Paesi, tra cui l’Arabia Saudita. Anche Cuba e Iran bussano alla porta dei Brics e (per ora) è solo l’India a impedirne l’adesione.
Per quanto riguarda lo spazio, è solo di pochi mesi fa la Indian Space Policy 2023 promossa da Modi, che fa seguito a un trend di liberalizzazioni già in stato avanzato a seguito della riforma economica del 2020. Nonostante l’India non fosse tra gli attori più piccoli nella scena spaziale internazionale, con programmi dedicati a Marte e alla Luna, il documento ribadisce il mutamento in corso della tradizione astronautica e industriale del Paese, regolando il proprio ingresso nella commercializzazione dello spazio esterno (ovvero nella New space economy). Gli intenti di Nuova Delhi sono, secondo il paragrafo 5 del documento, “aumentare le capacità spaziali, incentivare e sviluppare una forte presenza commerciale nello spazio, utilizzare lo spazio come motore dello sviluppo tecnologico e dei benefici che ne derivino, proseguire le relazioni internazionali e creare un ecosistema per un’attuazione efficace delle applicazioni spaziali fra tutte le parti interessate”. L’uso commerciale dello spazio extra-atmosferico diventa ufficialmente tramite per lo “sviluppo socio-economico e la sicurezza della nazione, la protezione dell’ambiente e della società”, anche attraverso “l’esplorazione pacifica dello spazio per stimolare la consapevolezza pubblica e la ricerca scientifica”.
La possibilità di scavare satelliti e asteroidi per estrarne le ricchezze in metalli e altri elementi, ovvero quello che in gergo viene detto space mining, non era mai stato menzionato prima dall’India, che assume ora una posizione ben precisa al riguardo. Sempre nella Space Policy si legge infatti un esplicito incoraggiamento “a impegnarsi nel recupero commerciale di risorse dagli asteroidi o di risorse spaziali. Qualsiasi Nge (Non-Government Entity) impegnata in questo processo avrà il diritto di possedere, trasportare, utilizzare e vendere qualsiasi risorsa”. È più facilmente apprezzabile in questa luce che l'obiettivo principale della missione Chandrayaan-3 sia l’esplorazione del Polo Sud lunare, una regione potenzialmente ricca di ghiaccio d’acqua in cui – ricordiamolo – l’India è stata la prima ad atterrare.
Già negli anni Sessanta Vikram Sarabhai, padre del programma spaziale indiano e fondatore dell’Isro, aveva diretto un piano di investimenti in questo settore, spiegando che in quanto Paese in via di sviluppo l’India non avesse intenti bellici ma puntasse solo al proprio potenziamento socioeconomico. Tra gli anni Settanta e la fine degli anni Ottanta gli indiani usavano ancora in maniera limitata le tecnologie spaziali, in seguito le tensioni con Pakistan e Cina hanno spinto l’India a potenziare anche le infrastrutture a scopo militare, da cui le forze armate indiane dipendono in maniera crescente per quanto riguarda i sistemi di comunicazione satellitare, l’intelligence elettronica e il monitoraggio del territorio.
Il lancio della sonda indiana Chandrayaan-3
Dal 1982 l’Isro ha iniziato a lanciare satelliti con un buon numero di successi, mettendo in orbita il primo satellite con scopi esclusivamente militari – il GSat7, conosciuto anche come Rukmini – nel 2013, seguito poi da Gsat-7a nel 2018, attualmente ancora operativo. L’Isro dispone oggi anche di un gruppo di satelliti radar, i Risat, che fungono da veri e propri dispositivi di sorveglianza vigili giorno e notte. Considerata la vastità dei confini terrestri e marittimi, è facilmente comprensibile la necessità delle forze armate indiane di un ingente potenziamento delle risorse spaziali. Ricordiamo che nel 2008 Mumbai, la capitale finanziaria del Paese, è stata oggetto di un attacco terroristico di matrice islamica che ha causato oltre cento vittime e ha imposto all’India di mobilitarsi anche sul fronte della sicurezza. L’India in tempi recentissimi non è rimasta fuori neanche dagli accordi con SpaceX di Elon Musk con New Space India (la divisione commerciale dell’Isro), che partecipa al lancio dei satelliti per la rete globale OneWeb.
Tra i paesi del cosiddetto Global South l’India pretende insomma un ruolo di primo piano e lo sbarco sulla Luna avvicina in qualche modo Modi al suo obiettivo: diventare una superpotenza, e non solo una delle crescenti potenze del sud del mondo.
Nonostante la crescita economica indiana, che nel 2022 ha segnato un tasso del 7%, doppio all'incirca rispetto alla media globale, l’ambizione di Modi di prendere il posto del rivale cinese nello scenario geopolitico sembra però al momento ancora remota. In rapida crescita è anche la popolazione indiana, che nel 2023 ha superato quella cinese; mentre inoltre la prima continuerà a crescere ancora per mezzo secolo, la seconda perderà 100 milioni di abitanti entro il 2040. Una crescita demografica così rapida rischia però di essere un’arma insidiosa, se non supportata dall’incremento del valore del capitale umano, della sua professionalizzazione e delle comunicazioni, fronte su cui l’India sembra ancora annaspare. Per dare un’idea della potenza delle infrastrutture indiane basti ricordare l’alta velocità ferroviaria è stata inaugurata solo un paio d’anni fa, e per ora non supera i 140 chilometri orari.
Bisogna comunque fare i conti con la tradizionale resilienza e con la rinnovata fierezza degli indiani, la loro consapevolezza di provenire da una cultura millenaria e la voglia di tornare protagonisti. Un esempio: il Trattato di non proliferazione nucleare approvato dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1968 – che prevedeva che solo Russia, Usa, Cina, Regno Unito e Francia potessero dotarsi di armi atomiche – fu ratificato da 188 Stati membri: in pratica da tutti tranne Israele, India e Pakistan. Nell’attuale complesso scenario, con Pechino in competizione con gli Stati Uniti e con la Russia (reduce dal fallimento di Luna-25) al momento non proprio in forma, Nuova Delhi non può permettersi di restare indietro in alcun campo, tanto meno quello strategico dello spazio.
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